Lo smantellamento del sistema industriale italiano

Il Financial Times del 28 gennaio 2014 conferma quello che molti gia` sanno.

Vi e` un processo di acquisizione da parte di medie aziende tedesche delle piccole-medie imprese italiane.

L’acquisizione in se` sarebbe gia` problematica per  i suoi effetti negativi sulle partite correnti della bilancia dei pagamenti (dividendi in uscita dall’Italia) nonche` sulla sostenibilita` finanziaria dell’Italia, ma vi e` di peggio.

La parte a piu’ alto valore aggiunto delle imprese viene trasferita in Germania. In Italia in molti casi non resta che il lavoro manuale e, a volte, neanche  quello.

C’e` da chiedersi: ma se cio’ succede non sara` semplicemente l’effetto della cattiva gestione da parte degli imprenditori e manager italiani? Questa non puo’ essere esclusa a priori, ma prima sarebbe opportuno tenere conto  dell’assoluta differenza di condizioni in cui  le imprese operano.

Le imprese italiane operano in un sistema che negli ultimi 21 anni ha costantemente mantenuto i piu’ grandi avanzi primari tra tutte le grandi economie avanzate: lo stato prende piu’ di quello che da.  Questo ha indebolito la domanda interna ed i servizi forniti dallo stato alle imprese ed ai lavoratori, con nefasti effetti sulla loro produttivita`. Quest’ ultima e` ulteriormente depressa dalla scarsa domanda che le costringe a lavorare non a pieno regime ed, in presenza di costi fissi non comprimibili, con costi medi non ottimizzabilii.

L’Italia si trova ad avere la stessa moneta di un altro paese  (la Germania) con inflazione assai piu’ bassa, venendo cosi’ progressivamentre a perdere tutta la sua competitivita`. La Germania a sua volta viene a trovarsi con una valuta artificialmente  sottovalutata  e non corrispondente al suo sostanzioso avanzo commerciale. Questa e` una situazione molto simile a quella della Cina che lego’ per molti anni la sua valuta al dollaro americano nonostante la Cina avesse un surplus commerciale e gli Usa un deficit. Ovviamente cio’ attiro’ le ire del Congresso americano, che accuso’ la Cina di “manipolazione valutaria”. Il caso della Germania e` diverso. La Germania e` uno dei paesi a reddito piu’ elevato,  mentre la Cina era ed e` un paese in via di sviluppo. Nel caso della Cina si poteva comprendere fare affidamento sugli USA al fine di sollevare dalla poverta` masse di persone. Nel caso della Germania si tratta di rendere gli altri paesi  poveri al fine di arricchire almeno una parte della societa` tedesca.

Le imprese italiane non possono contare sull’appoggio di un sistema bancario che mai ha corso gli stessi rischi di quello tedesco pur di sostenerle. Si noti bene che i rischi consistevano nel bilanciare i bassi tassi percepiti dalle aziende tedesche  con avventati investimenti in titoli greci, irlandesi  e di altri paesi periferici. Qualcuno potrebbe dire che la fortuna aiuta chi sa prendere dei rischi, ma non sarebbe corretto.  Ad aiutare le banche tedesche non fu la fortuna, bensi’ i contribuenti italiani, che contribuirono al fondo per salvare le banche, ben oltre quanto l’esposizione italiana al rischio implicasse.

Non a caso oggi la Germania e` molto restia ad una vigilanza europea sulle sue banche: si tratti delle piccole sparkasse legate alla politica o della grande Deutsche Bank. Il controllo esterno fa paura.

Gli interessi che le imprese italiane pagano sono piu’ elevati  anche perchè sono collegati agli alti interessi che il Tesoro italiano paga sul suo debito.

Il debito italiano e` costoso fondamentalmente perche` l’Italia negli ultimi anni ha ridotto il suo attivo  netto con l’estero: piu’ debito pubblico italiano e` in mano di stranieri (circa il 35% del nostro debito) e piu’ proprieta` italiane sono in mani di stranieri, mentre gli Italiani possiedono all’estero relativamente meno. Vi e` pero’ una seconda non negligibile causa.

