I soldi e la felicità

stati d'animo_cavezI soldi, quelli che non danno la felicità ma fanno venire la vista ai ciechi, serviranno prima o poi alle cure di disintossicazione. C’è da augurarlo. A tutti quelli, che oltre ogni limite di comprensibile benessere, ne hanno fatto una malattia.

Potere e ricchezza, il fulcro della disfatta. Per gli altri. Che quelli che ci sguazzano dentro, la vita se la godono. Senza neanche incubi di notte. Per le ruberie, le ingiustizie, le evasioni, le truffe.

Marci e corrotti. E d’altra parte gli siamo andati tutti dietro. A questo barbaro ‘sistema’ senza morale e senza cultura. Già, senza cultura. Perché in fondo è tutto lì. Se ha smanie di conoscenza, musica, arte, teatro, letteratura non metti su castelli, non ti importa dello yacht e fai pure a meno di pailettes per le serate di gala. Hai amore. Per le cose belle, per i sentimenti, per le condivisioni, per la natura. Dentro, hai la fiammella. Quella della curiosità, delle emozioni, perfino della tua integrità. Se invece punti tutto su rolex e dintorni ti interessa solo avere il conto corrente bello gonfio.

D’accordo, pure questa è generalizzazione. Pure questa è semplificazione. Pure questo è parere del tutto arbitrario.

Lo ammetto, se volete. Provate il contrario e sarò ben lieta di accogliere le eccezioni. Chi mette le mani in pasta e accumula alla faccia di tutti ha il pelo sullo stomaco, se ne infischia della poesia, monetizza qualsiasi cosa.

Che poi siano davvero felici resta da dimostrare, lo so. Magari sono sempre nervosi, insoddisfatti, mangiati dall’invidia, inseguiti da qualche paura. Devono guardarsi le spalle quindi non hanno amici e partner fedeli. Hanno il cervello in fumo per conti, strategie, equilibrismi, affari.

Intanto però fanno quello che, scioccamente, consideriamo un’esistenza al top: agi a gogò, jet privato, champagne a fiumi. Sniffate di coca e sesso a pagamento, a tutte le ore. Cosa ci sia di tanto allegro ed entusiasmante non mi è dato capirlo, resta il fatto che a considerarli furbi e privilegiati sono ancora in molti…

Sarà la stupidata del secolo eppure sono convinta che se iniziassimo a considerarli per quello che sono ovvero ladri, miseri di spirito, crudeli sfruttatori e insensibili della peggior specie metteremmo un’enorme pietra tombale sulla loro gloria, sul loro successo e sulla loro soddisfazione.

Diciamolo, certi pruriti sono alimentati dalla ‘considerazione sociale’, dall’appeal esercitato su donne o uomini, dal sottile piacere di sentirsi ammirati e ambiti. Se gli togliessimo il piedistallo da sotto i piedi e li guardassimo con tutto lo sdegno che meritano abbasserebbero le ali. E, chissà, tornerebbero magari a una dimensione umana.

Io lo faccio. E voi?

Irene Spagnuolo

On the road con gli Smania Uagliuns

Smania Uagliuns On the road

Se ancora non li conoscete gli Smania Uagliuns sono un gruppo da scoprire. Da ascoltare, cantare e riascoltare. Che le idee sono potenti e il ritmo è seducente.

Bravi, originali e affascinanti. E la buona musica deve fare strada.

Già, on the road. Perfetto pure per il loro viaggio, per la loro ricerca, per quel fiuto che deve muoversi, incontrare e creare combinazioni.

Così gli Smania Uagliuns stanno raccogliendo fondi per l’acquisto di un furgone (Dateci un furgone e vi solleveremo il mondo) con il qualeSmania-Uagliuns-on-the-road affrontare un tour per l’Italia. Live, in tutti i sensi. A caccia di suoni e incontri, stimoli, parole e interazioni. Tutto da tradurre in nuove avventure, con video nei quali peraltro potranno essere protagonisti pure i sostenitori. Già, un crowdfounding che promette faville ai gentili contribuenti: emozioni e ricompense.

