“Il sindaco del rione Sanità” torna al Teatro Gobetti

“E’ inutile ca ve sfiacchite, tanto nun facimm’ niente ‘e nuovo. Sto esaurito pecchè nun veco niente ‘e nuovo, niente ‘e nuovo, niente ‘e nuovo”: si apre con un pezzo del giovane rapper Ralph P. «Il sindaco del rione Sanità», capolavoro di Eduardo De Filippo scritto negli anni Sessanta, che dopo il successo dello scorso anno torna in scena fino al 13 maggio al Teatro Gobetti,

per la regia di Mario Martone, che per la prima volta si confronta con il teatro eduardiano. E lo fa con un allestimento che associa realtà produttive diverse nella realizzazione di un progetto culturale dal forte senso politico e civile, e proponendo una rilettura coraggiosa, scegliendo un gruppo di giovani attori, a cominciare da Francesco Di Leva nei panni del “sindaco” Antonio Barracano, il vecchio boss che dirime le controversie, dispensa consigli, risolve problemi, insomma amministra la ‘sua’ giustizia e garantisce il suo “ordine” come un’autorità alternativa, l’unica riconosciuta dalla gente del rione, “gente ignorante”, perché allora come oggi l’ignoranza è un titolo di rendita, e “sui delitti e sui reati che commettono gli ignoranti si muove e vive l’intera macchina mangereccia della città”.

Mario Martone ha calato il testo nella contemporaneità abbassando drasticamente l’età dei protagonisti, a cominciare dal “sindaco” che non ha i 75 anni del copione originario, ma i 38 di Francesco Di Leva, così come giovane è tutto il cast che vede impegnati Massimiliano Gallo (nel ruolo di Arturo Santaniello), Giovanni Ludeno (il dottor Fabio Della Ragione) ed un gruppo di interpreti del Nest Napoli Est Teatro. Lo spettacolo, infatti, nasce dalla collaborazione di realtà produttive diverse, il Teatro Stabile di Torino, la Elledieffe di Carolina Rosi ed il Nest Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, uno dei quartieri più popolari e difficili di Napoli, dove un gruppo di giovani attori e registi hanno ristrutturato una palestra trasformandola in un teatro di cento posti e portando avanti un lavoro culturale dalla forte valenza sociale.

« Il sindaco del Rione Sanità è il mio primo Eduardo – spiega il regista Mario Martone nelle note di regia – Mi sono sempre tenuto alla larga, perché mettere in scena i suoi testi significa assumere inevitabilmente non solo quanto c’è scritto sulla carta ma anche (e in troppi casi soprattutto) il macrotesto delle messe in scena di De Filippo attore e regista, tramandato e codificato attraverso le innumerevoli recite e le varie versioni televisive. Sgomberare il campo, impedire alla radice che questo accada con un così deciso spostamento d’età del protagonista, consente di mettere il testo alla prova della contemporaneità (oggi i boss sono giovanissimi) e di leggerlo come nuovo. Non aspettatevi le illusioni del vecchio Barracano nato dell’800, che ancora consentivano di tracciare dei confini morali: qui affiora un’umanità feroce, ambigua e dolente, dove il bene e il male si confrontano in ogni personaggio, dove le due città di cui sempre si parla a Napoli (la legalitaria e la criminale) si scontrano in una partita senza vincitori. Perché, è inutile fingere di non vederlo, la città è una e, per quanta paura faccia, nessuno può pensare di tagliarla in due».

«Dovendo interpretare Antonio Barracano oggi e non nel 1960, mi sono ispirato a un personaggio che considero rivoluzionario ovvero Muhammad Alì – racconta Francesco Di Leva – È violento come era violento Muhammad Alì sul ring, ma è simpatico e dolce con la famiglia come lo era Muhammad Alì fuori dal ring. Eduardo De Filippo lo disegna stanco, vecchio, annoiato dalla vita, con figli grandi, qui invece entro in scena con la felpa, il cappuccio, faccio gli addominali di prima mattina. È un Antonio Barracano giovane, vivace, che non vuole morire, sente il peso della morte sulle sue spalle come la sentono tutti coloro che vivono a Napoli in questi contesti sociali. Oggi un boss in questi quartieri a 38 anni non ci arriva, i 38 anni di oggi valgono i 75 anni di Antonio Barracano. I boss che comandano ora hanno 18 o 20 anni, a 27 o sei in galera oppure sei morto ammazzato. Ad accomunare i due Barracano è che comunque cercano in qualche modo di mettere ordine nel quartiere utilizzando la violenza. Solo che qui avverti che si può scatenare una guerra da un momento all’altro. Domina l’ambiguità: ci sono le due Napoli, quella criminale e quella legale, ma lo spettatore non sa mai con chi deve stare fino in fondo, esattamente come i napoletani». I vecchi capi camorristi sono tramontati con i loro stereotipi, il testimone è passato a ‘Gomorre’ spavalde e feroci, impegnate in una guerra continua senza regole o codici d’onore che riescano a contenerla.

«Con il solo abbassamento dell’età – prosegue Francesco Di Leva – il testo di Eduardo De Filippo è diventato moderno come potrebbe essere quello scritto qualche mese fa da un autore giovane. Eduardo De Filippo a Napoli lo abbiamo sempre vissuto a come il grande attore, le sue cose sono considerate come sacre, tutti conosciamo le versioni televisive delle sue commedie, e quel sound, quelle pause eduardiane…tutte cose che non potevano mai essere tradite. Qui, invece, c’è l’abbassamento dell’età dei protagonisti, c’è un sound diverso, le pause quasi non esistono, c’è una recitazione più scheggiata, vivace e violenta. Questo mi ha permesso di scoprire il drammaturgo De Filippo, e non solo il grande attore ed artista del Novecento. Eduardo è talmente un ‘gigante, che quando guardi le rappresentazioni televisive quasi non ti accorgi degli altri attori, non ti ricordi di chi stava al suo fianco. Invece, in questa messa in scena vedi gli altri personaggi, e vedi tutte le contraddizioni di Napoli».

In scena, accanto a Francesco Di Leva, Giovanni Ludeno, Massimiliano Gallo, Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Luana Pantaleo (nel ruolo di Armida Barracano), Gianni Spezzano, Viviana Cangiano, Salvatore Presutto, Lucienne Perreca, Mimmo Esposito, Morena Di Leva, Ralph P, Armando De Giulio, Daniele Baselice.

Foto di Mario Spada

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