Resuscitare gli animali estinti? Si può e si fa!

mammutLa discussione sulla de-estinzione è aperta da anni con velati freni etici e interessi ambientali, economici e, forse in certi casi anche divini. Secondo alcuni, infatti, l’uomo vuole giocare a interpretare Dio, facendo rivivere specie animali, ormai estinte da anni, almeno un centinaio. Una sorta di Jurassic Park di Steven Spielberg, ma stavolta niente cellulosa e tutta realtà. Alcuni specialisti, di recente, a Washington, negli Stati Uniti, hanno affrontato il tema in questione chiedendosi quali animali far tornare sulla Terra, in che modo e perché. Determinate specie, c’è da considerare, che si sono estinte per intervento dell’uomo e non per cause naturali, quindi la loro possibile rinascita potrebbe, in qualche maniera, rimediare ad un enorme errore dei bipedi. La tecnologia c’è e pare anche sia a portata di mano, visto che di alcuni animali si conservano parti del loro Dna. Basta una cellula per riprodurre una creatura. Si ricordi, ad esempio il caso della pecora Dolly. Tra i vari animali a cui restiture la vita, 24 specie in tutto fino ad oggi, ci sono pappagalli spariti da oltre cento anni, come il parrochetto della California e il macao cubano, l’uro (antenato dei bovini domestici, estinto nel 1627), il dodo (uccello stanziale spazzato via dalle Mauritius nel XVII secolo all’arrivo dei coloni bianchi), due specie di picchi, il mammut lanoso e il mastodonte americano (parenti degli elefanti attuali), il moa neozelandese (un uccello alto tre metri e pesante più di 250 chili, sterminato dai cacciatori moaori nel XV secolo), l’uccello-elefante del Madagascar (di taglia leggermente più piccola, estinto nel XVII secolo), l’iconica tigre dai denti a sciabola (o smilodonte, scomparsa 10 mila anni fa a causa dei cambiamenti climatici), la quagga (una sorta di zebra scomparsa lla fine del XIX secolo), il tilacino o tigre della Tasmania (i cui ultimi esemplari morirono negli anni Sessanta del secolo scorso), la cosiddetta “mucca di mare” (simile al dugongo e comparsa nel XVII secolo), la dea dello Yangtze (il delfino d’acqua dolce cinese dichiarato estinto nel 2007) e molte altre specie. Da escludere i dinosauri, scomparsi troppo tempo fa, per motivi ambientali. Una volta tanto, l’uomo non è responsabile! Per selezionare i papabili “Frankestein animali”, gli esperti valutano diversi criteri, tra cui la praticità delle procedure, evidentemente non tutte semplici, e la desiderabilità di determiante rinascite. Inoltre, com’è prevedibile, la de-estinzione scatena un dibattito vivace su questioni etiche, arbitrarie ma anche pratiche. Una volta rinati gli animali, onde evitare che si estinguano di nuovo, vanno preservati e tutelati nel loro habitat. E in che modo? Si sono estinti una volta per causa umana, chi o cosa, può impedire ai bipedi di commettere lo stesso enorme errore? Inoltre, tutti gli altri animali, ancora vivi, a rischio estinzione che fine stanno facendo, in che modo si agisce per proteggerli? Non sempre la buona fede di un progetto conduce, poi a risultati sperati e, in effetti c’è il rischio che la de-estinzione possa fare più danni che altro e, se non danni, non sappiamo quali conseguenze possa generare. Se il rimedio al deterioramento di una specie diventa così facile, chi garantisce che gli uomini non si arroghino il diritto di commettere ancora più danni se basta una cellula e una provetta per ripristinare lo status quo?