«Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini» (Walt Whitman). Cinque artisti accomunati non da un tema né da un linguaggio, ma dalla contraddizione, dall’ambiguità espressiva, dalla capacità di sovrapporre nella loro produzione spinte ed elementi che vanno in direzioni opposte, producendo tensioni e vibrazioni, forza emotiva ed energia artistica.
Tradizione e modernità, cupezza ed ironia, ridondanza e cancellazioni, elementi preziosi ed altri dozzinali, pubblicità e tragedie.
Ad unire Francesco Barocco (Susa, 1972), Riccardo Baruzzi (Lugo, 1976), Luca Bertolo (Milano, 1968), Flavio Favelli (Firenze, 1967) e Diego Perrone (Asti, 1970), i cinque artisti selezionati dalla curatrice Elena Volpato per la mostra collettiva «Sul principio di contraddizione», alla Gam Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino fino al 3 ottobre, è «la presenza di uno spazio di possibilità all’interno delle loro opere, composte, quasi sempre, da almeno due elementi, da due o più nature, da due o più immagini non pienamente conciliabili tra loro e legate da un vincolo di ambiguità che talvolta diviene chiaro rapporto di contraddizione. Ciò che unisce questi cinque artisti è la capacità di tenere all’interno delle loro opere lo spazio che separa e congiunge più rappresentazioni e di riconoscere il loro sovrapporsi nel tempo, di accogliere nel corpo stesso dell’opera il cono d’ombra da cui provengono svelando l’inesauribilità delle immagini, il loro emergere continuo e ripetuto».
Lavori che spaziano dalla pittura alla scultura, realizzati con le tecniche più varie, dalle composizioni architettoniche fatte con mobili e cassettoni ai disegni tracciati in digitale. I retri di specchio di Flavio Favelli imprigionano le immagini invece di rifletterle, mentre dal fondo del tempo riemerge la tragicità di avvenimenti storici insieme all’apparente leggerezza delle pubblicità;
le superfici pittoriche eclettiche e sfigurate di spray di Luca Bertolo; le sculture in vetro di Diego Perrone; le tele di Riccardo Baruzzi, fatte di figure abitate da altre figure, di contorni che si sovrappongono in uno spazio contraddittorio, di sfondi profondi e senza tempo da cui emergono immagini sempre sul punto di dissolversi nuovamente, «il suo immaginario si nutre della conoscenza dell’arte passata così come di forme di decorazione popolare e l’apparente contrasto si scioglie nella leggerezza di una pratica che si muove libera tra la linea pittorica, il disegno digitale, il riverbero sonoro e l’azione performativa»;
mentre nelle sculture di Francesco Barocco non sai se i tratti di nera grafite siano disegni tracciati sul bianco, oppure ombre che affiorano dal fondo.
Pratiche artistiche, che, fuggendo da qualsivoglia tentazione di assertività, aprono spazi di immaginazione.
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Emanuele Rebuffini