L’obiettivo è di 7.000 euro, praticamente –diciamolo- una richiesta molto onesta. A pensare che arte e talento abbiano bisogno di ‘sperarci e provarci in tutti i modi’ viene quasi la lacrimuccia. Ma invece di farci vincere dallo sconforto è meglio augurare un vigoroso (e naturalmente sonoro!) in bocca al lupo agli Smania Uagliuns, mettere mano al portafoglio per qualche euro di donazione se possibile, aiutare a divulgare la campagna.

Sesso on line

sesso_on_lineE’ ciclico. Non il sesso, lo scoop. Il grido di allarme, insomma. La verità è che da anni il sesso, non solo on line, è diventato una sorta di misuratore della cultura e della salute sociale. In un certo senso è normalissimo, ne fa parte a pieno titolo, come espressione della mentalità, delle tendenze, del concetto scivoloso di ‘libertà’ o di quello –ancora più delicato e tortuoso- di morale.

Ma sul grido bisogna intendersi.

Normalmente è lanciato non perché si registra chissà quale fenomeno dopo chissà quale studio. Talvolta è il classico polverone. Altre volte è un espediente per attirare attenzione. Qualche volta ancora si muove su un caso, più o meno eclatante, per tessere tutta una trama di considerazioni, pericoli, stupori, indignazioni.

Che le ragazzine barattino il corpo con un cellulare, tanto per fare un esempio, non è una novità. Che la soglia di percezione della bellezza o della gioia passi dalla conquista di sguardi lascivi, di advances di adulti possibilmente vip, di prodezze erotiche è altrettanto noto. Che i social network siano spesso una carrellata di selfie provocanti anche.

Il sesso on line per la giovane età –e forse, chissà, pure per quella adulta- è la panacea per tutti i mali. Conquisto quindi gongolo. Faccio godere quindi godo. Non corro i rischi del tete a tete reale quindi sono al sicuro. Sto su internet quindi nessuno lo sa. Che poi tutto questo possa essere terribile è altra storia. Anzi. Il punto è proprio questo. Guardarci dentro davvero, a questa via disperata del sesso on line.

E sarebbe il caso di farlo seriamente. Non con gli scoop. Andando a scovare cosa non funziona nei modelli del nostro tempo, nell’educazione, nei rapporti umani completamente in tilt. E pure nel sesso vissuto senza pelle, accidenti. Con coraggio, ovviamente. Perché bisogna partire dalla voglia di sapere e capire. Allora bisogna ammettere, da una parte, la voglia di sesso, dall’altra l’assenza o la carenza di una relazione piena, profonda e importante tra le persone, tra genitori e figli, tra docenti e allievi, tra adulti e giovani.

Ecco, tolte le patologie o le situazioni estreme di qualche peculiare disagio, il sesso dovrebbe essere un sereno momento della natura della vita. O no?

Irene Spagnuolo

La scuola più bella del mondo

La scuola più bella del mondo: un ottimo motivo per andare al cinema. Che Luca Miniero non sbaglia un colpo. Con la sua ironia e la suala_scuola_più_bella_del_mondo sensibilità. Il film arriva, da Nord a Sud, come una deliziosa e potente riflessione sulla scuola, sull’incontro, sull’impegno, sui sogni, sulla vita. Sul cammino che abbiamo smesso di fare e dovremmo urgentemente riprendere.

Il film fotografa la realtà, le differenze e i disagi. Una scuola toscana e una campana hanno l’occasione per mescolarsi e confrontarsi, per ritrovare il filo dei sentimenti, della buona volontà, dei traguardi possibili. Anche di capire cosa conta davvero e quanti freni siano da allentare per toccare la verità.

La comicità è la chiave migliore per veicolare uno scossone e una speranza. Per puntare il dito con buon senso e con il desiderio di accendere una luce. Ed è il filone giusto per smascherare con grazia il malcostume, svelare con brio quanta arretratezza possiamo colmare con la nostra disponibilità e la nostra determinazione, quanto ‘fare bene quello che facciamo’ sia il punto di partenza di tutto.

