Sicme Motori sbarca in India,

Sicme Motori arriva in India con una nuova joint-venture a Bangalore, che si prospetta fonte di innovazione e sviluppo per l'azienda torinese. L'intesa è con la TDPS, compagnia indiana è produttrice di generatori elettrici per energie rinnovabili, in particolare per applicazioni quali turbine a vapore e idriche.

L'accordo è stato siglato e Sicme Motori sbarca in India, a Bangalore, con una nuova joint-venture che si prospetta fonte di innovazione e sviluppo per l'azienda torinese, e per il settore motoristico industriale in genere. L'intesa è con la TDPS, fondata nel 1999 a Bangalore: la compagnia indiana è produttrice di generatori elettrici per energie rinnovabili, in particolare per applicazioni quali turbine a vapore e idriche; ha più di quattrocento dipendenti e una capacità produttiva pari a trenta motori al mese, una percentuale di rinnovamento dei generatori del 600% in cinque anni e una crescita annua del 50%.

La TDPS è inoltre associata con la Toyo Denki, compagnia giapponese dal 1918 produttrice di dispositivi elettrici e di generatori di potenza, la quale si è immessa nel mercato indiano nel 1982.
Una grande opportunità per Sicme Motori nell'ottica di una crescente internazionalizzazione, che si sta concretizzando anche grazie alla già consolidata presenza in Francia e Cina; questo accordo garantisce infatti l'ingresso in un mercato senza dubbio emergente, come quello indiano, che presenta ampie prospettive di crescita nei prossimi anni. E rappresenta un opportunità anche per i clienti di Sicme Motori, che avranno la possibilità di acquistare i generatori elettrici a magneti permanenti, l'ultimo ritrovato di casa Sicme, a un prezzo decisamente più competitivo.
Insomma, una combinazione vincente tra l'alta tecnologia italiana di Sicme Motori, la competitività di mercato indiana e la qualità produttiva giapponese.

Riunite le aziende dell'Infomobility

Si è svolto giovedì 5 luglio, all'Unione Industriale di Torino, il primo tavolo di lavoro sull'infomobilità in Piemonte, alla presenza delle aziende del settore. Durante l'incontro sono stati presentati il progetto Infomobility Cluster, promosso dalla Fondazione Torino Wireless, il nuovo programma Industria 2015, appena avviato dal Ministero dello Sviluppo Economico, che prevede 350 milioni di euro di finanziamenti.
Le presentazioni dell'incontro

Tre Torino su Second Life

Bruno Ruffilli e Alessandra C. su Lastampa.it

Torino sbarca su Second Life. E lo fa in grande, sia pure con un approccio che lascerà perplessi molti tra gli avatar e i residenti del mondo reale. Per il momento, la Mole Antonelliana c’è due volte, la Gran Madre una, i Murazzi e Piazza Vittorio pure. Molti i lavori in corso, le isole non completate, gli abbozzi di architetture vietati ai non autorizzati.

Già, perché di Torino in Second Life ce ne sono tre: una è realizzata dall’azienda NoGravity 99, www.nogravity99.com e cresce velocemente: ora comprende la zona di Piazza Vittorio, i Murazzi, con tanto di graffiti e locali, la chiesa della Gran Madre, che in realtà è una galleria d’arte. C’è lo stemma della città di Torino, la sede virtuale di Casasonica, l’etichetta dei Subsonica (che hanno pure un cartellone pubblicitario con le date del tour). Non manca un bar all’aperto, un negozietto d’arte e un’enoteca. S’intravede anche la Mole, però è solo uno scheletro in 3D, proprio come il Monte dei Cappuccini.

Sempre no NoGravity è impegnate nello sviluppo del progetto voluto da UniTo, uno scoglio fino a qualche giorno fa, poi improvvisamente è diventata una grande distesa di terreno con due aule magne, un bar, un enorme edificio ancora in costruzione. Alla fine L’Università di Torino dovrebbe occupare un’arcipelago di tre isole.

L’altra Torino ha solo la Mole (resa benissimo, però) e Porta Palazzo. La Torino-Mole-Porta Palazzo si chiama Torino 1 Italy ed è realizzata da una ditta con sede in corso Peschiera. Geniale l’idea della gita in pallone aerostatico: si può salire e godere di un tour virtuale dell’opera di Antonelli, con tanto di voce guida in italiano e inglese. Qui sono presenti le Porte Palatine; sembrano complete, ma l’accesso è ancora riservato.

