«Martha Cooper: On The Street» è la più ampia mostra mai dedicata in Italia alla fotografa “ufficiale” del movimento hip hop e della street art. Articolata in tre sedi – CAMERA, il Cortile e la Sala Athenaeum del Rettorato dell’Università degli studi – l’esposizione, curata da Enrico Bisi, si colloca nell’ambito della speciale sezione che il Sottodiciotto Film Festival & Campus dedica alla cultura hip hop, tra film, incontri, performance e dj set.
Nata a Baltimora nel 1943, Martha Cooper si avvicina alla fotografia da piccolissima grazie a una Baby Brownie regalatele dal padre, proprietario di un negozio di fotografia. Dopo aver studiato per un anno antropologia alla Oxford University, trova impiego come fotografa interna al “National Geographic Magazine”. Nel 1977 si trasferisce nella Grande Mela, approdando al “New York Post”. Girando per cogliere scatti casuali, comincia a fotografare i bambini che giocano per strada e disegnano tag sui muri degli edifici abbandonati. Riesce così a introdursi nell’ambiente clandestino dei graffitisti, diventando da lì a poco la fotografa di riferimento della scena artistica underground newyorkese. Tra le sue molteplici pubblicazioni, il volume Subway Art, realizzato insieme con Henry Chalfant, è oggi considerato la “Bibbia” della street art internazionale.
La prima parte della mostra, ospitata nella Project Room di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia fino all’8 aprile, presenta quarantacinque scatti in bianco e nero risalenti agli esordi di carriera di Martha Cooper. Le prime immagini esposte arrivano da Tokyo, dove la giovane fotografa si recò nel 1970, rimanendo affascinata dall’Irezumi, l’arte giapponese del tatuaggio. «Mostrare il proprio corpo tatuato in pubblico nel Giappone dell’epoca era fuorilegge – spiega il curatore della mostra Enrico Bisi – Martha solleva quel velo e ci mostra quei corpi e quelle antiche pratiche. Corpi e forme in bianco e nero che chiudendo gli occhi diventano coloratissime».
L’esposizione a CAMERA prosegue poi con le fotografie risalenti alla metà degli anni Settanta quando, come fotoreporter del “New York Post”, Martha Cooper raccontava in immagini per il giornale la Grande Mela prima dell’avvento dell’hip hop, concentrandosi sul paesaggio metropolitano e, soprattutto, sui giochi di strada dei giovanissimi: una serie di scatti in cui, come sottolinea il curatore, «c’è bellezza e allegria. I soggetti fotografati sembrano volare. Per saltare una pozzanghera e non infangarsi le scarpe, per tuffarsi in acqua, per lanciarsi dalle scale antincendio su un materasso sgualcito, per fare capriole, saltare con lo skate oppure volteggiare aggrappati a una fune che funge da altalena. C’è la vita tra le strade di New York. Ci sono i sorrisi sdentati di ragazzini in mezzo alle macerie del Bronx e ci sono Carrie, Super Fly e Saturday Night Fever al cinema».
La celebre foto di He3, il writer quattordicenne grazie al quale Martha Cooper riuscì a introdursi nel mondo allora più che mai chiuso, occulto e clandestino dei graffitisti, costituisce il trait d’union con le due successive parti della mostra, visibili fino al 5 aprile. Ospitata nel Cortile del Rettorato dell’Università di Torino, la seconda sezione presenta sessantacinque fotografie, tra le più famose dell’autrice, scattate tra la fine degli anni Settanta e nel corso degli Ottanta: una selezione che, partendo dal Bronx incandescente dove writer, rapper, dj e breaker muovono i primi passi nelle rispettive discipline, si addentra progressivamente nel vivo dell’hip hop.
Le immagini si fanno sempre più spettacolari e sorprendenti di pari passo con la fiducia che Martha Cooper riesce a conquistarsi nell’ambiente inizialmente ostile: a poco a poco, infatti, i writer stessi cominciano a chiamare la “Kodak Girl” non appena finito un graffito perché immortali la loro opera prima che venga sovrascritta da qualche rivale o distrutta dai solventi della polizia metropolitana.
Tra i ritratti di un mondo coloratissimo, che contrasta con uno scenario metropolitano di degrado e abbandono, spiccano le immagini d’epoca diventate icone della cultura urbana, come gli scatti dei vagoni della metropolitana ricoperti di tag e vernice spray e le celebri fotografie di “king” Dondi, il pioniere della street art: «Un punto di vista unico in un mondo inesplorato – come spiega Enrico Bisi, in cui non ci sono – solo i graffiti sui treni, ma i writer stessi all’opera. E poi i breaker, i rapper e i dj. L’hip hop di quegli anni vive negli scatti di Martha Cooper. Fabulous Five, Taki, Pink, Maze, Duro, Futura 2000, Skeme. E ancora, Keith Haring, Rammellzee, e le foto di scena dei film Style Wars e Wild Style».
La terza sezione, allestita nella Sala Athenaeum del Rettorato dell’Università di Torino, propone oltre 170 fotografie e più di 1000 immagini, per lo più inedite, proiettate in loop su megaschermo, con cui Martha Cooper ha continuato a documentare, dalla fine degli anni Ottanta a tutt’oggi, la street art in svariati Paesi del mondo. La selezione ritrae opere di Space Invaders, Bordalo, Banksy, Roa, Obey e Nychos, espressioni di «una forma d’arte oggi completamente sdoganata, presente nelle gallerie, quotata un tanto al metro quadrato – prosegue Enrico Bisi – ma che, ciò nonostante, è per strada, è di tutti. In ogni angolo del mondo la Cooper arriva e scatta».
Sempre nel medesimo spazio espositivo, non a caso, sono presenti le foto di due progetti più circoscritti dell’autrice: il primo, intitolato “Soweto/Sobeto”, racconta la vita di strada della grande area urbana di Johannesburg e del piccolo sobborgo di Baltimora, uniti non solo dai nomi assonanti, ma anche dalla difficile realtà sociale; il secondo, “B*Girlz”, è invece interamente dedicato alle gare internazionali di break dance femminile e alle loro giovanissime campionesse provenienti da ogni parte del Pianeta.
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