Il cast eccellente ha fatto il resto. Tutti hanno colto perfettamente lo spirito della trama e hanno enfatizzato al massimo la mission del loro ruolo. Interpreti ideali di una commedia brillante e intensa, di significati, sfumature e risvolti, Rocco Papaleo e Christian De Sica sono magnificamente supportati dalla recitazione di Angela Finocchiaro, Lello Arena, Miriam Leone e l’intera banda.

Bella fotografia, belle musiche, ritmo coinvolgente e un giusto equilibrio tra scene esilaranti, riferimenti sferzanti all’attualità, aspetti romantici.

Una piccola grande lezione, quella de La scuola più bella del mondo. In un Paese alla deriva, umana e culturale, arte e cinema possono svegliare animi e cervelli, aprire porte, stimolare pensieri. In fondo il film punta sul materiale umano della scuola (che metaforicamente è la strada della ricchezza e della crescita individuale e sociale): alunni e professori. Quelli che alla crisi, invece di arrendersi, possono opporre l’unica resistenza e controspinta che ha chances di vittoria. Già, si può sopravvivere senza carta igienica o con i computer rotti… se teniamo saldi i valori dello studio, dello scambio, del merito, dei desideri. Se impariamo a conoscere, a capire, ad amare. Se ci assumiamo la responsabilità di un cambiamento.

Non è una favola. Anzi. E’ uno spaccato –a tratti impietoso- della nostra società ma contiene gli elementi giusti per metterci spalle al muro e farci guardare avanti, con una grinta serena e costruttiva.

Un film che non si racconta. E’ da vedere e godere.

L’umorismo aiuta, molto. Ma dal grande schermo questa volta piovono anche emozioni. Un mix di impatto speciale.

Nozze gay cavallo di Troia

gay-nozze-Il presidente della Cei Angelo Bagnasco tuona contro il ‘tentativo di indebolire le famiglie’. Già, è proprio così che –a proposito di nozze gay- parla di cavallo di Troia di storica memoria. Sembra una battuta della Litizzetto nazionale ma non lo è. E proprio il bagnasco-pensiero e linguaggio, tutta farina del suo sacco. Che a proposito di gay, famiglie e persone ci sta davvero a meraviglia.

Però di storica memoria c’è altro, oltre al cavallo di Troia. E non tiro in ballo i casi terribili di pedofilia in seno alla Chiesa. Penso solo a tutte le solitudini, ai rapporti saltati, agli amori precari, ai bambini abbandonati, al disagio umano e sociale, al disastro economico.

Ma davvero le nozze gay possono attentare a un (finto) equilibrio, fare paura, rompere chissà quali certezze culturali o assestare un insostenibile colpo all’ordine costituito?

Questione ideale o di costi, mi chiedo anche.

La famiglia evocata da Bagnasco, fondata su una relazione eterosessuale, se c’è regge a tutto, anche alle nozze gay. Questo è il punto.

Negare l’evidenza non muta mai la realtà e questo dovremmo ricordarlo sempre, a proposito di tutto. Se c’è un caso in cui ‘legalizzare’ ha praticamente impatto zero sulla verità è proprio quello delle coppie gay. Allora il problema è che potrebbero essere benedette o che avranno diritti, richieste, aspettative? I numeri direi che non dovrebbero cambiare. Sentimenti, sacramenti, diritti, richieste, aspettative dovrebbero essere –in uno Stato civile e, io aggiungo, a maggior ragione non del tutto laico- delle persone. Che siano single, accoppiati, indecisi, etero o omosessuali. O no?

Irene Spagnuolo

Io ce l’ho profumato

Allora -negli anni ’80- era l’alito. Grazie a Mental, diceva lo spot.alito_profumato_mental

Così, più ci penso più torno lì, agli anni ’80. Con la musica, i vestiti, le atmosfere. Che i ricordi, è vero, fanno sempre tutto un po’ più bello. Però se tornano in mente loro e non i ’90 o i 2000 un motivo ci sarà. Anzi, molti motivi ci saranno. E uno li abbraccia tutti: lo spirito. Non il mio, quello collettivo.

Già, per creare, sorridere, sperare ci vuole quello. E uno spazio davanti, insomma un panorama, una libertà, un orizzonte aperto.

