Il 27 settembre del 1967, a Genova, alla Galleria La Bertesca, “nasceva” l’Arte povera. Quella sera si inaugurava la mostra Arte povera Im-Spazio, curata da Germano Celant. Tra gli artisti selezionati, Giulio Paolini, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto Luciano Fabro, Pino Pascali…ed Emilio Prini, presente con l’opera Perimetro d’aria. Originario di Stresa (dove nacque nel 1943), Prini è stato il più concettuale tra gli esponenti dell’Arte povera, “un artista che si muove nel vuoto” (la definizione è di Celant), geniale, sfuggente, enigmatico, ironico, provocatore. Fino al 9 febbraio la Fondazione Merz omaggia Emilio Prini con una mostra che raccoglie oltre quaranta opere dal 1966 al 2016 (l’anno della morte, a Roma).
«Emilio faceva giochi seri, ingegnati. Gli oggetti a scomparsa totale, parziale o a consumo, quelli non fatti, ipotizzati ma in parte tracciabili, i concetti rivisti attraverso nuove possibilità, l’annientamento e la riproducibilità potrebbero indurre al non fare, a fermarsi, davanti a quella che a tratti appare come una contraddizione», dichiara la figlia Timotea Prini, che con Beatrice Merz ha curato la mostra.
L’oggetto del percorso espositivo, è la ricerca estrema che ha caratterizzato la produzione di Prini, sviluppata con molteplici media tra cui la fotografia, la scrittura, la poesia visiva, il testo sonoro, e articolata in diversi macro temi: la negazione e l’annullamento dell’opera, il rapporto spaziale vuoto-pieno, la standardizzazione dell’oggetto e della misura, la contrapposizione tra visibile e invisibile. I suoi lavori hanno un inizio, una durata e una fine, nulla si aggiunge e nulla si perde: «La porzione di pavimento che ho dipinto è stata consumata…La fotografia che ho scattato è svanita… Ho sviluppato un vuoto di 4 metri e 50 cm. staccando un ramo da un albero… Ho formato una linea di equilibrio continua trasportandola a distanza», scrive nelle sue ipotesi di azioni, nel 1968.
La selezione in mostra include opere iconiche come gli autoritratti fotografici Autoritratto (1968) e Manifesto per una sua mostra (Da Goya) (1979); le 46 ipotesi di azioni (1968) lastre di piombo con scritte impresse a punzone attraverso il peso delle sue mani. Gli studi sul calco e lo spazio come Perimetro d’aria (1967), delineante la porzione di spazio-cubo d’aria, di cui la matrice è Perimetro Misura a studio stanza e i rilevamenti architettonici di Genova come Muro in curva e Strada franata (1967/1995), Vetrina (1974/75), ricostruzione scenografica della mostra Mostro-una esposizione di oggetti non fatti non scelti non pensati da Emilio Prini; Il Manifesto Bianco (1981), in cui il bianco serigrafato definisce l’intero del foglio che si estende, occupa ed assume una posizione fisica nello spazio e i più recenti La Pimpa Il Vuoto (2008), dove attraverso immagini tratte dal celebre fumetto di Altan ottiene un paradosso aggiungendo per sottrarre, trasformando qualcosa in nulla e Colori (2016), tredici cornici a giorno contenenti cartoni colorati che con lo scorrere del tempo e della luce, suggeriscono nuove impressioni sviluppando un’azione, ma anche un ritratto per ognuno dei 13 artisti dell’Arte povera.
I concetti di alterazione dello standard attraverso interventi di sottrazione come Chitarrone (Il buon governo), Governo non standard – Due linee che si uniscono in basso (1986), Collezione da scavi (1980) che comprendono Ferro curvato e Burattini; i progetti filmici sviluppati attraverso la fotografia e la scrittura, come ne Il cartello del film non fatto (1966) e Un piccolo film, (1968/1995), o le smisurate edizioni di immagini fotografiche come le oltre 37.000 foto di Film Tv, 5 min. (1969) o le circa 20.000 stampe di Magnete (1969/70) relazionate anche alla riproducibilità e il conseguente esaurimento degli apparati tecnici utilizzati, così come nei manifesti e stampe tipografiche tra cui citiamo Standard l’USA USA e Magnet (1969).
Dopo essere stato presente negli eventi che hanno segnato l’esordio dell’Arte povera (tra cui la mostra alla Gam di Torino, nel 1970), Prini è quasi scomparso – poche le opere visibili, ancora più rara la partecipazione a mostre ed appuntamenti artistici – portando alle estreme conseguenze la smaterializzazione dell’opera e dell’oggetto, l’arte come sottrazione e vuoto. La mostra ripercorrere anche il legame di amicizia e di profonda stima tra Emilio Prini e Mario e Marisa Merz.
Emanuele Rebuffini
Photo by Renato Ghiazza