La Bundesbank , a differenza della Banca d’Italia, partecipa alle aste dei titoli del tesoro tedesco e si adopera attivamente per mantenerne i tassi bassi. A detta di molti cio’ e` in palese violazione degli accordi europei.

Tant’e`*. In questo modo i tassi tedeschi subiscono un’ulteriore riduzione.

Non dimentichiamo inoltre che 8  milioni di lavoratori tedeschi  guadagnano meno di  9,15 euro all’ora ed un milione e mezzo di essi guadagna meno di 5 euro all’ora. Molti di questi lavoratori ricevono poi sussidi pubblici, che di fatto sono sussidi indiretti alle imprese. In un’Europa che penalizza fortemente gli aiuti di stato alle imprese, questi aiuti, che chiaramente distorcono la concorrenza, riescono a passare quasi inosservati. “Quasi” perche` qualcuno se ne lamenta, per esempio, il governo del Belgio.

In conclusione  le aziende italiane si trovano ad operare in un paese dove sistematicamente lo stato, a causa di una politica monetaria bislacca, sottrae domanda, si trovano ad operare in presenza di servizi pubblici via via tagliati,  si trovano a competere con aziende estere che operano con un cambio mantenuto artificiosamente basso e che percepiscono aiuti di stato, in queste condizioni spesso non ce la fanno, la produzione industriale si e` ridotta del 25% in pochi anni e pur avendo ancora prodotti di una certa qualita` devono  essere cedute ai loro concorrenti tedeschi.

 

La politica ha chiare responsabilita` perche` questo processo di smantellamento dell’industria italiana  avviene come conseguenza dell’inettitudine della classe politica e delle sue scelte sconsiderate.  Stupisce che la classe imprenditoriale non si ribelli a questo processo. Normalmente essa pensa di risolvere i propri problemi riducendo il costo del lavoro.

Come i polli di Renzo Tramaglino gli italiani destinati a divenire pietanza altrui non san fare di meglio che beccarsi tra loro.

 

Gli Italiani sono come i polli di Renzo Tramaglino: mentre li portano a tirare il collo, si beccano tra loro.

 

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* Secondo l’Economist la pratica in questione non sarebbe scorretta, ma e` abbastanza evidente che di fatto tramite questa pratica si viene a mescolare il mercato primario con quello secondario, violando la normativa europea.

Autore: Gustavo Rinaldi

Nato a Torino nel 1967, la sua prima maestra e` stata una vittima delle repressioni bolsceviche, Maria Bruch. Ha frequentato sia la scuola pubblica che quella dei Gesuiti. Come volontario ha promosso prima una raccolta carta e poi la riorganizzazione del gentro di formazione agricola di Andriamboasary in Madagascar. Ha fondato l'associazione Enthusiasmus che per piu' di dieci anni si e` occupata di formazione politico-sociale dei giovani, permettendo a molti giovani di conoscere il mondo esterno ed a qualcuno/a di trovare moglie o marito. Nel 1991 e` stato testimone oculare dei moti di piazza che a Leningrado si opponevano al tentato golpe anti-riformatore. Nel 1994 si e` laureato in economia con Sergio Ricossa ed ha prestato servizio presso l'Istituto Penale Minorile "Ferrante Aporti", occupandosi dei denari e delle spese dei detenuti. Dal 1995 ha iniziato a lavorare per diversi progetti di valutazione e formazione promossi dall'Unione Europea e da altri enti nell'ex Unione Sovietica. Nel 2000-2001 e` stato consigliere economico del governo della Georgia. Nel 2006 ha conseguito il Ph.D. in economics all'Imperial College dell'University of London. Ha lavorato come economista per l'Institute of Alcohol Studies di Londra. Dal 2008 lavora per l'universita' di Torino dove oggi insegna public economics; insegna inoltre fundamentals in mathematics ed economics for managers ad ESCP-Europe.