Mi vengono in mente i corsi e i ricorsi, il fondo e la risalita, le svolte e i nuovi traguardi. Tutta roba cui mi aggrappo, credo, per potermi mettere in attesa di qualcosa che assomigli a quei mitici anni ’80. Medito anche sui contro, sui risvolti, sulle bugie e sulle apparenze perché talvolta bisogna pur smascherare e sfatare la memoria troppo poetica. Il guaio è che in realtà so bene che non c’è revival che tenga e che a luccicare non è mai solo l’oro però sono frastornata da quest’epoca senza carattere. Tutto qui, forse. Che certo non è poco.

Perfino la crisi stenta a esplodere rumorosamente. Niente è clamoroso. Non c’è più una notizia strepitosa. Siamo appiattiti da un pensiero talmente debole che rende precaria anche la rabbia. La cultura è sfibrata, come i capelli maltrattati. I colori accesi, il volume alle stelle non ci sorprendono più. Strabuzziamo gli o imprechiamo e, nel secondo successivo, siamo altrove. Distanti più o meno alla luce pure da noi stessi. Si, da noi stessi. Quelli conformi, quelli inadeguati, quelli soli in compagnia, quelli persi dietro un’utopia. Senza coraggio e senza i desideri, straordinari, che hanno rivoluzionato il mondo.

Io ce l’ho profumato. Il sogno nel cassetto. Ma è solo un sacchettino con dentro un’essenza buona.

Che sia gay e non giochi a calcio

calcioDai piccoli maschi che hanno bisogno di essere o dichiararsi macho eterosessuali per sentirsi uomini alle sentinelle in piedi a quelli che si aggrappano a chissà quali paure, a chissà quale morale, a chissà quali limiti.

Mentre affondiamo, naturalmente. Una società e una cultura al collasso producono ogni genere di rigurgiti, di battaglie ‘civili’, di resistenze, di idiozie. Un po’ è un modo per sfuggire alla realtà, per prendere di mira qualcosa e chiudere gli occhi su tutto il resto. Un po’ è il peggior sintomo dell’insicurezza, dell’ignoranza, dell’insensibilità. Un po’ è la tragica deriva dell’intolleranza.

Che se non ti scagli contro i gay te la prendi con le donne, con il nord o con il sud, con gli extracomunitari, con qualche diavolo immaginario. Già. Cattiva educazione, disperazione, mania, grettezza. Di tutto di più. Balza fuori il peggio purtroppo. E la colpa è di tutti, diciamolo. Che arriviamo sempre ad occuparci troppo tardi di noi, della vita, della convivenza, delle idee. Inciampiamo nei nostri stessi incauti piedi.

Che strano Paese, che brutto tempo. Dove il calcio merita tutto e l’amore conta niente. Già, vale più una partita di un’unione. Perché ‘di fatto’ non basta, ci vuole una celebrazione. Perché chi magari alla celebrazione arriverebbe non può perché si è accoppiato con uno che porta i pantaloni come lui o la gonna come lei. Perché siamo attorcigliati su noi stessi, avvinghiati alla stupidità, alle forme, ai pregiudizi. Perché ci sta bene il trucco su tutto, stadi inclusi.

Accidenti, che desolazione.

Con questa ricchezza di pensiero altro che salvarsi dalla povertà economica, si fila dritti al disastro. Così, senza neanche provare a mettersi in salvo. Manca la voglia di verità. E il senso delle cose, della misura, delle priorità. Figuriamoci se possiamo praticare le virtù della coesione, della ragione, della libertà, del benessere, della giustizia, della bellezza!

E se il futuro fosse gay e non giocasse a calcio?

Irene Spagnuolo

Il burkini coprirà il mondo?

Almeno quello femminile, magari. Già, il burkini, neologismo che coniuga burka e bikini, è il costume integrale per le donne islamiche.MoS2 Template Master Potendo nuotare ma non mostrarsi la soluzione viene da una adeguata creazione di moda.

Chi lancia il burkini evidentemente ha stimato un interesse di mercato, penso.

E allora è anche probabile che il tempo sia portatore di novità, anche per il corpo e la cultura. Che insomma non è poi detto che resti lì, riservato alle fedeli di Allah.

