Da Capa a Ghirri. La Collezione Bertero tra «Memoria e Passione»

«Per me il valore primario di una fotografia è il suo valore di documento, di testimonianza di un certo evento, di un certo momento storico, è la memoria delle persone, di ognuno di noi». Nel 1998, in occasione di Artissima, Guido Bertero, appassionato collezionista di arte moderna e contemporanea, acquista per le figlie due fotografie dell’artista americana Jan Groover.

Nasce così, in modo casuale, quella che a oggi è per dimensioni, originalità e qualità, una delle più importanti raccolte fotografiche dedicate al Neorealismo, termine che definisce soprattutto uno stile cinematografico ma che è stato applicato anche alla fotografia per indicare una tendenza incentrata sulla rappresentazione documentaristica del reale.

William Klein, Koffee and attendants
1956 © William Klein

Il nucleo principale della Collezione Bertero è dato dalle fotografie che raccontano l’Italia del dopoguerra, opera sia di fotografi stranieri, spesso giovani reporter al seguito delle truppe americane che poi si fermarono in Italia (David Seymour, William Klein, Herbert List, Bruno Barbey), sia di autori italiani allora emergenti e divenuti in seguito tra i grandi maestri della fotografia italiana. Contadini, minatori, seminaristi, famiglie, nobildonne, commendatori, barbieri, baristi, militari, bambini, dongiovanni a metà strada tra Sordi e Fabrizi: nelle fotografie collezionate da Guido Bertero, un intero Paese si mette in posa, e quello che scaturisce è un vero ritratto antropologico degli usi e dei costumi italici.

Robert Capa, Sicilia, nei pressi di Troina (provincia di Enna), agosto 1943.
Contadino siciliano indica a ufficiale statunitense la strada presa dai tedeschi.
1943 © Robert Capa
Courtesy International Center of Photography/Magnum Photos/contrasto

Fino al 30 agosto CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia ospita «Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero». Tra le oltre duemila immagini che compongono la collezione, Walter Guadagnini, Barbara Bergaglio e Monica Poggi ne hanno scelte circa trecento, realizzate da cinquanta autori, partendo dalla scena italiana per allargarsi a quella americana e abbracciando dagli anni Trenta agli Ottanta del secolo scorso, e tra questi Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario Cattaneo, Carla Cerati, Mario Cresci, Mario De Biasi, Mario Dondero, Alfred Eisenstaedt, Franco Fontana, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, Duane Michals, Ugo Mulas, Ruth Orkin, Federico Patellani, Ferdinando Scianna, Franco Vimercati e Michele Zaza.

Jan Groover, Untitled
1981 © eredi Jan Groover
Courtesy the artist and Galleria Raffaella Cortese, Milano

Una mostra che è la storia di un collezionista (non a caso si apre con uno dei quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto), e al contempo un racconto dell’Italia tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta attraverso scatti che hanno contribuito a creare l’icona del Belpaese nell’immaginario collettivo.

Mario De Biasi, Gli italiani si voltano. Moira Orfei
1954 © Archivio Mario De Biasi
distribuito da Mondadori Portfolio

Fra le numerose opere in mostra ci sono alcuni dei capolavori che hanno fatto la storia della fotografia internazionale come «La strada per Palermo», foto simbolo dello sbarco americano in Sicilia realizzata da Robert Capa nel 1943; «American girl in Italy, Firenze» di Ruth Orkin che nel 1951 ritrae una turista americana in vacanza a Firenze mentre si avvolge lo scialle; il reportage dedicato all’Italia da Henri Cartier-Bresson nel 1952. Tante sono le opere che hanno segnato in maniera decisiva l’evoluzione della fotografia italiana, come «Gli italiani si voltano» (1954) di Mario De Biasi, dove un gruppo di uomini ammira la bellezza di una giovane Moira Orfei che passeggia in abito bianco tra gli sguardi ammirati per le strade di Milano; i due amanti appartati fra le dune di un lido veneziano, scovati da Gianni Berengo Gardin nel 1958; gli scorci popolari di Enzo Sellerio che in «Palermo, via S. Agostino» (1960) ritrae una coppia di bambini che trasportano due sedie sopra la testa; i pretini che giocano nella neve, ritratti da Mario Giacomelli nel 1961 in composizioni eteree e astratte; la vita mondana milanese tra vernissage e parties della serie «Mondo Cocktail», realizzata da Carla Cerati all’inizio degli anni Settanta durante le inaugurazioni di gallerie d’arte e negozi della Milano bene, la comunità trans raccontata da Lisetta Carmi.