La terza Torino è il principio di un progetto maestoso e completamente privato realizzato dal Gruppo Gnosys. La Torino realizzata su Second Life vanta una riproduzione fotorealistica. L’accesso è assolutamente interdetto ad avatar e mortali, fino al 19 luglio, giorno annunciato per l’inaugurazione.

Il gruppo sabaudo Gnosys, www.gruppognosys.com, ha nelle sue intenzioni la realizzazione di una vera e propria “virtual” minitalia, una ventina di leggiadre cittadine tutte pixel e business compariranno sull’onda del capoluogo piemontese.

Indipendentemente dalla grandezza, dalla riproduzione fotografica, dalla destinazione d’uso, tutte le Torino hanno un particolare che non possiende quella vera: da via Po, dietro la Mole, appena svoltato l’angolo dell’università c’è il mare, perché Second Life è un immenso arcipelago.

Torinocolors

Esiste un criterio intuitivo con cui è possibile orientarsi all’interno di una città, anche da parte di chi vi giunge per la prima volta? In che modo è possibile modificare la colorazione della città di Torino nell’immaginario collettivo nazionale ed internazionale? Torino colors rappresenta un caso unico di mappatura urbana cromatica complementare a quella toponomastica.

Un criterio intuitivo con cui è possibile orientarsi all’interno della città, anche da parte di chi vi giunge per la prima volta.

Il progetto verrà presentato a Torino dallo studio yet|matilde, in accordo con Turn, la nuova design community di Torino, per Torino 2008 World Design Capital, il giorno Venerdì 6 Luglio alle ore 19.30, nello spazio Sala Prove, in via Quittengo 35/A.

http://torinocolors.matilde.it
http://yet.matilde.it

Marchionne: Vi racconto lo spot della nuova 500, l'ho fatto io

Massimo Gramellini su La Stampa

Stasera la nuova Fiat 500 entra nella case di tutti gli italiani con una pubblicità che parla di Falcone, Ciampi, Valentino Rossi e Giorgio Gaber, non nomina mai la 500 e cita la Fiat soltanto una volta, alla fine. Colpiti dalla scelta, siamo andati a chiederne conto al pubblicitario che ha scritto il testo dello spot e scelto le foto che lo illustrano. È un esordiente. Si chiama Sergio Marchionne, uno che ama l’Italia come capita solo a chi non ci ha vissuto per molto tempo e che di mestiere gestisce da tre anni l’azienda di cui ha appena curato la réclame. È seduto davanti a un portacenere, gioca con l’accendino e porta il solito maglione blu. «Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno si è ancora accorto. Dopo gliela mostro».

Intanto ci dica quando ha deciso di darsi alla pubblicità.
«Il 16 maggio, di pomeriggio. Ho impiegato un’ora e mezzo per scrivere il testo al computer. Ma ce l’avevo in pancia da giorni. L’ho scritto in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è ancora più bello, perché l’inglese è una lingua precisa».

E cosa dovrebbe comunicarci di così preciso, lo spot della 500?
«Ricostruisce il Dna del gruppo Fiat. Abbiamo sputato sangue in questi anni per ripulirlo e ricominciare. Oggi, 4 luglio, per la Fiat è un nuovo inizio. Tre anni di catarsi per tornare a riveder la luce».

Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale, intendo. Un’organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera, chissà che fumetti avrebbe portato».

Fumetti amari, all’inizio.
«Per prima cosa ho fatto il giro del mondo in 40 giorni, ho visitato tutti gli stabilimenti, visto tutto. La burocrazia ministeriale. L’organizzazione non strutturata per la concorrenza. La logica era: quest’anno ho fatto un accendino, il prossimo anno ne farò uno più lungo di un millimetro, e chi se ne frega se intanto all’estero lo fanno di un chilometro. L’idea di fare soldi non era minimamente presa in considerazione, come in certi ambienti islamici dove il guadagno è considerato una forma di usura».

Il piemontese viene da generazioni di montanari, soldati, operai. Ha il culto dell’obbedienza.
«E io ho mantenuto la disciplina e il senso del dovere, però li ho dirottati verso la condivisione degli obiettivi. Lavoro di squadra vuol dire che tutti i miei uomini comunicano fra loro e si informano su tutto. Ma il leader deve anche saper decidere da solo. Quando andavo in Usa per trattare con GM mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il convertendo. Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire coperti da me. Vero, De Meo?». Luca De Meo, a.d. di Fiat Automobiles, è l’incarnazione fisica del nuovo verbo aziendale. Quarant’anni appena compiuti, testa svelta, lingua sciolta, jeans e musica rock, praticamente un alieno in diretta dal futuro: «Ogni tanto il dottore mi cazzia perché faccio quello che mi pare».

