Opere dal forte impatto emotivo, cariche di drammaticità e pervase di crudeltà, che indagano sulla condizione umana e su temi universali come il dolore, la violenza del mondo, il corpo, la memoria, la redenzione. Fino al 15 marzo la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita «Aletheia», mostra dell’artista belga Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964), curata da Irene Calderoni.
Sculture e installazioni che danno vita ad una narrazione organica, fortemente influenzata dalla realtà quotidiana come dalla storia dell’arte e dalla mitologia, e che traggono ispirazione da un luogo visitato dall’artista: un laboratorio per la lavorazione delle pelli ad Anderlecht, in Belgio. Qui le pelli degli animali, appena scuoiate, vengono impilate su larghi pedane di legno e ricoperte di sale, per proteggerle e conservarle. Questo luogo estremo e l’ammasso di morte che evoca tragedie passate e attuali, dà forma a temi chiave nella ricerca dell’artista, la relazione complessa tra vita e morte, Eros e Thanatos, bellezza e angoscia.
Un luogo ripugnante, un carnaio inquietante ed angosciante, che evoca al contempo un’idea di sacralità in relazione ai resti mortali del corpo, e come tale incarna la domanda al centro del lavoro di Berlinde De Bruyckere, come avvicinare l’intollerabile, e come redimerlo.
Le pelli animali giocano un ruolo chiave, sono sottoposte dall’artista a una serie di differenti operazioni, calco e riproduzione in cera, piegatura, drappeggiatura, costrizione e deformazione. Scaturiscono così volumi scultorei di impronta minimalista, la cui solidità è contraddetta dalla fragile materialità e dalle delicate cromie. Dalla superficie delle sculture emergono brandelli di pelo, resti di carne, granelli di sale. La pelle animale prende il posto della figura umana per veicolare il tema della sofferenza degli esseri viventi e il dramma delle tragedie che caratterizzano il nostro tempo. I cadaveri accatastati nei campi di sterminio, le fosse comuni, i migranti morti in mare, gli allevamenti intensivi…
«In questo momento storico-spiega Berlinde De Bruyckere-in cui proliferano estremismo e razzismo, in cui compassione e solidarietà sono inariditi, in cui vediamo troppe somiglianze con l’inquietudine degli anni Trenta che ha preceduto le mostruosità innominabili dell’Olocausto e quella particolare diffamazione della civiltà è persino negata da persone con troppo potere politico, sento l’esigenza di proporre immagini audaci, forti. Come una esperienza fisica, immersiva».
Il percorso espositivo si chiude con una serie di opere a muro che si ispirano agli horti conclusi diffusi nei Paesi Bassi nel Tardo Medioevo e realizzati dalle monache a fini devozionali. Piccoli tabernacoli riccamente decorati che l’artista ha ripreso in forma monumentale, intrecciando il motivo floreale con la pelle animale, e dando vita a memento mori carichi di pathos, dove la sofferenza si trasforma in passione, il declino in desiderio, la morte in vita.
(foto di Paolo Formica)
Emanuele Rebuffini