Convento di San Marco a Firenze. Cella III. L’Annunciazione del Beato Angelico. Essenziale e rivoluzionaria. Il muro del loggiato a fare da sfondo, l’Angelo Gabriele e la Vergine che condividono lo stesso luminoso spazio. In quell’atmosfera intensa e raccolta, la coppia di artisti torinesi Gioberto Noro (Rebis di Sergio Gioberto e Marilena Noro) hanno “inquadrato” un dettaglio: lo spazio quadrato, bianco e vuoto, posto tra l’Angelo e la Madonna, che contiene il vero protagonista dell’affresco, ovvero la luce. Hanno ingrandito quel dettaglio per portarlo alle misure (79,4×79,4 cm) dei quadrati neri e bianchi di Malevič, spiritualità fatta astrazione. L’Annunciazione come metafora della luce che si incarna, della luce che si fa materia. L’Annunciazione come Arché, origine di tutte le immagini che configurano il mistero del rapporto tra visibile ed invisibile.
Il “Luogo geometrico dell’Essere (omaggio a Beato Angelico)” è l’opera che accoglie i visitatori alla Galleria Peola Simondi, che fino al 30 gennaio ospita la mostra «Sulla fotografia (analogie e figure del dissimile)», sette lavori in cui Gioberto Noro proseguono la loro ricerca sul pieno e sul vuoto, sull’ombra e sulla luce, sul positivo e sul negativo, sull’essenza della fotografia.
Un viaggio in sette tappe nel silenzio e nell’attesa. «Siamo ai confini del vuoto, un vuoto gravido di pieno, annunciazione di vita che sta per schiudersi all’esistenza», scrive Gregorio Botta nel testo critico che accompagna la mostra.
Sergio Gioberto e Marilena Noro si occupano di percezione visiva, considerano il medium fotografico come una bussola, o una mappa, per “vedere”. Le loro opere, fotografie dalla forte valenza pittorica, non sono trappole visive volte a incantare, ma immagini per “salvarsi la vista”, immagini terapeutiche che aiutano a vedere. Riorganizzando il campo percettivo attraverso una consapevole geometria dello sguardo, cercano di disattivare l’anestesia visiva provocata dall’uso bulimico dello smartphone e dall’incessante flusso quotidiano di immagini senza alcuna necessità intrinseca, che, anziché essere chiavi di accesso al reale, finiscono per separarci da esso, allontanandoci dalle cose e dalle persone.
Spiega Sergio Gioberto: «Percepire è vedere i vuoti che ci sono tra le cose. Nella quotidianità non ci soffermiamo su questi vuoti. In un mondo dove si è perso l’incanto bisogna realizzare immagini che, attraverso un prodigio visivo, consentano di passare dal ‘guardare’ al ‘vedere’. Guardare, stare in guardia, è atto predatorio. Vedere è ricevere, è raccogliere. Il vedere ha a che fare con la sinestesia, il sentire, lo stare immersi. Quando vedi te ne accorgi, perché senti che sei nel mondo, il che non succede quasi mai. Come scriveva Rainer Maria Rilke nell’Ottava elegia, stiamo di fronte al mondo e ne abbiamo coscienza, mentre gli animali stanno nel mondo, ma forse non ne hanno consapevolezza. Quando ci innamoriamo, nell’ascesi verso una dimensione spirituale, così come attraverso l’arte, possiamo, per istanti brevi, provare questa esperienza di immersione nel reale».
La fotografia per Gioberto Noro è strumento d’indagine del mondo, ritagliando un frammento di realtà, come il quadrato bianco tra l’Angelo e la Madonna, ha la capacità deflagrativa di rivelare una realtà molto più ampia, di trascendere il campo compreso nell’obiettivo.
«La fotografia è sovversiva, è stata il grado zero dell’arte, quando è nata ha cambiato per sempre sia la pittura sia la scultura, affrancandole dalla riproduzione del reale e dando agli artisti nuove possibilità. A noi questo medium piace usarlo alla sua massima potenza, “ri-generando” le opere fotografate, attraverso le inquadrature di dettagli e le trasformazioni di scala. L’ingrandimento, il blow-up, può generare un’opera in grado di conquistare una propria autonomia».
Per “vedere” davvero, talvolta è necessario isolarsi in uno spazio minimo e immergersi in una contemplazione del niente, come ben sapevano i monaci che nel Quattrocento pregavano nelle celle del convento fiorentino.
L’assenza gravida di energia è protagonista anche nella serie “Altissima luce”, inquadrature verticali che sembrano tendere verso il cielo. Gioberto Noro realizzano e fotografano modelli architettonici in scala ridotta, modelli che operano come intermediari tra gli artisti e il mondo reale, teatrini del vuoto leggeri e rarefatti, «una vertigine di bianchi nei quali perdersi per ritrovarsi, irrorati da una luce segreta» (Gregorio Botta). Ecco, poi, il blu profondo e intenso di “Cronocamera”, che richiama il blu spirituale di Klein, ma anche il blu assoluto di Ad Reinhardt, per arrivare alle sorprendenti “Metacromie (à rebours)”, due conchiglie, una Fasciolaria e una Saint Jacques, che si trasfigurano (grazie ad un ingrandimento e all’inversione dei colori), diventano iridescenti vibrando in un blu ultraterreno. «Creature di un altro mondo, leggere, inafferrabili e meravigliose, architetture naturali che, come tutte le architetture, servono ad un solo scopo: dare una forma al vuoto» (Gregorio Botta)
http://www.peolasimondi.com
Emanuele Rebuffini
ph: courtesy dell’artista e della Galleria Paola Simondi