Man Ray, al secolo Emmanuel Radnitzky o l’uomo “dalla testa di lanterna magica” come lo chiamava André Breton, nasceva il 27 agosto del 1890 in una famiglia di immigrati russi di origine ebraica di Philadelphia. Nel 1912 inizia a firmare le sue opere con lo pseudonimo di “uomo raggio”, conosce Marcel Duchamps e nel 1920 lo segue a Parigi, dove diventa il ritrattista prediletto del mondo intellettuale e della moda. Protagonista assoluto del dadaismo e del surrealismo, tornerà a Parigi dopo la guerra e lì morirà nel 1976.
Fino al 19 gennaio CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia ospita «WO | MAN RAY. Le seduzioni della fotografia». Attraverso duecento fotografie, realizzate per lo più nella Parigi degli anni Venti e provenienti in gran parte dallo CSAC di Parma e dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia (dove espose nel 1975), la mostra curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola, vuole essere un omaggio ad uno dei più grandi artisti del XX secolo, celebrandone da un lato la genialità e le ardite sperimentazioni – come la tecnica dei rayographs e della solarizzazione – con cui rivoluzionò la fotografia, dall’altro concentrando l’attenzione sulle diverse declinazioni fotografiche della figura femminile, fonte di ispirazione primaria dell’intera sua poetica.
Attorno a Man Ray, infatti, gravitò un universo femminile di modelle, artiste, assistenti, amiche e compagne come Lee Miller, Berenice Abbott, Dora Maar, Meret Oppenheim, Kiki de Montparnasse, Nusch Éluard per arrivare a Juliet Browner, l’ultima moglie, protagonista de The Fifty Faces of Juliet.
Le opere in mostra esaltano il potere seduttivo della femminilità e della fotografia, mescolando sensualità, desiderio, eleganza e ambiguità.
«Come è ormai prassi a CAMERA – osserva il Direttore Walter Guadagnini – abbiamo voluto raccontare un pezzo di storia dell’arte e della fotografia da una prospettiva sorprendente: tutti conoscono Man Ray, i suoi nudi dall’erotismo sensuale, provocatorio e giocoso, ma non altrettanto conosciuta è la storia delle donne che con lui hanno collaborato, vissuto, litigato, che da lui hanno imparato e a lui hanno insegnato, e che si sono rivelate come altrettante protagoniste dell’arte e della fotografia mondiale. In questa nuova prospettiva, ricreiamo un ambiente, raccontiamo una storia in parte inedita ed esponiamo dei capolavori.»
Man Ray, infatti, fu anche il mentore di due tra le maggiori fotografe del XX secolo, Berenice Abbott e Lee Miller, inizialmente sue assistenti ma che poi seppero affermare il loro autonomo linguaggio. Come disse Sylvia Beach, editrice e proprietaria della libreria “Shakespeare & Co.” di Parigi, «Essere fotografati da Man Ray o da Berenice Abbott significava essere qualcuno», e in mostra troviamo una serie di ritratti della fotografa americana – James Joyce e Jean Cocteau, André Gide ed Eugène Atget – che ricostruiscono la stagione culturale che animava la Parigi negli anni tra le due guerre.
Lee Miller, giunta anche lei dagli Stati Uniti con la fama di bellissima modella, lavorò con Man Ray a partire dal 1929 ed è considerata la coautrice del portfolio Électricité (1931), uno dei capolavori assoluti della fotografia del periodo, per poi diventare a sua volta una protagonista della fotografia e del surrealismo. CAMERA espone per l’occasione venti sue opere che spaziano dal reportage alla fotografia di moda.
Nel 1934, la celebre artista surrealista Meret Oppenheim prestò il suo corpo per una delle serie più iconiche di Man Ray, Érotique-voilée (1933), che la ritraggono nuda in piedi vicino a un torchio da stampa. E poi Dora Maar, l’infelice musa di Picasso, e Nusch Éluard, compagna del poeta Paul e vera icona del gruppo surrealista, della quale viene esposto un raro collage (oltre che gli splendidi ritratti e nudi realizzati da Man Ray, tra i quali la sensuale silhouette del libro del 1935 Facile, capolavoro dell’editoria del tempo). E, ovviamente, la famosa cantante e ballerina francese Kiki de Montparnasse (Alice Prin), protagonista di opere leggendarie come Le Violon d’Ingres (1924), Noire et blanche (1926), La Prière (1930).
Un’intera sala è poi dedicata alla documentazione dei manichini dell’Exposition International Surréaliste del 1938, Les mannequins. Résurrection des mannequins, evento epocale nella storia dell’arte del XX secolo.
Emanuele Rebuffini