“Nulla si crea nulla si distrugge”, Lavoisier XVIII secolo.
Dalle pagine del libro di fisica, la prima legge della termodinamica arriva in genere come una doccia fredda. Autoritario elogio dello status quo, suona tanto come un perentorio “Non toccate niente, guai a voi!”.
Per fortuna, subito dopo la virgola, Lavoisier ci riserva un colpo di scena che ribalta ogni cosa: “Tutto si trasforma”, aggiunge sornione, aprendo le porte dell’universo all’energia. Immediatamente si spalanca un mondo di possibilità, e poco importa se nulla si crea, perché trasformazione diventa sinonimo di creazione.
Perdonate la premessa tra l’amarcord e il filosofico, ma era dovuta, dal momento che praticamente ogni ente, associazione o azienda che si occupa di riciclo cita la legge di Lavoisier come motto o principio fondante.
Non fa eccezione – e a ragione – il Museo del Riciclo, visionario progetto online lanciato due anni fa e oggi arrivato al traguardo dei due milioni di click. A ragione, dicevo, perché museodelriciclo.it è nato proprio come una vetrina, virtualmente infinita e in continua crescita, della creatività che trasforma le cose, regalando nuova vita ad oggetti destinati alla discarica.
L’idea è di Ecolight, consorzio per la gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), delle pile e degli accumulatori. È un modo – spiegano – per far diventare l’idea di riciclo più familiare, per farla uscire dai contesti specialistici e attribuirle lo statuto di “buona pratica” estendibile dalle abitudini domestiche fino all’arte.
E infatti questo museo virtuale ha un catalogo di oltre 50 artisti e designer per un totale di circa 300 opere, tra sculture, quadri, installazioni, abiti e accessori, arredo e design e persino ingegnosissimi strumenti musicali. Si va dalle sculture in fil di ferro e legni di scarto alle lampade ottenute riciclando schede madri dei computer, floppy disc o schede elettroniche delle lavatrici, dagli strumenti a corda realizzati con contenitori di polistirolo del gelato fino alle borse per la spesa fatte con pulsanti di vecchie tastiere, e poi uno xilofono di chiavi inglesi, magliette-pezzi unici cucite a mano con scarti di stoffe, uno stiloso scaldacaffè costruito con scatolette di cibo per cani, fantasiose sculture create assemblando piccoli elettrodomestici rotti come asciugacapelli, ferri da stiro, joystick, rasoi elettrici e chissà che altro.
Non si tratta di un portale di e.commerce, ma ogni creativo ha una sua scheda con tutti i riferimenti, così chi volesse portarsi a casa una delle opere può contattare direttamente l’autore.
A parte il divertimento del curiosare tra le decine di immagini presenti sul sito, l’iniziativa di Ecolight offre il destro a un paio di considerazioni. Innanzitutto – ed è un segno dei tempi – pare proprio che il riciclo e la sostenibilità ambientale abbiano dato vita a una sorta di corrente trasversale in arte. Quello che nella Pop Art era critica alla società dei consumi e della riproducibilità tecnica e nell’Arte Povera era desiderio di andare all’origine delle cose, utilizzando materiali di scarto o non lavorati, nella Green Art (così come qualcuno comincia a chiamarla) è chiara consapevolezza dei problemi ambientali e dell’impatto che qualsiasi attività umana ha sull’ecosistema del pianeta.
E poi il riciclo, e in generale l’eco-sostenibilità, sta diventando sempre più un valore aggiunto, negli oggetti di uso quotidiano, ma anche per i beni di lusso, come appunto le opere d’arte o le creazioni di design. Insomma, riciclare è di moda. E se in qualsiasi altra circostanza (la rock-band del cuore, le scarpe dell’ultimo stilista newyorkese di grido o il ristorantino seminascosto nel centro storico), pronunceremmo la frase “è diventato di moda” con un certo snobistico fastidio, in questo caso non può che essere un bene.