«Spediscimi immediatamente 12 rulli di Kodachrome con tutte le istruzioni su come usarli, filtri, etc… in breve, tutto ciò che dovrei sapere, perché ho un’idea per Life». Così scriveva Robert Capa nel luglio del 1938 dalla Cina, dove si trovava per seguire la guerra sino-giapponese. Il maestro della fotografia in bianco e nero, “il più grande fotografo di guerra”, il fotoreporter che ha documentato con scatti iconici la guerra civile spagnola, lo sbarco in Normandia e l’avanzata degli Alleati in Sicilia, ha utilizzato la pellicola a colori in modo tutt’altro che sporadico, sia nei teatri bellici sia per raccontare la vita quotidiana nel dopoguerra. Fino al 30 maggio, le Sale Chiablese dei Musei Reali ospitano la mostra «Capa in color», oltre 150 immagini a colori, esposte per la prima volta in Italia, che appartengono alla collezione conservata all’International Center of Photography di New York curata da Cynthia Young.
Robert Capa utilizzò il colore anche durante la traversata dell’Atlantico su un convoglio militare (nel 1942, per il Saturday Evening Post) ed in occasione delle vittorie alleate in Tunisia e Nord Africa, ma fu soprattutto a guerra finita che si avvalse delle pellicole a colore per i servizi destinati a rotocalchi, come le riviste americane Holiday e Ladies’Home Journal e la britannica Illustrated. Reportage dove l’abilità tecnica si abbina alla capacità di raccontare le emozioni umane. Un’estetica sempre calata nella realtà. Nonostante il colore non rientrasse nell’idea di fotogiornalismo dominante a metà del Novecento, e venisse associato all’intrattenimento, c’era anche l’esigenza di mantenere in vita l’agenzia Magnum, di cui fu Capa fu cofondatore, realizzando servizi appetibili per i periodici illustrati.
Ernest Hemingway fotografato nella sua casa a Sun Valley, in Idaho; le fotografie della Piazza Rossa di Mosca, realizzate durante un viaggio in URSS nel 1947 con lo scrittore John Steinbeck; il viaggio in Israele con lo scrittore Irwin Shaw e il racconto della vita dei primi coloni; il progetto Generazione X realizzato nel nord della Norvegia. La parte più suggestiva della mostra è forse quella in cui Robert Capa osserva l’alta società: le stazioni sciistiche più alla moda delle Alpi svizzere ed austriache, gli ice bar sulle nevi di Zermatt, donne in bikini sulle spiagge francesi di Biarritz e Deauville, le indossatrici ritratte lungo le banchine della Senna e in Place Vendôme, attori e registi sui set cinematografici (Ingrid Bergman, Geraldine Brooks, Ava Gardner, Humphrey Bogart, Orson Welles, John Huston e Truman Capote), la modella ed attrice francese Capucine affacciata ad un balcone a Roma, Pablo Picasso fotografato su una spiaggia mentre gioca con il figlio Claude…Un mondo vitale e glamour che non poteva che essere raccontato se non con il colore, e Robert Capa ne fa un uso sapiente ed elegante, dimostrando di averne colto tutte le potenzialità.
Per tutti i lavori realizzati dalla fine della guerra in poi, Robert Capa impiegava sempre almeno due fotocamere: una per le pellicole in bianco e nero e una per quelle a colori, usando una combinazione di 35 mm e 4×5 Kodachrome, e le pellicole Ektachrome di medio formato, sottolineando l’importanza di questo nuovo mezzo per la sua crescita professionale.
Continuò a lavorare con pellicole a colori fino al termine della sua vita, anche durante il viaggio in Indocina, dove nel maggio 1954 troverà la morte su una mina. Forse le sue migliori foto di guerra, misteriosamente mai pubblicate. «Non è un atto blasfemo riconoscere questa parte del suo lavoro e prendere atto che l’ironia, il glamour e l’intrattenimento furono una parte importante della sua fotografia, quanto lo furono il profondo impegno per i diritti democratici e il suo contributo nel mostrare le ingiustizie sociali» (Cynthia Young).
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Emanuele Rebuffini