Una macchina, una persona; una macchina, una persona; una macchina, una persona; una macchina, due persone… wow! C’è folla là dentro!
Guardo sempre le automobili dal finestrino del tram e da qualche tempo ho cominciato a fare questa specie di censimento estemporaneo, contando le macchine vuote che si muovono a passo d’uomo nel traffico del mattino.
Secondo l’Agenzia della Mobilità, Torino è attraversata da 250 mila vetture ogni giorno. Be’, non mi stupisce. Così come non mi stupisce che, da gennaio, in città si sia superato il valore limite di polveri sottili (le famigerate Pm10) per ben 58 volte, contro le 35 consentite in un anno (dati raccolti dal rilevatore della stazione Lingotto).
In questi giorni si è molto parlato di Smart City, più del solito intendo. Merito del festival “Le città visibili”, contenitore tematico che lega una serie di manifestazioni già esistenti (Cinemambiente, Bike Pride, Energethica…) allo scopo di promuovere a tutti i livelli la visione di una città futura più efficiente e vivibile. “Guardate che siamo già smart – dice l’amministrazione comunale – Già esistono un sacco di esperienze che lavorano nell’ottica della sostenibilità, dobbiamo solo coltivarle e sistematizzarle”. È certo un bel messaggio, propositivo e ottimista (e ce n’è bisogno!). Però…
Però poi salgo sul tram, butto un occhio alle auto in coda al semaforo e mi chiedo se davvero ce la faremo a raggiungere i traguardi promessi per il 2020.
I due pilastri del progetto città intelligente sono il recupero energetico degli edifici e la mobilità sostenibile. Sul primo punto pare che siamo piuttosto bravi: secondo un comunicato diffuso in marzo, la Città di Torino, grazie ai pannelli solari e fotovoltaici montati su scuole ed edifici pubblici tra il 2007 e il 2011, ha prodotto 1,6 milioni kWh di energia, con una riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari a 850mila kg. Ottimo segnale.
E se ne vorrebbero di altrettanto positivi anche sul fronte mobilità, ma qui la percezione, purtroppo, è un’altra. L’aumento del biglietto da 1 euro a 1,50 e i progetti di ridimensionamento di linee e tratte di bus e tram stridono un po’ con la volontà sbandierata di ridurre il traffico su automobile e promuovere forme di trasporto più green. Insomma, la bici va bene, ma non quando piove, nevica, fa freddo o c’è la nebbia: circostanze che, a Torino, si verificano abbastanza spesso… Le piste ciclabili piacciono a tutti ed è sicuramente un bene che il Sindaco prometta di costruire nuove stazioni per il bike-sharing, però se abito in centro e devo andare a lavorare alle Vallette o a Mirafiori (o viceversa), con la bici non ci arrivo.
Durante i giorni di festival ho assistito a conferenze, ho visto documentari e ho ascoltato dibattiti e progetti. Tra le altre cose ho scoperto che ci sono città negli Stati Uniti (Boston, ad esempio) che, per diminuire il traffico e incoraggiare il car pooling, impongono una tassa d’ingresso alle auto con meno di tre passeggeri. E ci sono altre città europee, come Hasselt in Belgio o Tallinn in Estonia, che invece hanno abolito il biglietto su tram e bus, ottenendo una minor congestione delle strade e cittadini più contenti. Insomma, disincentivo contro incentivo. Non so cosa, statisticamente, sia più efficace, ma in linea di principio preferisco il secondo metodo: tutto sommato è un modo per concedere ancora fiducia al genere umano, pensare che non serva sempre il giogo per ottenere un risultato…
Ora, tornando a Torino, mi rendo conto che, visti i conti in rosso di GTT, il trasporto pubblico gratuito sarebbe un’utopia. Ma perché prendere il pullman deve essere così punitivo? Orari ballerini, scioperi ogni 15 giorni, vetture strapiene nelle ore di punta, attese che si dilatano per ogni inconveniente atmosferico (bella la neve, ma non quando devi stare un’ora impalato alla fermata…). E poi perché il biglietto a bordo – finalmente introdotto sul alcune linee, per mettersi al passo col resto d’Europa – deve costare addirittura 2,50 euro? Non sarebbe più sensato ed equo, invece, introdurre una tariffa variabile in base alla tratta o alla durata del percorso, come accade nella maggior parte delle città europee? E ancora, se sono in bicicletta e mi sorprende un acquazzone oppure mi faccio male, per quale motivo non posso salire sul tram con la mia bici? Certo, se sul tram si sta come in un serraglio, la cosa non è neanche ipotizzabile, ma basterebbero passaggi più frequenti, almeno su certe linee…
Lo ammetto, penso che se avessi una macchina, spesso la userei. Anche per questo mi ostino a non volerla. Credo, però, che per convincere chi un’auto ce l’ha ad usarla di meno, non bastino le domeniche a piedi, le zone 30 e il bike-sharing. Quello che serve è un’alternativa efficiente.