Chi è stata davvero Tina Modotti? Attrice di Hollywood, modella, attivista politica, animatrice del Soccorso Rosso Internazionale, volontaria nella guerra di Spagna, ma prima di tutto fotografa, animata da profondi valori sociali e attenta alla condizione degli ultimi. Un’artista poliedrica che, seppur in pochi anni di attività (morì a soli 46 anni), ha saputo cogliere l’essenza profonda del Messico rivoluzionario, dando voce alle lotte sociali del popolo messicano, soffermando lo sguardo sulle donne e sugli indigeni ed intrecciando il percorso artistico con l’impegno politico.
Spesso il fascino della biografia di pasionaria ha avuto la meglio sulla produzione artistica. Un torto a cui pone rimedio la mostra «Tina Modotti. L’opera», curata da Riccardo Costantini e ospitata fino al 2 febbraio da CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, che si concentra sull’ordito della sua opera, sui “fili a colori vivaci” dei suoi temi ricorrenti.
Attraverso 300 fotografie provenienti da 32 archivi da tutto il mondo (da Honolulu a San Francisco, da Città del Messico a Mosca, da Udine a Canberra, con materiali inediti, documenti, ritagli di quotidiani, riviste come Mexican Folkways, New Masses, El Machete, International Literature e la tedesca Arbeiter Illustrierte Zeitung) viene ricostruito il percorso di una fotografa capace di catturare in ritratti di vita quotidiana l’intensità e i contrasti dei mondi che ha attraversato, raccontando l’ingiustizia, il lavoro, l’attivismo politico, la povertà, le contraddizioni del progresso e del passaggio alla modernità.
Grazie a un imponente lavoro di mappatura si ripropone, nella forma più completa mai realizzata, l’unica grande mostra personale di Tina Modotti, quella ospitata dal 3 al 14 dicembre del 1929 nell’atrio dell’Università Nazionale del Messico (41 scatti certi sui probabili 57/60 di allora) e definita dal muralista David Alfaro Siqueiros “la prima mostra rivoluzionaria del Messico”. Quella mostra fu una celebrazione del suo talento e al tempo stesso un congedo dalla fotografia. Pochi mesi dopo, nella primavera del 1930, Tina Modotti è espulsa dal Messico, raggiunge Berlino, quindi Mosca, Parigi, la Spagna, per fare ritorno in Messico dove muore nel 1942.
Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina, nasce a Udine nel 1896 in una famiglia operaia, padre meccanico e carpentiere e madre cucitrice. Costretta a emigrare, arriva a San Francisco nel 1913 e comincia a lavorare in una fabbrica tessile e ad esibirsi nei teatri di Little Italy. Approdata a Hollywood con il marito pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey (Robo), agli inizi degli anni Venti posa come modella per importanti fotografi e recita in alcuni film muti (sarà l’unica attrice italiana-insieme con la cantante Lina Cavalieri-a interpretare un ruolo da protagonista nel cinema muto americano).
Inquieta e curiosa, talentuosa ed appassionata, dipinge, posa, crea i suoi vestiti di scena, scrive e inizia a interessarsi alla fotografia. Il 1922 rappresenta un anno chiave: la morte prematura del marito Robo e del padre la segnano. L’anno successivo si stabilisce a Città del Messico con il fotografo Edward Weston.
L’abbraccio tra Tina Modotti ed il Messico è assoluto: pochi artisti hanno legato a doppio filo la propria opera così inscindibilmente a un Paese, e pochi Paesi hanno avuto fotografi capaci di raccontare con tale intensità la bellezza, i caratteri propri e i contrasti che li contraddistinguono. Qui Tina Modotti affina tecnica e stile, realizzando “fotografie oneste”, libere da virtuosismi, prediligendo l’immediatezza senza rinunciare alla sperimentazione. In pratica tutta la sua produzione è concentrata in Messico, tra il 1923 ed il 1929.
Focalizzandosi sull’essere umano, crea una forma inedita di documentazione sociale-antropologica accompagnata da forti rimandi politici, L’impegno civile evocato dalle sue fotografie si riflette anche nelle idee politiche di Tina Modotti, che non a caso nel 1927 aderisce al partito comunista messicano.
Ha raccontato il folklore (in particolare le processioni con pupazzi e l’intrattenimento ambulante con marionette), l’universo femminile e la fiera bellezza delle donne di Tehuantepec, l’opera dei muralisti messicani, la crescente disparità fra città e campagna, la povertà rurale, le proteste, i comizi e le manifestazioni politiche. Gli stessi simboli rivoluzionari trovavano spazio in primo piano nelle sue foto. Un’arte sociale e al tempo genuina, che non ha mai smarrito la sua qualità estetica, pedagogica, illustrativa e documentale.
Emanuele Rebuffini