«Giocavo tra i ruderi del centro… Ebbi la fortuna di non trovare esplosivi ma trovai altro… scoperte macabre. Quei giochi tra le macerie sono stati la mia prima grande scuola di fantasia»: la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino ospita la mostra «Paolo Icaro. Antologia/Anthology 1964-2019».
Attraverso 50 opere, tra sculture e installazioni realizzate dal 1964 al 2019, la mostra ricostruisce 55 anni di lavoro di una delle figure più importanti dell’arte italiana ed internazionale. Un omaggio alla creatività di questo grande artista ottantatreenne, una rilettura che permette di cogliere l’evoluzione della visione poetica di Paolo Icaro e la sua ‘grammatica degli elementi minimi’. Opere esili e minimaliste, rigorose e fragili, giocose e spiazzanti, realizzate in gesso, il suo materiale preferito, ma anche con fili e tondini di alluminio, barre di ferro, acciaio, cemento, legno, grafite.
Nato a Torino nel 1936, allievo di Umberto Mastroianni, Paolo Icaro è stato tra i protagonisti della stagione dell’Arte Povera alla fine degli anni Sessanta, quindi dell’Arte Concettuale, anche se la sua ricerca artistica non è compiutamente etichettabile né nell’una né nell’altra esperienza.
«L’esposizione intende mostrare la continuità e l’evoluzione del pensiero poetico dell’artista attraverso i decenni – afferma la curatrice Elena Volpato – la sua cifra più propria, la costante riflessione dell’artista che incessantemente rilegge lo spazio e la scultura alla luce di un principio trascendente per il quale la vita delle forme coincide con il senso del divenire, dove il mondo sensibile è illuminato dalla forza vitale del tutto, dove nulla è visto nella luce asettica e atemporale del pensiero, ma tutto nasce nel fluire del tempo, tutto viene alla luce del mondo impastato d’universale e d’umano. È una mostra in cui il percorso tende a compiersi e riavviarsi su sé stesso, nel quale le energie creative vanno esprimendosi in un crescendo in cui ogni seme di riflessione torna a parlare ad anni di distanza con sviluppi di inesauribile vitalità».
Tra le opere in mostra, Bicilindrica, un cemento del 1965, entrato nel 1967 a far parte della collezione permanente della GAM, quindi Cuborto del 1968, Window show del 1974, Cornice e Yellow Site del 1982, Lunatico, gouged del 1989, Personae del 1991.
«Giocare tra le macerie impedisce di considerare il mondo soltanto con gli occhi – prosegue Elena Volpato – Significa trovarsi immersi nella polvere che si solleva ad ogni movimento, ad ogni più leggero moto d’aria. Significa sentire la materia su cui camminiamo spostarsi sotto la spinta del corpo, sentire lo sfarinarsi di ciò che tocchiamo sotto i polpastrelli e portare a sera sui vestiti, sul volto e tra i capelli il segno dell’immersione nel mondo, e sapere più o meno consapevolmente di non essersi mossi in uno spazio, ma di averlo letteralmente respirato, inalato, di averlo modificato col nostro passaggio, di aver giocato non solo con delle cose ma con la sostanza di cui sono fatte e di cui è fatto il mondo, quella sostanza che emerge alla nostra consapevolezza quando i contorni si perdono, le forme collassano e la materia sembra tornare a se stessa».
La mostra rimarrà aperta fino al 1 dicembre.
Photo Michele Alberto Sereni