Una giostra non praticabile con animali di legno molto usurati dal tempo, labirinti sotterranei composti da fili luminosi, piccoli minatori che salgono su un palco come fosse uno spettacolo di fine anno scolastico. La Fondazione Merz ospita fino al 22 maggio la mostra «Mineur Mineur», prima personale in Italia dell’artista francese Bertille Bak (1983, vive e lavora a Parigi), già allieva di Christian Boltanski e vincitrice della terza edizione del “Mario Merz Prize”.
Il progetto espositivo, curato da Caroline Bourgeois, curatrice alla Collezione Pinault di Parigi, prende il titolo dall’opera principale, la video installazione “Mineur Mineur” (Minatore minorenne), composta da cinque video simultanei. Frutto di tre mesi di ricerca sulle miniere di cinque Paesi – India (carbone), Indonesia (stagno), Tailandia (oro), Bolivia (argento) e Madagascar (zaffiri) – l’opera racconta il dramma del lavoro minorile.
Senza pietismi o intenti moralizzatori, Bertille Bak capovolge la storia dei bambini, narrandola attraverso le evocazioni ludiche di immagini di oggetti legati alla spensieratezza dell’infanzia: labirinti sotterranei, spazi capovolti, passaggi attraverso pareti e soffitti, diapositive e registratori. Fino alla scena finale, che ricalca gli spettacoli di fine anno scolastico, quando ogni gruppo di bambini sale sul palco per segnare il passaggio alla classe successiva. Una festa solo apparente, accompagnata dalla musica di un flauto dissonante, che vede i bambini tornare sottoterra, scivolare nei meandri delle miniere, immergersi nell’oscurità, sfruttati ed invisibili. Vite che avrebbero potuto essere le nostre se fossimo nati altrove. A fare da contrappunto sono dei pulcini, dipinti a colori vivaci e lanciati in aria per distrarre le potenti aquile reali.
A caratterizzare le opere in mostra è un doppio registro di lettura, che produce un effetto straniante: l’apparente leggerezza, la spensieratezza, la giocosità nascondono una realtà efferata. Un artificio in cui coesistono candore ed orrore.
Bertille Bak nella sua ricerca artistica muove dalla propria storia personale, dal mondo delle sue origini, quello delle città minerarie del nord della Francia (il nonno, di origine polacca, estraeva carbone fin dall’età di 13 anni), per poi parlare di temi globali e di verità contemporanee con uno sguardo da antropologa.
Le altre quattro opere che compongono la mostra sono l’installazione “This mine is mine”, sette strutture di cartone che celano fili luminosi, il video “Bleus de travail” (Tute da lavoro), metafora del lavoro minorile in tutto il mondo, “Le berceau du chaos” (La culla del caos), la giostra di cui si vedono solo gli elementi inferiori, ed il video “Tu redeviendras poussière” (Diventerai di nuovo polvere), basato sul racconto dei residenti di un’antica città mineraria nel nord della Francia, che analizzano i propri livelli di silicosi nei polmoni, la malattia del lavoro che colpisce i minatori.
Emanuele Rebuffini
Courtesy Fondazione Merz
Photo Andrea Guermani