Un intreccio indissolubile di scienza e vita, scoperte e affetti è l’“autobiografia di un curioso” L’infinito cercare. A dipanarlo, con la piacevolezza di una chiacchierata, è Tullio Regge, accompagnato dal giornalista scientifico Stefano Sandrelli.
Lo scienziato, nato a Torino nel 1931, è considerato uno dei maggiori fisici teorici viventi. Insignito di riconoscimenti quali l’Albert Einstein Award e la medaglia Dirac, si devono alla sua ricerca, tra le altre scoperte, i “poli” e il “calcolo” che ne portano il nome.
Attualmente professore emerito del Politecnico di Torino, è anche un divulgatore: ne sono esempi il Dialogo scritto con Primo Levi (1987), Infinito (1994), L’universo senza fine (1999) o la Lettera ai giovani sulla scienza (2004).
L’autobiografia prende le mosse dalla nascita, nella casa degli amatissimi nonni materni in corso Quintino Sella a Torino. L’infanzia trascorre «in corso Casale, nel quartiere della Madonna del Pilone, in un appartamento che sorgeva di fronte all’ultima dimora di Emilio Salgari, che rimase poi uno dei miei autori preferiti, con quei suoi personaggi «fedeli ad un cavalleresco ideale di lealtà e di coraggio», come recita la lapide apposta al muro della casa» (p. 3).
Fin dalle prime pagine viene messo in luce il rapporto con il padre, il cui carattere è tratteggiato a chiaroscuro, l’essere “comandino” (come l’avrebbe definito la nonna materna) e l’adesione al fascismo accanto all’inesausta sete di sapere: «Anche se intorno alla metà degli anni Trenta eravamo piuttosto squattrinati, mio papà mi incoraggiava ad avvicinarmi alla scienza comprando tantissimi libri usati al Balôn, il mercato delle pulci» (p. 5). «Da lui ho preso molto: di sicuro gli devo, oltre alla testardaggine, anche la curiosità e l’amore per la scienza» (p. 4).
Presto Torino si trova sotto i bombardamenti: «Ricorderò sempre la fiumana di gente in corso Tortona, in fuga verso l’autostrada, che in quel momento di emergenza era aperta anche alle bici. Ricorderò sempre la rimessa dei tram devastata, le case crollate, le distruzioni… Così tante che non si contavano. Ricorderò sempre le madri aggrappate ai figli, che piangevano di terrore» (p. 8).
La famiglia si mette in salvo, dopo una corsa di cinquanta chilometri in bicicletta, a Borgo d’Ale, paese natale del padre Michele, che porta il nome del patrono della località del vercellese. Qui i Regge sono accolti affettuosamente: «Fecero accomodare i miei genitori in una camera da letto, mentre per me e mio fratello prepararono due lettini nella stalla, con balle di paglia e qualche coperta. C’erano anche tre mucche. Ricordo perfettamente i loro continui e caldi «muuh, muuh» notturni!» (p. 8).
Un anno trascorre tra partite a bocce e l’iscrizione in terza media al Seminario arcivescovile di Moncrivello, presso il Santuario della Beata Vergine del Trompone. Michele Regge trova poi lavoro come geometra al Comune di Venaria Reale. Qui Tullio fa la conoscenza delle tre figliolette di un militare, che si rivelerà tempo dopo essere un comandante delle SS, e dei pregiudizi contro gli emigrati dal Sud Italia.
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