Già. Chissà cosa ci riserva il futuro. Siamo qui a tribolare con l’integrazione, a sfoderare le insofferenze per certe rigidità religiose, a rivendicare la libertà, pure quella del nudo, poi guarda le aziende cosa ti tirano fuori. Il burkini, altro che vedo non vedo, culotte o tanga, lì è solo la fantasia a poter svelare qualcosa.

Sto correndo? No, capisco che il commercio debba badare a tutto e tutti. Incluso il fatto che le acquirenti devote alle coperture possono essere molte, moltissime. Ecco, forse sto solo riflettendo sui numeri. E potrei finire per darli se non metto un punto.

Non è proprio una novità dell’ultima ora anzi, in molte parti del mondo ha già fatto parlare, ridere e piangere. Mi chiedo, se mai, qui da noi che si dice?

Quanti burkini sono stati avvistati sulle nostre piagge o nelle nostre piscine?

Espatrio in Italia

we can do itChe alla fine se non possiamo e vogliamo lasciare il nostro Paese in massa ci toccherà, mi auguro, decidere di espatriare qui. Di costruire una ‘patria’ nuova, insomma. Di fare una rivoluzione culturale, di quelle grosse. Di svoltare, con decisione e velocità.

Perché tutti hanno mille ragioni per lagnarsi, per non farcela più, per morire di crepacuore, e allora tutti possono rimboccarsi le maniche e partire. Partire verso l’Italia, quella che dovremmo vivere e invece subiamo, quella che dovremmo amare e invece odiamo, quella che dovrebbe essere sogno e invece è incubo.

In valigia occorre mettere il meglio di noi. Esattamente come quando si decide di cercare fortuna chissà dove. Perché questo è tutto. In capo al mondo tiriamo fuori l’eccellenza qui a mala pena riusciamo a tenere una condotta da sufficienza. Altrove rispettiamo le regole qui siamo abili solo a trasgredirle. Qua e là mostriamo di essere cervelli nel nostro stivale ragioniamo con i piedi.

Certo, qui ci sono i limiti, gli ostacoli, le storture, i disastri, le ingiustizie, i vizi. E’ vero, dobbiamo dare un bel colpo di reni e di spugna. Però diamolo, accidenti. Riprendiamoci la nostra Italia, costi quel che costi. Che tanto peggio di così non ci possiamo ridurre, non la possiamo ridurre. Forse qualsiasi cosa può essere meglio di questa vita senza movimento.

Già, ci serve un viaggio. Un’emigrazione. Di cuore e mani. Di desideri e progetti. Di forza e euforia. Dobbiamo raggiungere con ogni mezzo il nostro Paese. Forse non è una missione impossibile. Forse non ci vuole più coraggio di quanto non ce ne voglia a lasciarlo per andare lontano, lontano, lontano.

Cambiamolo. Cambiamoci.

Irene Spagnuolo

L’amore non esiste

Fabi, Silvestri, Gazzé: tre nomi, una garanzia.amore_non_esiste

Che l’amore non esiste è amore vero. Finalmente. Fuori dalla parola, dentro la vita. E’ audacia, verità, ribellione, naturalezza.

Sensibilità musicali e verbali di questo livello sono gioielli per tutti. Chapeau al trio che unisce davvero le migliori espressioni artistiche e umane di un momento storico in affanno culturale e morale. Ci vuole una delicatezza romantica e sferzante per partorire e interpretare L’amore non esiste. E ce ne vuole altrettanta per tenerne stretta l’emozionante lezione.

Già, in crisi di sentimenti e profondità e semplicità e schiettezza, una canzone così è molto più di una grande uscita. E’ una riflessione, un invito, una carezza, una preghiera, un urlo. Che meraviglia.

Forse nel costume lacerato e lacerante ci sono ancora straordinarie risorse, lampi di luce, speranze. A me quest’idea solletica e conforta, molto. Perché è lì nella dimensione della musica, della letteratura, del cinema, che trovo sempre gli spiragli che confermano il cammino possibile del mio pensiero un po’ randagio.