«Il filo conduttore è l’energia intesa in senso fisico e in senso mentale. I miei lavori pretendono di essere essi stessi energia perché sono sempre lavori viventi, o sono lavori in azione o lavori futuribili (…). Energia è la possibilità di riempire un vuoto, la possibilità di vuotare un pieno, è la possibilità di pianificare passato, presente, futuro, è la possibilità di rendere operative le funzioni consce ed inconsce del linguaggio». Tra i principali protagonisti dell’Arte Povera, Gilberto Zorio (1944), a partire dalla metà degli anni Sessanta, con il suo linguaggio rivoluzionario e la sua forza sperimentale ha contribuito a cambiare la storia dell’arte. Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea rende omaggio a questo straordinario artista con un’articolata retrospettiva che si chiude il 6 marzo. Curata da Marcella Beccaria e dall’artista stesso, la mostra ricostruisce, in modo non cronologico, cinquant’anni di ricerca artistica attraverso un percorso che affianca installazioni storiche custodite nella collezione privata di Zorio a nuovi lavori appositamente realizzati per il Castello e disegni di progetti mai realizzati.
«Gilberto Zorio è stato tra i primi artisti a pensare al proprio lavoro come a un processo energetico che si svolge nel tempo e che non conosce una vera condizione di staticità – spiega Marcella Beccaria – La conoscenza della fisica dei materiali, l’interesse per la chimica e le sue inclinazioni alchemiche, gli hanno permesso di realizzare opere dove nulla è metaforico e tutto, per quanto sorprendente, è sempre reale. L’idea che le opere abbiano un ciclo vitale, che appartengano al mondo e ne siano parte integrante, è un concetto elaborato da Zorio già nel 1967, al tempo della personale da Sperone a Torino, dove la sua arte emerge con forza dirompente.»
Stelle incandescenti, alambicchi e crogiuoli, fasci di luce e pelli di animali, giavellotti e canoe fluttuanti: utilizzando materiali dai più comuni ai più inconsueti, Zorio realizza opere vive, sculture in movimento, meccanismi che mutano rigenerando energia, suoni, colori. «A Zorio interessa la scintilla, il suono che due materiali producono quando si toccano, l’attimo in cui l’energia si carica e si manifesta come scoppio», commenta la direttrice del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev. Attivando reazioni chimiche e fisiche, e occupando lo spazio aereo oltre a quello sonoro immette i propri lavori all’interno di un ciclo vitale.
«Oltre che per la novità dei materiali impiegati, l’impiego di tecnologie futuribili e al tempo stesso antichissime, – aggiunge Marcella Beccaria – Zorio è stato anche un pioniere per quanto riguarda l’uso della dimensione sonora, insieme a quella aerea. Spesso, i suoi lavori si muovono, mentre soffiano e sibilano con voce propria». Zorio è stato tra i primi a sviluppare una vera relazione dialettica con lo spazio espositivo, pensando al luogo della mostra come a un’estensione del proprio studio, trasformando così l’allestimento da atto tecnico, puramente esecutivo, a processo intellettuale, parte integrante del proprio agire artistico. Per l’artista, ogni mostra è una nuova pagina bianca, carica di inedite possibilità.
Un visionario sperimentatore utilizza ferro, piombo, tubi dalmine, cavi di acciaio, resistenze elettriche, solfato di rame e cloruro di cobalto. Un sapiente e laico alchimista crea colori, fa reagire acidi, mette in contrasto la pesantezza del cemento con la leggerezza delle camere d’aria. Attraverso installazioni pensate come campi inesauribili di energia fisica e mentale, Gilberto Zorio ha rinnovato il linguaggio della scultura, liberandola dalla fissità e dalla pesantezza a cui è tradizionalmente associata. «L’intento è di immettere nell’arte il crepitio della vita, così da rituffare l’oggetto o l’artefatto in un processo di incandescenze rigeneratrici. I suoi lavori si possono considerare degli eccitatori di vita, perché fatti di crogiuoli in cui gli elementi si fondono o si coagulano» (Germano Celant, L’Espresso).
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Emanuele Rebuffini