Da Artemisia Gentileschi a Marina Abramović. L’altra metà: la donna nell’arte

Un percorso declinato al femminile dal Seicento ai giorni nostri attraverso 120 opere di 70 artiste. Gli spazi espositivi di Casa Francotto a Busca (Cuneo), ospitano fino al 28 gennaio la mostra “L’altra metà, le donne nell’arte”, curata da Cinzia Tesio e Rino Tacchella. Una celebrazione delle artiste che sono riuscite a inserirsi per le loro innate attitudini e capacità tra gli artisti più importanti delle loro epoche.

Scuola di Artemisia Gentileschi, Giuditta e Oloferne, prima metà del XVII sec. Olio su tela. Collezione privata

La mostra si apre con “Giuditta e Oloferne”, tela attribuita alla scuola di Artemisia Gentileschi (prima metà del XVII secolo) per arrivare ad artiste come Sophie Calle, Shirin Neshat, Vanessa Beecroft e Marina Abramović. Tra le artiste presenti in mostra, segnaliamo Lavinia Fontana, Orsola Maddalena Caccia, Evangelina Alciati, Sofia di Bricherasio, Lalla Romano, Alexandra Exter, Benedetta Cappa Marinetti, Daphne Maughan Casorati, Leonor Fini, Tamara de Lempicka, Frida Kahlo, Carol Rama, Raphael Mafai, Jessie Boswell, Dina Bellotti, Giosetta Fioroni, Maria Lai, Carla Accardi, Dadamaino, Marina Apollonio, Nanda Vigo, Titina Maselli, Grazia Varisco, Gina Pane, Lisetta Carmi, Ketty La Rocca…

Lalla Romano. Paesaggio di montagna con betulle, 1926, Olio su cartone. Collezione privata

 Spiegano i curatori: «Le donne nell’arte: nell’immaginario comune da una parte muse ispiratrici dall’altra protagoniste di opere immortali. Il mondo dell’arte è stato, quasi esclusivamente, un universo maschile e come in molti altri campi, per le donne non è stato facile ricavare lo spazio che meritavano. Fino al XVI secolo il contributo femminile era circoscritto all’illustrazione di libri, al ricamo o alla miniatura su rame o su avorio utilizzate in oreficeria. Bisogna giungere ai secoli XVI e XVII, all’arte rinascimentale, per avere un primo e limitato riconoscimento a figure femminili che, a fatica, riescono a irrompere e a farsi largo in un ambiente fino ad allora dominato da soli uomini».

Molto spesso si sente parlare delle donne nell’arte come modelle o muse ispiratrici di opere immortali o come soggetti principali delle stesse opere.

Fino al XVI secolo il contributo femminile, per effetto del tipo di formazione a loro impartita, era riscontrabile nell’ambito di illustratrici di libri, ricamatrici o autrici di miniature su rame o su avorio utilizzate in oreficeria.

Bisogna giungere ai secoli XVI e XVII, all’arte rinascimentale per avere un primo e limitato riconoscimento a figure femminili che riescono a irrompere e a farsi largo in un ambiente fino ad allora riservato a soli uomini.

Maria Rosa Ravera Aira, senza titolo, acquerello su carta, Città di Busca

L’esposizione “L’altra metà: la donna nell’arte” è composta da un percorso in cui, attraverso opere originali e pannelli illustrativi, vengono ricordate alcune artiste donne che, a partire dal Seicento, sono riuscite a inserirsi per le loro innate attitudini e capacità tra gli artisti più importanti del periodo.

È il caso di Lavinia Fontana (1552-1614), figlia del pittore manierista Prospero Fontana, che crescendo nella bottega del padre, ebbe la possibilità di frequentare i Carracci, che ebbero una grande influenza su di lei.

La figura che ha però maggiormente contestato e lasciato un segno personale nell’ambito della pittura è Artemisia Gentileschi (1593-1656), italiana di scuola caravaggesca, una delle artiste più apprezzate e conosciute della sua epoca di cui è esposta una Giuditta e Oloferne attribuita alla sua scuola; segue un ritratto del Beato Amedeo di Savoia dipinto da Orsola Maddalena Caccia figlia del pittore Moncalvo.

