L’ultimo giorno di scuola

Cara C.,

è arrivato anche quest’anno l’ultimo giorno di scuola: il giorno “dell’uscita alla quarta e non alla quinta”, il giorno del “all’uscita vado a mangiare coi compagni”, il giorno “Ma, stasera non mi aspettare che vado da C. e poi dormo da lei”.

Il giorno più atteso dell’anno in cui il suono della campanella diventa un gong che dà l’avvio al tempo infinito delle vacanze, dove giugno passa in un attimo, luglio è tutto un programma e agosto vola veloce verso l’inizio di una nuova stagione scolastica.

Per i nostri figli, scopro che è anche il giorno dello schiuma party, evento mondano che crea ingorghi e code alle due di notte su strade cittadine come a Capodanno, con tanto di genitori anta che scuotono la testa da un finestrino all’altro delle auto impilate, per ritirare frotte di adolescenti mondani.

C’è gente con il pigiama a quadrettoni che fa capolino da trench infilati all’ultimo per uscire tanto non mi vede nessuno, madri guidano con le ciabatte di plastica ma rigorosamente crocs brillantinate , padri che stanno sul pezzo ridicoli muovono la mano destra a ritmo di qualche musica vintage, con l’occhio languido e malinconico dei bei tempi andati. “Due anni fa ero allo Jovaparty sulla spiaggia e da giovane mi sono fatto tutti i festival chenessanno i 2000???”.

Come per ogni fine degna di nota (di siga o musicale che sia) o per ogni atteso inizio si celebra un rituale o un rito collettivo, sul qualche altare sacro o profano o su qualche ciglio di strada. Questa volta l’altare prescelto è la pista di una discoteca in precollina. Pensavo, meglio che un salto nel Po!.

La preparazione al battesimo nella schiuma del nulla cosmico del puro divertimento mi riporta al tempo infinito delle mele e ai pomeriggi infiniti di preparazione all’evento. Le ragazze si ritrovano nelle case delle amiche e nei bagni delle case delle amiche per prepararsi al party più cool dell’anno, e, documentando ogni istante dedicato a trucco e parrucco con selfie e tiktok, sfilano nei corridoi delle case come su un red carpet di un festival del cinema della generazione z.

Cara C., l’altro pomeriggio dell’ultimo giorno di scuola, quando sono tornata dal lavoro ed ho aperto la porta di casa mi sono trovata catapultata su un set milanodabere di mediaset amici grande fratello. La casa immersa in una nuvola di lacca, in ogni stanza allestito un camerino con abiti buttati a caso, ovunque, sulle sedie, nella cuccia delle gatte, sul piano cottura, nel lavabo della cucina, nella doccia grucce appese con mutande e top molto corti, dribblando scarpe e stivali, ho pensato di essere entrata in una slinding door dove Helen prende la laurea in materie umanistiche, fa lavori precari e mal pagati e poi muore senza la pensione, oppure Helen non prende la laurea, va lavorare in ristorante come precaria, incontra Checco, lo sposa, fa dei figli che non studiano ma riescono ad ottenere un successo strepitoso partecipando ad un format studiato dall’intelligenza artificiale, lei comunque, senza pensione, muore.

Ti confesso C. e tu lo sai benissimo, che ho cercato con tutte le mie forze di schivare uno dei miti ricorrenti della nostra generazione “lo show must go on di non è la rai” ed ora credo che il karma mi abbia punita come un boomerang in faccia che ritorna dopo aver fatto il giro del globo e dei palinsesti.

Non scherzo C. quando sono entrata a casa, le ho viste, erano lì davanti a me, palpabili, ti giuro C., che quei versetti gutturali non provenivano da nessun tubo catodico ma erano in carne ed ossa. Oddio sono arrivate qui, caxxo cosa ho fatto in un’altra vita per piombare in un’isoladeifamosi nella penisola della mia cucina?

In casa mia mi ritrovo con tre ambra, due alessia, due arianna e, non sto scherzando, alla regia di questo rito collettivo, non c’è un rassicurante boncompagni, ma la voce squillante e cavernosa di una fashion tiktoker.

