Pierpaolo Luciano su Affari e Finanza di Repubblica
Gli industriali hanno difficoltà a trovare personale per le qualifiche più elevate, ma anche assumere un saldatore o un segretario amministrativo non è facile. Ma c’è la fila per diventare commesso all’Ikea con contratto a tempo indeterminato. Problemi anche per il centro europeo della Gm
Un bravo saldatore? Un miraggio. Un manutentore capace di destreggiarsi tra macchine utensili di ultima generazione? Trovarne. Un esperto di software, hardware e via dicendo? Disponibili con il contagocce. Manodopera specializzata cercasi disperatamente. Firmato: le imprese del Torinese. Per certi mestieri non c’è crisi che tenga, il mercato ne ha sempre bisogno.
L’indagine dell’Unione Industriale per il primo trimestre del 2008 non lascia dubbi: 4 aziende su 10 dell’area hanno difficoltà a reperire personale qualificato. Spiega Mauro Zangola, responsabile dell’Ufficio Studi: «Gli ostacoli aumentano con le dimensioni delle aziende: più sono grandi, più appare difficile coprire i buchi nell’organico. Un fabbisogno che tocca tutte le aree funzionali, ma in particolare quella della produzione. Lì ci sono problemi anche nella ricerca di addetti con bassa qualificazione. Soprattutto tra le aziende metalmeccaniche e della gomma e plastica».
Stessa fotografia da via Pianezza, sede dell’Api, 3 mila piccole imprese associate: al servizio infojob del 2007 figurano ai primi posti impiegati contabili, segretarie amministrative, disegnatori, tornitori e perfino centralinisti.
Rimedi? Alberto Tazzetti, presidente degli imprenditori torinesi dice: «Bisogna che la scuola rivaluti le specializzazioni tecniche che — contro un generalismo che ormai riguarda persino i licei — sono essenziali per non fare arretrare i saperi tecnologici. A Torino abbiamo intrapreso un’intensa attività di “formazione dei formatori” rivolto all’istruzione tecnica, iniziando con i grafici, continuando con la plastica e ora con la meccanica». Anche i sindacati puntano sulla formazione per creare le figure che mancano. Con un progetto che mutua quello della Fiat a Pomigliano: corsi di riqualificazione per gli operai in mobilità o in cassa integrazione, finanziati dall’Europa.
Ma c’è anche una certa disaffezione verso la tuta blu: «I ragazzi oggi non vedono come il massimo obiettivo finire in fabbrica», sintetizza Zangola. Una prova arriva dalle assunzioni 2007 in Piemonte (poco meno di 60 mila, con appena 6500 laureati e poco più di 21mila diplomati): nella top ten dei mestieri figurano ai primi posti commessi, baristi e cassieri di supermercati. Numeri che trovano un immediato riscontro nella realtà: l’Ikea sta per aprire un nuovo megastore nell’hinterland di Torino e per cento posti da commesso sono arrivate 20 mila domande. «L’incentivo in questo caso è senza dubbio rappresentato dall’assunzione a tempo indeterminato spiega Luciano Gallino, sociologo In un Paese in cui i contratti a termine sono ormai più della metà, assicurarsi un posto senza scadenza è un fattore importante».E i cosidetti lavori legati alla società della conoscenza? «Vengono dopo», aggiunge Gallino. Eppure almeno nel Torinese l’indagine lo prova c’è bisogno anche di manodopera altamente qualificata. Ne sa qualcosa Mike Arcamone, numero due di GM Powertrain Europe e responsabile del centro di ricerca di Torino, dove la casa automobilistica americana studia nuovi motori diesel. «Ad ottobre ci trasferiremo nella cittadella del Politecnico, che diventerà il nostro quartier generale europeo. Non sarebbe male trovare sin da subito i 150 tecnici che nei prossimi mesi dovremo selezionare e assumere». Perché tutta questa difficoltà?
È ancora Gallino a tentare una risposta: «La realtà è che si parla molto di crescita della conoscenza, ma poi ai giovani si offrono soltanto lavori e salari modesti». E Francesco Profumo, rettore del Politecnico: «La competizione con gli altri paesi è più che difficile. Il livello di internazionalizzazione delle nostre università è minimo, chi vuole prendere la strada della ricerca ha difficoltà a intravedere una carriera e se trova un’opportunità all’estero, se ne va volentieri. Bisogna mettere un freno a questa fuga».
Un problema che il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ribalta così: «Bisogna attrarre di più». E si spiega: «Mio figlio Tommaso si è laureato a Torino. Ora è ad Amsterdam per un master. I giovani hanno voglia di vedere il mondo. Il problema vero è convincere l’amico di mio figlio, Peter, a venire da Amsterdam a Torino. La questione non è fermare chi vuole andare fuori, ma attrarre di più».
Torino questa pista sta provando a percorrerla. Già quest’anno su 12 mila immatricolati all’Università di Torino oltre il 4% sono stranieri, al Politecnico siamo al 12%. «Si cominciano a vedere i risultati di una politica impostata anni fa» dice Ezio Pelizzetti, rettore dell’ateneo. Gli fa eco Profumo, numero uno del “Poli”: «Se passate nei corridoi del nostro ateneo vi sembrerà ormai di essere in un’università americana, con studenti che provengono da 94 Paesi». E proprio il “Poli” è una delle carte che Torino intende spendere meglio nella nuova sfida: diventare un polo della conoscenza.
D’altronde l’università di corso Duca degli Abruzzi ha già un certo appeal internazionale. Sono infatti più di 800 i contratti di ricerca con partner di tutto il mondo, compresi Nokia, Microsoft, Motorola, Michelin, Ibm, Hp e Jac per citarne alcuni. E poi c’è il centro del design che gli enti locali stanno per aprire negli spazi di Mirafiori acquisiti dalla Fiat. Sono attesi 2mila studenti, non solo italiani.
Ma decisivo appare per il progetto del polo della conoscenza il ruolo delle imprese. Due Unicredit e Fonsai hanno già scelto Torino come sede dei loro centri di formazione. E poi l’altra carta si chiama Onu. Sì, perché Torino grazie allo Staff College è ormai il secondo polo più importante in Europa nel campo della formazione per l’Organizzazione internazionale. E l’ambasciatore Staffan De Mistura, numero uno della struttura ricavata lungo le rive del Po, promette che è solo l’inizio.