La rassegna consta di pannelli storici che raccontano l’arte nella seconda parte del Settecento e le artiste nate nell’Ottocento, per giungere alla pittrice polacca Tamara de Lempicka (1898-1980) rinomata soprattutto per lo stile raffinato dei suoi ritratti degli anni ‘30 in pieno stile Art Decò.

Felicita Frai, Le amiche, 1975, olio su mansonite, Galleria Ponte Rosso

La progressiva e faticosa conquista di una posizione paritaria con gli artisti “maschi”, le donne artiste la raggiungono pienamente nel XX secolo: a questo periodo appartengono le opere di Sofia Bricherasio, Evelina Alciati ed Emma Ciardi presente con il bozzetto di un’opera presentata alla Biennale Internazionale di Venezia. La rassegna prosegue, seguendo un ordine cronologico, ma anche dettato dall’appartenenza di alcune di loro ai vari movimenti d’avanguardia e non che si sono succeduti nel ‘900.

Con le opere di Benedetta Cappa Marinetti (1897-1977) moglie dell’ideologo del Futurismo, Annaviva ceramista futurista albisolese e la scultrice Regina che per prima utilizza dei plexiglass colorati, si attraversa la fase futurista che comprende ancora un’opera di Alexandra Exter che, negli anni successivi, si orienta verso l’astrattismo suprematista.

Negli anni ‘30 la scultura del Novecento è rappresentata da Egle Pozzi Biginelli fine ritrattista allieva di Wildt, Claudia Formica che realizza lavori in ceramica per la manifattura Lenci e poi dedita a sculture in terracotta e bronzo e Nedda Guidi dapprima figurativa e poi attenta nel promuovere opere astratte con colori e sfumature naturali. Segue una fase in cui si ha un ritorno alla figurazione attuata con riferimenti espressivi legati in particolare agli ambienti e alle frequentazioni.

Ne sono esempi le casoratiane Amelia Platone, Ravera Aira, Daphne Casorati, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano e la fine ritrattista Dina Bellotti. In ambito romano si distingue Raphael Mafai per l’uso di colori espressionisti.

Jessie Boswell, Ritratto di fanciulla, 1941, olio su tela, Galleria del Ponte

In prossimità degli anni ‘50 molte artiste sono attratte dalla pittura astratta e tra queste spicca Bice Lazzari, più orientate verso una poetica rigorosamente astratta, mentre più legate al segno astratto, ma libero di orientarsi nello spazio sono certamente Carla Accardi unica donna tra gli astrattisti romani di Forma 1, Angioletta Firpo dapprima interessata alle performance e successivamente ad un tipo di pittura i cui elementi portanti sono la gestualità e lo spessore materico della pasta cromatica, Giosetta Fioroni unica donna tra gli artisti Pop di piazza del Popolo a Roma e Dadamaino astrattista che dapprima realizza delle opere optical con piccoli legni colorati e poi in una seconda fase in cui depone segni liberi su fogli di plastica trasparente.

Un discreto numero di artiste appartiene alla ricerca optical avviata a partire dagli anni ‘60 come Nanda Vigo, Marina Apollonio, Grazia Varisco.

Negli anni più recenti aumentano in misura esponenziale le presenze di artiste donne nelle mostre internazionali, in quanto conducono ricerche espressive singolari, usano materiali inediti come Maria Lai che introduce e mescola scrittura e cucito, Carol Rama che usa le gomme in uso alle biciclette per realizzare opere astratte e, infine, le opere concettuali della designer Nanda Vigo, compagna di Piero Manzoni.

Carol Rama, senza titolo, 1951, olio e tempera su cartone telato, collezione privata

Molte di loro usano la ceramica in modo tradizionale, come le scritture su ceramica di Milena Milani, mentre un altro gruppo compatto è formato dalle rappresentanti della body art e dalle performer come Gina Pane, Ketty La Rocca, Vanessa Beecroft e Marina Abramović che usano il loro corpo per azioni che coinvolgono gli spettatori.

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