Non pensare!

Uno dei più begl'insegnamenti che ci ha lasciato Milton Erickson è anche fra i più semplici: quando tu dici «Non pensare!» finisci proprio per portare l'altro a pensare a quello che non avrebbe dovuto. «Libera la tua mente. Svuotala» è tutt'un'altra cosa. È un'indicazione espressa in positivo e pertanto semplice, lineare, chiara, senza impliciti.

Milton Erickson
Milton Erickson

Una frase che inizia con “non” invece è contorta per sua stessa natura. «Non andare ad Aramengo!», ad esempio costringe la tua mente – per quanto tu non te ne accorga – a farti un veloce giro fino ad Aramengo (se non altro perché non sai dov'è o per ricordarti se ci sei già stato) per poi tornare indietro a cancellare il tragitto – il che, tra l'altro è impossibile perché quello esiste e per di più l'hai ricreato mentalmente.

Troppo spesso si parla di “pensare positivo” come sinonimo di “logica benpensante”, mentre il vero significato di questo precetto sta proprio in questa natura sintattica e psicolinguistica.

Guardandoci in giro, di questi tempi viviamo un periodo pieno di “non” invece che di affermazioni positive, di proposte pratiche, di lavoro costruttivo. Riconosco che non è possibile non dissentire (e questa mia doppia negazione la dice lunga), ma è tutta questione di equilibri e di consapevolezza.

Bisogna essere consapevoli che quando si chiede ad una persona di «Non aver paura!» lo si porta implicitamente a provarla. E questo è due volte stupido: da un lato perché se lei in quel momento ha paura, oltre ad acuirla, non ci si rende conto che se bastasse proibirselo lo avrebbe fatto sicuramente da sola, senza aspettare il tuo ordine inutile; dall'altro, se lei non la sta provando, si instillerà il dubbio che possa esserci ragione di temere qualcosa e così la si risveglia.

Lo stesso vale per il «Non peccare!» di tradizione religiosa: nulla incita maggiormente al peccato che il suo divieto. La strada del “non”, potrebbe dire un antroposofo, è “luciferica” quanto quella del “seduttivo” arrendevolmente promiscuo è “mefistofelica” (o “arimanica”): due principi diabolici che vivono proprio della loro antitesi, si reggono sulla contrapposizione come uno specchio che non esiste senza immagine e viceversa.

L'unica via è quella del centro, dell'equilibrio dinamico, della passione morale, della spinta affermativa e generativa, della semplicità compassionevole, dell'era del Buddha Maitreya…

Tutto questo può essere espresso con una parola universalmente facile e che solo per questo ha spesso perso di significato e di comprensione, ma oggi meno che mai di valore e di importanza: la parola è “amore”.

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L’intensità di un bacio

La sopravvivenza dei giornali è legata anche ai ricorrenti articoli di costume sul genere “Ditemi come dormite e ti dirò se avrete un futuro”, oppure “Scoperto il punto K dell’erotismo della Donna!” Coerentemente i lettori sono convinti che in materia d’amore ed erotismo si debba scoprire sempre qualcosa di più.

Il più delle volte invece il rapporto di una coppia è legato ad un perfezionamento della propria particolare personalità di squadra e all’affiatamento del quale la sessualità è un importante sistema di feedback, comunicazione e taratura. Introdurre qualche cambiamento nel modo di amarsi è certamente stimolante e pertanto utile, ma mai quanto le conferme dell’investimento reciproco e lo scambio di informazioni dello stato individuale e relazionale costituito soprattutto dalla continuità della formula affettiva.

Ogni coppia ha una propria particolare ricetta erotica e sentimentale della quale si sente fiera, ma con il passare del tempo (e con le coppie di oggi prima di quanto non si pensi) questa finisce per affievolirsi disperdendosi o trasformandosi in qualche cos’altro che si dimostri maggiormente in grado di resistere all’usura del tempo.

