Un centinaio di opere dalla impressionante attualità e straordinaria forza espressiva, quasi totalmente inedite e provenienti dalla casa studio milanese, esposte senza titoli né date, ci portano dentro la dimensione privata e quotidiana della coppia più celebre dell’arte della seconda metà del XX secolo, Marisa e Mario Merz, protagonisti della mostra «La punta della matita può eseguire un sorpasso di coscienza», curata dall’architetto Mariano Boggia, stretto collaboratore di Mario e spettatore curioso ed appassionato del lavoro di Marisa, ed ospitata fino a fine anno negli spazi della Fondazione Merz.
Una mostra priva di intenti celebrativi ma dal cuore domestico, quasi un entrare nello loro case studio (prima a Torino e poi a Milano), alla scoperta dei lavori più “familiari”. Per la prima volta Marisa e Mario si incontrano in un percorso espositivo unitario, che consente di avere una visione complessiva del loro lavoro attraverso un dialogo tra due personalità e pratiche artistiche dai percorsi certamente autonomi ma che hanno sempre condiviso gli stessi luoghi. Nelle loro case ciascuno aveva il proprio spazio ma l’altro era sempre presente. Nei musei e nelle sedi espositive erano sempre insieme. Si sono confrontati sugli stessi temi, riproponendoli continuamente ma con risultati artistici sempre diversi. Indipendenti nella produzione artistica eppure intimamente collegati e comunicanti in uno scambio creativo intenso e profondo. Avvolti da un “tempo presente infinito”, che li ha legati nell’arte come nella vita.
Il “tempo presente infinito” in cui Marisa Merz (1926-2019) si è dedicata allo studio della struttura dei volti femminili con il disegno, la pittura, la scultura. Teste femminili su carta o in cera o terracotta, esili e visionarie, opere apparentemente fragili ed impalpabili, nelle quali coglieva la sospensione perenne delle cose, la loro componente fluttuante, aerea, leggera, come le trame di fili di rame. Personalità schiva, disinteressata alla dimensione pubblica, Marisa Merz non ha voluto percorrere una carriera espositiva intensa ma non è certo stata una figura ‘minore’ dell’Arte Povera, è da collocarsi tra le grandi protagoniste dell’arte internazionale, anche se la consacrazione è arrivata solo in tempi recenti, con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2013 e con le grandi mostre internazionali negli Usa (Metropolitan di New York ed Hamber di Los Angeles) ed in Europa.
Il “tempo presente infinito” in cui Mario Merz (1925-2003), con la sua esuberante energia, ha esplorato lo spazio ed il tempo, creando tavoli, neon, igloo (qui è esposto quello in vetro realizzato nel 1969), grandi disegni con animali e vegetali, immagini di una natura reinventata e riclassificata.
«Presentare insieme le opere di Marisa e Mario Merz significa avere l’opportunità di cogliere due modalità espressive differenti, ma intimamente collegate e interagenti-dice Mariano Boggia–Marisa e Mario vivono e si mostrano sempre insieme, è impossibile separarli. Insieme lavorano negli spazi domestici della casa; insieme si muovono nel mondo esercitando ciascuno sull’altro, stimoli, incoraggiamento e protezione».
Il titolo della mostra è una frase di Mario Merz, che riconduce al terreno comune della pratica artistica come punto di inizio per la prefigurazione di mondi sconosciuti: la punta della matita, il mestiere dell’artista, offre una possibilità di eseguire un “sorpasso di coscienza”, ovvero di sottrarsi alla necessità di doversi adeguare ad un pensiero dato.
Dopo l’estate, la mostra vivrà una “seconda fase”, infatti le opere della collezione saranno integrate con lavori di artisti amici, che verranno a trovare Marisa e Mario a casa loro.
Emanuele Rebuffini
Courtesy Fondazione Merz
Photo Renato Ghiazza