Nella settimana musicale torinese segnaliamo tre appuntamenti di grande spessore: martedì 5 novembre Stefano Bollani ritorna a Torino per suonare insieme a Chucho Valdés all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto; venerdì 8 novembre due astri del jazz contemporaneo come Giovanni Guidi e Fabrizio Bosso presentano al Folkclub il loro nuovo progetto musicale The Revolutionary Brotherhood; sabato 9 novembre Roberto Vecchioni è al Teatro Colosseo con il suo Infinito Tour.
L’estro musicale e la fantasia versatile di Stefano Bollani e l’energia afro-cubana e il ritmo latino di Chucho Valdés si mescolano insieme all’Auditorium del Lingotto e creano uno spettacolo musicale di fortissimo impatto.
Un’occasione unica per ascoltare questo back to back tra due dei più grandi pianisti e compositori della scena jazzistica contemporanea che si sono incontrati per la prima volta a L’importante è avere un piano, la trasmissione televisiva ideata e condotta da Stefano Bollani, da sempre appassionato da ritmi e sonorità latine e afro-cubane.
Sul palco due pianoforti, due storie, due linguaggi per uno spettacolo senza precedenti, che la critica musicale ha già definito geniale.
Un concerto “piano a piano” che è musica, amicizia e complicità, jazz e improvvisazione, in un mix imperdibile di generi, geografie e culture, fra tradizione cubana e latina e i grandi classici del repertorio jazzistico universale che si presentano improvvise. Come se suonassero insieme da sempre, i due si divertono a giocare con le proprie composizioni e a improvvisare su grandi classici della musica reinventandoli.
Giovanni Guidi e Fabrizio Bosso sono due musicisti dai percorsi personali e predilezioni estetiche molto diverse: Guidi, da anni alla corte di Enrico Rava, è approdato alla blasonata etichetta ECM, con cui ha già registrato quattro album da leader; Bosso, giunto ai massimi vertici a livello mondiale del suo strumento, ha inciso da leader per Blue Note, Verve e ora Warner. Incontratisi durante l’estate 2017 a Umbria Jazz, i due hanno pensato bene di unire le loro forze in un progetto, The Revolutionary Brotherhood, che li spingesse a oltrepassare i confini della loro personale ricerca musicale, dimostrando come nel jazz sia comunque sempre possibile trovare punti in comune sui quali costruire qualcosa di nuovo. Per far ciò hanno voluto che il gruppo fosse completato da tre talenti indiscussi del calibro di Francesco Bearzatti, prestigioso sax italiano, Eric Wheeler, affidabilissimo e propulsivo contrabbassista newyorkese, e Joe Dyson, tra i più richiesti giovani batteristi oggi in circolazione.
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Roberto Vecchioni torna al Teatro Colosseo con uno speciale e intenso concerto per condividere con il pubblico le tante storie contenute nei suoi più grandi successi e nell’ultimo album L’infinito. Premiato con il Disco d’oro, l’album contiene anche il brano Ti insegnerò a volare che vede Vecchioni duettare con Francesco Guccini. Accompagnato dalla “band storica”, costituita da Lucio Fabbri (pianoforte e violino), Massimo Germini (chitarra acustica), Antonio Petruzzelli (basso) e Roberto Gualdi (batteria), Roberto Vecchioni propone uno spettacolo fatto di canti, immagini e monologhi. «L’Infinito è un grande spettacolo di canti, immagini e monologhi, che parte da un’idea precisa: l’infinito non è al di fuori di noi, non è introvabile, ma è dentro di noi, nella nostra anima e nelle nostre emozioni. Tutta la prima parte dello spettacolo è giocata sul nuovo disco e sui personaggi che hanno battuto il destino, hanno combattuto il male, hanno amato la vita, gli altri e se stessi. Emerge un mio concetto recente, nuovo, di grande amore per tutto ciò che si fa e si vive. La seconda parte dello spettacolo, invece, è una specie di ritorno, uno sguardo sul passato con le canzoni di prima, che mostrano come si è arrivati a questo concetto di infinito attraverso pensieri particolari sull’amore, sul sogno, sull’esistenza, sul dolore, sulla gioia, sulla felicità… e come poi tutte queste piccole cose si siano ricomposte in un’unica idea, che è quella di amare la vita comunque sia, bella o brutta perché in realtà è sempre bella. Siamo noi che a volte la immaginiamo in un altro modo».
Emanuele Rebuffini