Per esprimere e accordare tutto questo serve decisamente a poco la conoscenza del punto G, la pratica di qualche nuova posizione di contorcimento kamasutrico o la frequentazione di club privé dediti allo swinging. Per questo esiste la pratica più diffusa fra amanti, la più ricorrente, ma anche la meno curata e la più sottovalutata al punto di diventare sempre meno praticata negli ultimi anni.

Un bacio pop-art
Un bacio pop-art

Sto parlando del caro vecchio Bacio.

Parlarsi d’amore con le labbra

A parte fare da apostrofo rosa fra le parole je t’aime, il bacio è un rituale estremamente complesso, una raffinata danza dei volti in cui entrano in azione tutti i sensi, certamente molto più di quanto molti ragazzi tendano a considerare nella fretta e nella furia di una performance chiacchierata o per seguire i manuali d’uso dettati da qualche scuola infantil-vampiresca.

Intanto il tatto: prima di essere un’esplorazione gastro-esofagea linguale, il bacio è una reciproca carezza di labbra. In maniera simile alle raccomandazioni fatte dal taoismo dell’eros, non è necessario dedicarsi al contatto profondo ogni volta che ci si bacia e comunque la parte più importante è costituita proprio da quei preliminari fatti di contatti, sfioramenti, morsicchiamenti e così via, che costituiscono la parte più poetica del gesto, una specie di corteggiamento delle bocche e un “frammento di discorso amoroso” spesso più ricco di dialogo che non altre pratiche sessuali. Nel bacio entra in causa anche l’udito, con una colonna sonora fatta di mormorii, gemiti, risolini che guarniscono il contatto rendendolo un piatto vivace e colorato.

I preliminari del bacio
I preliminari del bacio

Ma prima ancora il bacio è uno scambio di respiri, un ascolto del desiderio, la comunicazione dell’attesa fatta appunto dall’avvicinamento. Quasi tutte le culture arcaiche avevano la rappresentazione che l’anima vivesse nel respiro. Non è a caso che quando una persona perde il bene della vita si dice che ha esalato l’ultimo respiro; così come il bambino entra a contatto con la vita quando la levatrice gli sferra la classica sculacciata per fargli prendere il primo respiro. Le anime entrano in unione prima con i sospiri che con il contatto e gli amanti che sanno aspettare, sospirano vicino, mentre si guardano in viso, scrutano le reciproche espressioni degli occhi e si riscoprono innamorati ben prima di entrare in contatto e molto di più.

Quindi nel bacio non è da meno il ruolo della vista. Pertanto non bisognerebbe dedicarcisi troppo al buio e non sempre ad occhi chiusi, ma casomai in penombra o tenendoli socchiusi, salvo nei momenti più intensi in cui si vuole escludere tutto quello che non è l’intimità.

Tuttavia, quello che mi capita di vedere quando passo accanto a degli innamorati sulla panchina sono due ragazzi che mentre sono incollati l’uno all’altro approfittano del fatto che gli occhi dell’altro sono nell’altra direzione per guardarsi attorno annoiati. Nello stesso modo la preoccupazione principale di scambiarsi i respiri nasce dal dubbio che si sia mangiato pesante e se si siano prese mentine e spray in tempo utile. Eppure gli uomini e le donne si baciavano prima che avessero introdotto i dentifrici e, a meno di casi clamorosi, non mi risultano molte pagine nella letteratura erotica in cui gli innamorati titubassero ad unirsi per verificare le reciproche esalazioni alimentari.

L’ultimo bacio?

Carezza delle labbra
Carezza delle labbra

Con l’aumentare della conoscenza, ognuno di noi sviluppa una propria espressione di carattere attraverso il bacio ed esso diventa distintivo. Se gli innamorati dedicano abbastanza tempo ad ascoltare l’altro non possono non comprendere il linguaggio del suo bacio e quello che comunica, anche se è vero che, come ognuno di noi è più concentrato su quello che vuole dire e su quanto esso sia importante e unico, anche nel bacio è frequente che ognuno faccia più attenzione a quello che fa e magari anche a quanto è bravo nel farlo (“ma come bacia bene lei…!”) di quanta ne presti a quale sia il momento interiore dell’altro.