Cara C., ho fatto un moonwalk jacksoniano verso la porta di casa, con una faccia sicura di chi ha sbagliato casa e cerca di uscire velocemente senza farsi riconoscere.

Ho preso le scale velocemente, sono risalita in macchina, ho tirato un sospiro di sollievo e sono venuta sotto casa a citofonarti per portarti verso il nostro vecchio bar davanti a scuola per ricordare romanticamente i nostri ultimi giorni di scuola, accesa la radio mentre ti aspettavo è arrivato anche lui, il motivetto di un torinese:

Elena

Cara E.,

come si dice, a volte la realtà è peggio del peggior incubo, temo.

In ogni caso, tra unghie finte laccate e perlinate, gonne inguinali per usare un eufemismo, schiuma party&co, ancora una volta la scuola giunge al termine.

Dalle mie parti, sommando gli anni persi, guadagnati, sospesi, ripetuti, esattamente giunge per la 14ma volta e chissà, per quante altre ancora, perchè di strada davanti per giocarci le ultime cartucce ne abbiamo. Come si sia giunti al termine, beh, questo è un altro discorso e d’altronde, poco importa ormai, vivi siamo vivi e questo ci basta, in fondo siamo persone semplici e abbiamo desideri piccoli e obiettivi pragmatici.

Alla fine, quell’oasi nel deserto che è la fine dell’anno scolastico anche da noi si è manifestata e ora ci aspettano tre mesetti da riempire con le delizie che l’estate 2024 sta portando a cavallo delle sue piogge torrenziali: per qualcuno lavoro ad intervalli regolari e costanti in cui si inseriscono vacanze pazze con amici in giro per i peggiori bar, non di Caracas, ma siamo lì, per qualcun altro feste, festini, ca**eggiare pallido e assorto, campi estivi con il gruppo di animatori e ripetizioni come non ci fosse un domani, con la speranza di arrivare agli esami di riparazione di settembre non dico pronti ma almeno presentabili.

E per te C.? dirai tu, a te cosa porta la fine della scuola con annessa estate 2024?

Ti dirò, cara E., io, in quanto madre come te, ho diritti relativi e commisurati al ruolo e all’impegno che giustamente s’ha da portare da quel lontano “2000 e x” in cui l’orologio biologico suonò le sue trombe che allora ci parvero angeliche anche se oggi sospetto fossero quelle del giudizio.

Perchè, per me, per noi, per quelle che in quanto genere donna vivono una vita da Madre, per scelta, per caso, per occasione, per necessità, per amore, per accanimento, per incapacità di immaginare altro, per qualunque benedetto o maldestro motivo, per noi la fine della scuola spesso è la fine del mondo, perchè quella maledetta scuola per lo meno, occupa. Mentre il vuoto della vacanza svuota e impegna in mille imprevedibili e prevedibili modi e spesso costi incommensurabili tra tate H24 e campi estivi di ogni genere e tipo.

Ora, prossima agli anta (quelli seri, veri), io me la sfango, perché i figli so’ piezz’e core, ma superata una certa età sono anche molto pezzi di fatti loro, a cui per altro inneggiano e agognano per metà della loro breve e felice esistenza pretendendo e scassando assai, per cui che vadano, vadano a passi lunghi e pieni di allegrezza per i fatti loro. Ma, “Madre sei e Madre rimarrai fino alla fine dei tuoi giorni, nella buona e nella cattiva sorte, donna” – io sono certa che sia stata quella la frase di Nostrosignoreiddio laggiù nella notte dei tempi che videro la luce di tutto – quindi, se qualcosa necessita, tu ci sarai, se qualcosa scappa, tu correrai, se qualcosa suona tu risponderai, se qualcosa duole, tu curerai. E così l’estate va, tra il lavoro, il coordinamento organizzativo che manco in azienda, i ritagli di spazi sferruzzati tra gli impegni altrui e le assenze che si fanno pace e respiro.

Viva la fine del mondo, quindi, perché che mondo sarebbe senza questa maledetta scuola?

Chiara

Autore: Redazione

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