È così, dottor Marchionne?
«Tanto poi continua a farlo… Far parte della squadra, ecco quel che conta, Io so che se lascio uno di loro fuori da una decisione, lo sgonfio in tre secondi. È un po’ che li trascuro, è di nuovo il momento di dargli una sferzata. Come dice De Meo, abbiamo avuto cuore e gambe per entrare in Champions, adesso viene il difficile. Tutti ci davano per morti. Sull’ultimo numero del Journal de l’Auto c’è l’immagine di una 500 che esce dalla bara… Ma il rischio di retrocedere è svanito per sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla, toglierle le scarpe e il cappotto. Ma siamo sopravvissuti. Ora il sogno è un altro. Diventare i migliori. Non in tutto, che è impossibile. Ma su certi valori. Essere italiani significa farci riconoscere per lo stile che abbiamo. E poi i nostri concorrenti sono complessi, rigidi e pieni di procedure: speriamo che continuino. Noi invece stiamo diventando veloci e facilitanti come la Apple. Per lo spot mi sono ispirato allo slogan: “Think different”».

La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill Gates?
«È l’underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce che c’è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori e di cose eleganti e coerenti. Io sono un miscredente convertito. Il primo iPod me l’ha regalato De Meo. Un sistema facile da usare. Voglio che la Fiat diventi la Apple dell’auto. E la 500 sarà il nostro iPod».

Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: “A piece, a chord”».

Adesso si balla, ma prima ha dovuto usare il bisturi. Montanelli diceva che i leader italiani partono con l’idea di fare i chirurghi, ma finiscono col somministrare la solita aspirina.
«Io sapevo che tagliare era una premessa per rinascere. Se c’è una cosa che odio è licenziare qualcuno, guardarlo negli occhi e immaginarlo la sera, quando tornerà a casa e dovrà dirlo alla moglie, ai figli. È una cosa orribile. Allora cerco di attutirgli la botta, facilitargli l’uscita. Qui d’altronde si era creata una incrostazione, non potevo inventarmi un mestiere per tutti. Ma adesso ricomincio ad assumere. Cinquecento tecnici e ingegneri, e non mi bastano. Macchine, motori, trattori, camion: stiamo crescendo da tutte le parti».

E gli operai?
«Il problema non sono mai stati loro. Ma vanno gestiti bene. Andai a Pomigliano d’Arco, due anni fa, e davanti a me un’operaia attaccò un pezzo alla macchina. Brava, le dissi. E lei: “Guardi, dottore, è stata una botta di culo. Di solito ci impiego venti volte a incastrarlo”. L’ingegnere aveva disegnato male il pezzo».

Nello spot ci sono anche gli operai sotto Mirafiori.
«Abbiamo scelto immagini che riguardassero da vicino la storia d’Italia degli ultimi 50 anni. Così lo spot piazza la Fiat in un contesto storico che Apple non aveva. Appena arrivato, feci fare un filmato con tutti i nostri successi. Il senso era: se l’abbiamo già fatto, perché non potremmo rifarlo? Lì abbiamo capito che significavamo qualcosa per questo Paese. Nel bene e nel male. Ma il saldo è positivo. Perciò lo slogan della campagna è: la nuova Fiat appartiene a tutti noi”».

Le immagini le ha scelte lei?
«Ho dato spunti, anche forti. Amin, Pol Pot. Alcuni sono stati scartati. Nella mia testa c’erano solo parole e immagini. Poi è saltato fuori il bambino del “Nuovo cinema Paradiso” di Tornatore. È lui che guarda le foto, nello spot. Il suo sorriso buffo rappresenta il nuovo primo giorno della Fiat».

La sua immagine preferita? Per De Meo è Ciampi che mette le mani sulla bara dei caduti di Nassiriya.
«Falcone e Borsellino. E Valentino Rossi che solleva un braccio al cielo dopo la vittoria. Quanta energia e forza in quel gesto, quanta italianità… Questo è un Paese che non sa volersi bene».

Lei ha messo l’etica nel Dna della nuova Fiat. Funzionerà nel paese dei furbetti?
«Anche l’America ha avuto i suoi furbetti. La Enron riceveva gli investitori in una sala piena di telefoni. Peccato che non ci fossero i fili… Ma un sistema sano rientra, corregge e si riposiziona. Il problema italiano è che non ha la reputazione internazionale di sapersi correggere. La nostra sfida è riconquistare dignità».