Sta di fatto che il primo sintomo della caduta di desiderio non sta affatto nel numero di volte in cui la coppia si dedica al coito, ma da quanti baci è disposta a scambiarsi. Come ho detto prima, non importa che siano baci speleologici, ma neppure il bacetto di sfuggita prima di andare al lavoro o al ritorno a casa: un avvicinamento, un istante di titubanza e il contatto creativo delle labbra.

È vero che con la convivenza queste effusioni si scambiano nelle camere da letto, ma non bisognerebbe mai smettere di farlo anche nei parchi, lungo il mare e alle stazioni, ad esempio.

Siamo in un periodo di crisi di relazioni causate da modelli stereotipati che fanno riferimento ad uno stile emancipato estremamente povero e foriero di solitudini. Si va dai sessuologi a farsi insegnare le manovre di ponte e si considera “sfigato” chi si dedichi al bacio invece che ad esperimenti arditi e numerosi.

In questa stagione avanzata della cultura occidentale, non di rado ci si scandalizza solo a vedere due genitori che si baciano appena poco più in là che sulla guancia che la scena dei nonni in preda ad effusioni sentimentali diventa più orripilante di un film dell’orrore fino a spingersi a fare fantasie di dentiere pazze.

La passione non ha età
La passione non ha età

Tuttavia, quello che dovremmo provare è una profondissima invidia per delle persone che sono riuscite a conservare, nonostante le tante difficoltà che sicuramente anche loro avranno incontrato nella vita e nel rapporto di coppia, la stessa spontaneità e l’innocenza del primo bacio di ragazzi. Non c’è nulla di più bello e di più dolce e non c’è ragione per non ostentarlo davanti a tutti come una conquista rara ed un bene prezioso: la capacità di amarsi con tenerezza di fronte al mutare delle passioni.

Perché il più delle volte, per molte delle nostre storie, l’ultimo bacio è stato il primo!

Sensualmente anormali

Con questo articolo Quotidiano Piemontese apre una nuova rubrica-blog che occupa quel territorio fatto di luci e di ombre compreso fra il romanticismo e la sensualità, il desiderio e l’angoscia, le relazioni interpersonali e le dinamiche familiari, la crescita e i traumi. Lo cura Ennio Martignago, un professionista del counselling relazionale e uno psicoterapeuta che, oltre ai commenti pubblici accessibili nello spazio in fondo alla pagina, riceverà le vostre comunicazioni in merito all’indirizzo pellecuore«chiocciola»aiuti.com, quando potrà risponderà privatamente o attraverso la rubrica stessa in ogni caso rispettando l’anonimato di chi scrive.

Quello che non ci permettiamo di guardare, le parti di noi stessi che più allontaniamo dalla nostra vista, ritornano nella notte dell’anima distorte, spesso, nelle rabbie e nei tormenti a cui la società non manca mai di trovare spazi di etichettatura, anche se nei casi più diffusi trova loro uno spazio più istituzionale come legittimi incubi kaffkiani, carceri dell’istinto.

Chi è veramente innamorato di un’altra persona dovrebbe riuscire facilmente ad esprimere un’affermazione di questo tipo: «Quello che più amo di te non sono le parti che piacciono a tutti, ma quelle debolezze e quei difetti che spesso odii di te stessa, ma che ai miei occhi ti rendono speciale e unica».

L’amore e la morte sono così legati che il coito, nato proprio da una carica di desiderio che idealmente sfocia in un tentativo di generare la vita, si conclude di fatto in un senso di finitudine, di tristezza, di morte. “Post coitum omne animal triste est”, sentenziavano i nostri antenati latini.