Gianni Berengo Gardin, Venezia. Il lido
1958 © Gianni Berengo Gardin
Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

E ancora, Federico Fellini sul set di 8½ e lo spogliarello di Aïché Nanà al Rugantino immortalati da Tazio Secchiaroli, i minatori di Carbonia di Federico Patellani (1950), la devozione religiosa raccontata da Ferdinando Scianna («Pellegrinaggio a Santa Rosalia» del 1962 e «Festa di sant’Alfio, Cirino e Filadelfo» del 1964), Mario Cattaneo («Vicoli di Napoli. Bambini sul tram», 1951), Cecilia Mangini («Il pranzo in arrivo», 1952), Fulvio Roiter  («Sulla strada Gela-Niscemi» 1953), Nino Migliori («Il garzone del barbiere», 1956), Uliano Lucas («Emigrante in piazza Duca d’Aosta», 1968), Piergiorgio Branzi («Ragazzo con orologio», 1956).

Federico Patellani, Carbonia, 1950. Minatori
© eredi Federico Patellani
Courtesy Museo di Fotografia Contemporanea
di Cinisello Balsamo

Una sezione della mostra è dedicata alla leggendaria campagna fotografica che prese il nome di FSA (Farm Security Administration), ovvero la più grande esperienza di committenza pubblica della storia della fotografia voluta a metà degli anni Trenta dall’amministrazione Roosvelt per documentare lo stato dell’agricoltura dopo la Grande Depressione (oltre 77mila fotografie), e al lavoro della Photo League sulla nuova classe lavoratrice urbana e sull’evoluzione del contesto urbano. Attraverso gli scatti di Ben Shahn, Joseph Kaplan, Russel Lee, Dorothea Lange si afferma il ruolo sociale del fotografo e una nuova concezione del fotoreportage.

Franco Fontana, Basilicata
1975 © Franco Fontana

Nonostante che a Guido Bertero ciò che interessa nella fotografia è la capacità di essere memoria vivente dei fatti, dei luoghi, delle persone in un determinato momento storico, raccontando storie al contempo personali e collettive, la sua collezione, cresciuta negli anni sotto la guida di Enrica Viganò, ha saputo andare oltre i confini dell’estetica neorelista per approdare a quella concettuale, indagando le ricerche più sperimentali e le composizioni di carattere astratto capaci di violare ogni convenzione fotografica. In mostra quindi troviamo anche le celebri «Verifiche» (1969-72) di Ugo Mulas, attraverso cui il fotografo ha indagato e scardinato alcuni dogmi del linguaggio fotografico; i viaggi immaginari e le riscritture del paesaggio di Luigi Ghirri e Franco Fontana; le geometrie raffinate di Gabriele Basilico («Ritratti di fabbriche», 1978-80); la bellezza silenziosa della rilettura di Mimmo Jodice della cultura millenaria mediterranea. «Gli ultimi rappresentanti di un’idea della fotografia nella quale mi riconosco, una generazione che ha saputo rinnovare il linguaggio continuando a raccontare la realtà (…). La macchina fotografica può essere anche uno strumento come un pennello, con il quale tu realizzi delle immagini che non hanno bisogno del riferimento diretto alla realtà, immagini che portano con sé un’idea di bellezza e anche del tempo che le ha generate». Così se la beccheria fotografata da Nino Migliori nel 1956 è un «documento esemplare di come si viveva in un certo luogo in un certo momento, riconosci ogni dettaglio della storia di quelle persone e di quel luogo», guardando le sue Ossidazioni, «mi sembra di vedere un quadro di Hartung».

Ferdinando Scianna, Trecastagni, provincia di Catania,
1963. Festa di Sant’Alfio, Cirino e Filadelfo.
© Ferdinando Scianna/Magnum Photos/contrasto

La mostra è accompagnata da un volume pubblicato da Umberto Allemandi introdotto da Walter Guadagnini. In copertina, l’utimo acquisto di Guido Bertero: «Alpe di Siusi» di Luigi Ghirri, del 1979. Una coppia che si avvia verso una montagna, chissà quanta strada hanno percorso, ma gliene resta ancora tanta per arrivare alla loro meta. Una foto al contempo serena e malinconica che suona come una dichiarazione di poetica. Perché «le immagini sono enigmi che si risolvono con il cuore» (Luigi Ghirri).

www.camera.to

Emanuele Rebuffini