Bisognerebbe avere senso dello Stato. Anche le aziende che privatizzano i profitti e scaricano i debiti sul pubblico.
«Negli ultimi 3 anni profitti e debiti delle Fiat sono stati totalmente a carico dell’azienda. Alle banche avevo promesso che mi sarei spaccato l’anima per non far perder loro i soldi che in quel momento non potevo restituire. Bene, se fossero rimaste tutte, adesso avrebbero il doppio e oltre del capitale investito. I loro 3 miliardi oggi ne valgono quasi 7».

Fra gli italiani si respira impotenza.
«Strano. Il Pil cresce, l’indebitamento e la disoccupazione calano, eppure c’è questo senso di insoddisfazione».

Sarà che le sale dei bottoni assomigliano a quella della Enron. Schiacci e non risponde nessuno.
«Anche qui schiacciavo e l’unico che rispondeva era il centralino. Allora mi sono messo sotto il tavolo e li ho aggiustati, i bottoni».

È un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il carisma non è tutto. Come la bellezza nelle belle donne: alla lunga non basta».

Chi le piace?
«Sarkozy: un uomo di destra che si apre a gente che non fa parte della sua tribù. Pragmatico. Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo perché la vita si è allungata?».

Torino Wireless e CSP per Omegabox

E' per il 29 giugno la presentazione del Bando OMEGABOX con cui la Fondazione TorinoWireless erogherà un finanziamento di 200mila euro invitando le PMI a proporre progetti per lo sviluppo di applicazioni verticali e nuove funzionalità nell'ambito del multimedia.

Il bando prende il nome dall'innovativo set top box Open Source di nuova generazione progettato da CSP e commercializzato da SpiD – società attiva nel settore della TV digitale e del digitale terrestre – con il nome TIUB.

Il bando verrà presentato nel corso del seminario “Torino Wireless e CSP insieme per il trasferimento tecnologico, le opportunità per le PMI nel campo del multimedia”, in programma il 29 giugno 2007 alle ore 9,45 a Villa Gualino.

Durante l’incontro le aziende avranno la possibilità di approfondire le opportunità offerte dal bando: Torino Wireless illustrerà le procedure di partecipazione, CSP presenterà le caratteristiche tecniche della piattaforma e suggerirà i temi di sviluppo ritenuti più interessanti; SPID descriverà il proprio set-top-box e le opportunità di sviluppo e integrazione verticale.

L’erogazione del finanziamento rientra nelle attività di accelerazione di impresa di Torino Wireless e si configura come un intervento del Progetto PMI e pertanto soggetto a regime de minimis.

Le aziende potranno scegliere se sviluppare le proprie soluzioni sulla piattaforma originaria CSP/Politecnico, oppure sul set top box TIUB. In entrambi i casi le applicazioni sviluppate dalle PMI potranno usufruire della forte integrazione della piattaforma, un ambiente aperto a differenti applicazioni per l’intrattenimento e la gestione di contenuti multimediali.

Premio Share 2008

Ritorna il Premio Share: un concorso internazionale per opere realizzate di arte digitale. Il premio, che ha lo scopo di scoprire, promuovere e sostenere le arti digitali, è aperto a tutti gli artisti italiani e stranieri. Il requisito fondamentale per partecipare al concorso è la creazione di un’opera in cui la tecnologia digitale viene utilizzata come linguaggio di espressione creativa.Una Giuria internazionale assegnerà il trofeo The Globe e un premio in denaro di € 2.500 all’opera (edita o inedita) che meglio rappresenterà la sperimentazione tra arti e nuove tecnologie.
Dal 15 giugno fino al 30 settembre è possibile iscriversi al Permio, utilizzando il form di registrazione presente sul sito www.toshare.it .

Entro l’11 novembre 2007 saranno resi noti i nomi degli artisti finalisti (una short list di massimo 6 concorrenti). I candidati al premio saranno invitati a partecipare alla 4° edizione di Share Festival, che si svolgerà a Torino nel mese di marzo 2008 all’Accademia Albertina di Belle Arti. I 6 concorrenti, scelti tra tutti i partecipanti, esporranno l’ opera in concorso durante le giornate del festival . Le 6 opere verranno pubblicate e recensite nel catalogo dello Share Festival.

Ogni artista o collettivo può presentare un massimo di 3 opere. Gli artisti che sono parte di collettivi possono partecipare al concorso anche singolarmente con un massimo di 3 opere.