Gli apparati della gestione delle pulsioni della sfera privata fanno da omeostati delle crudeltà sociali e i periodi in cui gli istinti intimi sono più repressi sono densi di orrori, sangue e crimini del potere. Ma in ultima le cose non sono così facili e la nostra infelicità spesso affonda nei compromessi a cui dobbiamo assoggettarci per riuscire ad andare d’accordo con il nostro prossimo, inibendo comunque i nostri spazi espressivi più profondi.

Roberto è un professionista stimato nel suo settore ed è una persona che a tutti gli effetti trasmette un senso di equilibrio, saggezza e anche di un discreto successo sociale.
Lungo la sua strada un giorno ha incontrato Francesca e, dopo numerose relazioni che crollavano sotto il peso delle forti emozioni che sentiva la necessità di esprimere nel suo spazio privato, credette di trovare in lei la persona che poteva comprendere al meglio la sua sensibilità. Al contrario, Francesca aveva un trascorso di diversi tentativi di assecondare le pulsioni personali e quelle dei suoi partner e riteneva di non spaventarsi più di fronte alle proposte più spinte e stravaganti, ma quello a cui puntava, avendo traguardato da alcuni anni l’età in cui tutto è concesso in merito alla giovane età, era una relazione matura in cui potere esprimere i valori sociali del suo essere donna, a partire dalla famiglia e dalla maternità e credette di avere incontrato in Roberto il partner ideale.

I loro rapporti esterni erano felici, con un discreto equilibrio fra momenti di coinvolgimento sociale e culturale e il disbrigo delle incombenze quotidiane, dal menage alle compere.

Nel privato, vivevano in maniera provvisoria, un po’ nell’appartamento dell’uno, un po’ in quello dell’altra e le loro notti, ma non solo notti, erano animate al punto da far trasalire i vicini di casa che si lamentavano di questo.

Francesca dava sfoggio del repertorio di disinibizione che meglio conosceva per soddisfare il desiderio di Roberto e questo era fatto di andare in giro senza biancheria intima, di concedersi ad atti in luoghi pubblici o di racconti di esperienze erotiche. Roberto riteneva queste esperienze banali, da “puttanella liceale” e questa rappresentazione di lei strideva con l’affetto per la semplice e trasparente persona che amava nella quotidianità, ma soprattutto si sentiva insoddisfatto perché riteneva che lei non sapesse recepire i suoi più intimi desideri passionali.

Inversione di ruoli
Inversione di ruoli

Lei riuscì a cogliere che poteva esserci una differenza nell’elaborazione delle passioni e gli propose di offrirsi a lui come più lui avesse desiderato. All’inizio lui non amava dovere chiedere: avrebbe desiderato che lei avesse cercato di scoprirlo, di avvicinarsi gradualmente al quel suo mondo che neppure lui riteneva di conoscere così a fondo. Poi si rassegnò a guidarla al suo sentire. Prima le fece provare l’amplesso avendo ostruito tutte le vie d’accesso sensoriale diverse dal cenestesico – essenzialmente vista e udito – e la cosa a lei piacque parecchio. Poi cominciarono a fare giochi di soffocamento reciproco e lei cominciò a vacillare più per le sue stesse sensazioni di stare perdendo il controllo che per una vera e propria paura fisica. Infine, quando lui le chiese di graffiarlo e morderlo fino a farlo sanguinare durante il coito perché in quel modo sentiva più forte la sensazione della vita fatta di piacere e dolore lei cominciò a spaventarsi e ad indietreggiare. Fino a che lui non le chiese di essere da lei penetrato invertendo i ruoli. Questo fece esplodere i conflitti in Francesca che disse di essere disposta ad assecondarlo ma solo per quella volta. Lui colse questo strappo e si sentì tradito.

