“Il motivo per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina, e sento che ogni volta che faccio qualcosa e la faccio alla maniera di una macchina è proprio ciò che voglio fare” (Andy Warhol). Scattando migliaia di fotografie con la sua Polaroid, Andy Warhol ha conferito alla riproduzione meccanica della realtà un ruolo centrale nella definizione della sua poetica.
Fino al 13 gennaio CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia ospita «CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co»: 150 tra tele, fotografie, collage, grafiche che ripercorrono la storia delle reciproche influenze tra la fotografia e la Pop Art, dalla Swinging London alla scena newyorkese passando per la Biennale di Venezia del 1964.
«La Pop Art è stata un fenomeno mondiale, esploso negli anni Sessanta negli Stati Uniti e in Europa, e diffusosi rapidamente anche nel resto del mondo che ha rivoluzionato – osserva Walter Guadagnini, curatore della mostra e direttore di CAMERA, nonché il maggior studioso italiano della Pop Art – il rapporto tra creazione artistica e società, registrando l’attualità in modo neutro, fotografico per così dire, adottando gli stessi modelli della comunicazione di massa per la realizzazione di opere d’arte. In questo senso, la fotografia è stata, per gli artisti Pop, non solo una fonte di ispirazione, ma un vero e proprio strumento di lavoro, una parte essenziale della loro ricerca”.»
La Pop Art trova nella fotografia un fondamento non solo iconografico ma anche linguistico, deve alla fotografia una parte centrale della propria natura e del proprio successo: essa ha ampliato il modo in cui gli artisti guardano il mondo nonché gli orizzonti del loro mezzo espressivo. La fotografia come punto di partenza per la realizzazione dell’opera d’arte nonché come realtà assunta all’interno della stessa opera. Allo stesso tempo, l’affermazione della cultura Pop ha liberato energie sorprendenti anche all’interno del mondo dei fotografi, che si sono misurati direttamente non solo con il panorama visivo contemporaneo ma anche con le logiche della trasformazione del documento in opera d’arte.
La mostra, articolata in sei sezioni, prende avvio con il famoso collage del 1956 What is it that makes today’s homes so different, so appealing? di Richard Hamilton, considerata la prima opera compiutamente Pop della storia, un collage fotografico in cui si trovano tutte le figure della società dei consumi dell’epoca, un panorama visivo e tematico che riassume i caratteri salienti non solo di un movimento artistico ma del costume di quel decennio (qui esposto nella versione digitale del 2004).
Le fotografie che ritraggono le icone più potenti degli anni ‘60 diventano esse stesse opere e icone Pop: uno degli esempi più noti è la Marilyn Monroe di Warhol, di cui in mostra troviamo esposto lo storico portfolio di 10 grandi immagini del 1967 tratte da uno scatto promozionale del film Niagara, così Brigitte Bardot di Gerald Laing (1963), Mick Jagger arrestato per possesso di droga (Swingeing London III, Richard Hamilton, 1972) o Tommy Carlos e il suo pugno alzato (Muhammad Speaks, Joe Tilson, 1970). Le opere Pop spesso sono precedute da uno scatto fotografico, come nella tela di Mimmo Rotella Divertiamoci (1966) che rappresenta la realtà vista dal finestrino di un’automobile.
Gli oggetti di uso comune sono l’altra caratteristica essenziale del linguaggio Pop. Lo straordinario libro d’artista di Ed Ruscha, Every Building on the Sunset Strip del 1966, che con i suoi sette metri di estensione raffigura l’architettura di Los Angeles da ogni possibile angolazione.
Un’intera sala di CAMERA è interamente dedicata ad Ugo Mulas, il fotografo che meglio di ogni altro ha saputo documentare ed interpretare la natura e lo spirito dell’arte Pop. Mulas è a Venezia nel 1964 in occasione del conferimento del Gran Premio della Pittura a Robert Rauschenberg, quindi tra il ‘64 ed il ‘65 racconta la leggendaria Factory di Andy Warhol e il complesso rapporto tra l’arte, l’idea di riproduzione e la fotografia. Una quarantina di scatti, alcuni pressoché inediti, raccontano uno dei momenti più alti del rapporto tra fotografia e Pop Art, al confine tra documentazione e creazione. Le opere di un altro grande fotografo italiano, Mimmo Jodice, documentano invece la presenza di Warhol a Napoli.
Ecco The Call, il celebre Calendario Pirelli realizzato nel 1973 da Allen Jones e Brian Duffy, una galleria di figure femminili trasgressive, prorompenti ed ambigue, tra realtà e finzione, erotismo ed ironia. E se le opere di Claudio Cintoli (Mezza bocca per G.D. e Rosso per labbra del 1965) attraverso la tecnica del close up, ovvero dell’ingrandimento esasperato di un particolare, esaltano la natura sensuale delle labbra, trasformando un particolare nel tutto, Michelangelo Pistoletto con i suoi quadri specchianti fa entrare lo spettatore direttamente nell’opera (Ragazza che cammina, 1966).
Un’ampia sezione della mostra è dedicata al concetto di riproduzione. La macchina fotografica ha rinnovato il modo di vedere il mondo, il mondo è conosciuto e concepito attraverso le riproduzioni fotografiche, e gli artisti Pop si rivolgono a questo immaginario e a queste pratiche. È la società dei consumi e delle immagini di massa, nella quale la fotografia ha un ruolo centrale. In questa sezione troviamo le iconiche e drammatiche sedie elettriche di Warhol (Electric Chair, 1971) e una grande tela realizzata a quattro mani da Robert Rauschenberg e dal fotografo italiano Gianfranco Gorgoni: Gorgoni realizza un ritratto dell’artista texano sdraiato in piscina, quindi Rauschenberg interviene sul ritratto inserendo immagini fotografiche tratte dai giornali e dalla realtà, dando vita ad un’opera non più definibile secondo le categorie tradizionali della pittura, della fotografia o della grafica. Tra gli artisti italiani non poteva mancare Mario Schifano, in particolare il ritratto Nancy dove il processo artistico trasforma l’iniziale fotografia in tela dipinta.
Presenti in mostra anche opere di Jim Dine, Joe Goode, Ray Johnson, Rosalyn Drexler, Peter Blake, Allen Jones, David Hockney, Derek Boshier, Tony Evans, Sigmar Polke, Wolf Vostell, Franco Angeli, Umberto Bignardi, Gianni Bestini e Sebastiano Vassalli.
Emanuele Rebuffini