A questo punto le cose non stavano più come prima. Lei si ritagliò il ruolo di donna perbene che era nei suoi obiettivi e cominciò a pensare che anche lui era come gli altri e che presto l’avrebbe lasciata per una più giovane, mentre lui pensò che lei era una puttanella vestita da santa come le altre e si adattò al ruolo sociale.

Smisero di parlare di quello che non fosse la quotidianità. Non riuscivano più a confidarsi, non si sentivano più complici e forse proprio per questo si sposarono quando lei rimase incinta. Dopo di che lei stabilì un rapporto ai confini dell’incestuoso con la figlia e alle rimostranze di lui sul fatto che non avevano più una vita privata, lei gli spiegava che l’amore che destinava alla figlia lui doveva sentirlo come rivolto alla sua persona, cosa che Roberto non riuscì mai ad accettare.

Di fatto pensarono più volte nel corso degli anni di separarsi, ma mentre per lei si sarebbe trattato di far fallire quel progetto di equilibrio che aveva perseguito, lui perse del tutto stima in se stesso e si convinse che la vita non gli avrebbe mai dato quello che cercava, così si buttò sul lavoro riuscendo a stare il più possibile lontano da casa. Ebbe anche alcune relazioni extra-coniugali, più accettate che ricercate, ma poi ebbe a disgusto questo genere di esperienze che, seppure non influirono in alcun modo nella vita di coppia, diedero il colpo di grazia per la sua considerazione dei rapporti con il sesso femminile (e tra l’altro anche con quello maschile, visto che attraversò da molto vicino anche un avvicinamento omosessuale).

Si presentò da noi lamentando una coazione all’onanismo particolarmente accentuata, con svariati atti nel corso della giornata e nei luoghi più disparati a cui non riusciva più a resistere, dovendo scaricare la tensione il più possibile nell’immediato. L’atto però non gli dà piacere, è come una forma di violenza simbolica che rivolge al suo essere dipendente dalla natura e dagli altri esseri umani. L’eiaculazione alla fine gli dà sia pace che senso di sconfitta e di morte. Lui li chiama “i miei piccoli suicidi quotidiani”. Rifiuta di mettere in discussione il rapporto con la famiglia e in realtà in casa sono escluse tutte le forme di comunicazione dei vissuti personali che non siano rivolte alla vita della figlia che già non ne può più di loro. L’unica lagnanza della moglie è che trova eccessiva la sua conversione alla vita religiosa che dai quarant’anni in poi si è fatta sempre più forte, assorbendo quasi tutto il suo tempo libero, ma che non porta mai in famiglia e che lei vive come il suo grande tradimento. Questo tuttavia fa parte dei ruoli socialmente accettabili, mentre lei nel suo tempo libero si dedica alla cura del corpo, andando in palestre, a consumare massaggi e trattamenti estetici.

Qui si interrompe la storia e credo che chi la letto con più attenzione abbia attraversato vissuti diversi nei confronti di questa coppia. Mi riesce difficile non immaginare che bene o male si siano mentalmente espressi giudizi, anche molto differenti nei vari passaggi, e ricerca di colpe e patologie. Forse siete entrati e usciti più volte nel dominio della normalità, ricercata o rifiutata.

Non spetta certo a me dire che cosa sia giusto e che cosa sbagliato. Sta di fatto che, una volta che si è compiuta la maggior parte della vita dentro un copione, tutti i cambiamenti che puoi fare non possono non risentire degli investimenti affrontati.

Fortunatamente, se accetti di chiudere il capitolo principale della tua storia, puoi cambiare copione per quello che ti resta da vivere e non di rado capita che la fase finale della vita abbia degli esiti più soddisfacenti della tanto mitizzata libera gioventù o della sensata mezza età, ma con tutto quello che puoi fare sarebbe stupido che sperassi di ricominciare da capo.

Di fatto il più delle volte è proprio questa invece l’idea che alberga nel nostro istinto e che rifiuta di lasciarlo, assieme al senso di non-finitudine e di ideale immortalità.