Alessandra Carini su Repubblica.it
Quando si parla di innovazione l’economia italiana è vista fatalmente come uno dei fanalini di coda fra quelle europee: nelle statistiche arriva,con i suoi punteggi, al ventitreesimo posto su 37 paesi considerati, ben dietro i “grandi”. Ma davvero siamo così arretrati nella tecnologia? E se è così come si spiegano le performance delle nostre esportazioni in settori come quelli della meccanica dove se la battono con paesi come la Germania? Fino a poco tempo fa si era attribuito alla fantasia, alla capacità inventiva dei nostri imprenditori, in una parola ai loro “animal spirit” la loro resistenza ad un mondo assediato dalla concorrenza e sempre più difficile nei settori manifatturieri. Ma adesso una ricerca condotta sul numero dei brevetti in Italia, sulla loro “geografia” presenta un mappa tutt’affatto diversa del nostro Paese e della nostra economia.
Cinque città Milano, Torino, Bologna Roma e Firenze assommano il 41% dei brevetti italiani ottenuti dall’ Ufficio dei brevetti europeo, che, a dispetto delle statistiche internazionali sono una cifra di tutto rispetto: 28 mila a fine 2004. Ma l’ innovazione non è solo concentrata nelle grandi città: è diffusa sul territorio e nelle città medie. Tanto che quanto a occupati nell’alta tecnologia la Lombardia non ha nulla da invidiare alla Baviera o all’Ile de France, Veneto e Emilia Romagna superano la regione di Dusseldorf.
La ricerca fa luce su un aspetto sconosciuto dell’ industria di casa nostra, è stata presentata nell’ultima riunione annuale degli economisti dei distretti ad Artimino da due professori, Carlo Trigilia dell’Università di Firenze e Francesco Ramella di quella di Urbino. Nelle cifre non c’è solo un’immagine assai diversa dell’Italia della tecnologia ma anche un bilancio degli effetti distorsivi della politica italiana che è stata seguita per dare incentivi all’innovazione.
Anzitutto i dati. Tra il 1995 e il 2004 in Italia sono state presentate 24.000 domande di brevetto, quasi la metà proviene dai sistemi locali del Nordovest e il 43% da quelli della Terza Italia, quel Nordest che ha le sue propaggini nella fascia adriatica centrale. Le grandi città metropolitane rivestono un ruolo di primo piano, Milano, da sola con 5500 domande rappresenta un quinto del totale nazionale. Ma anche le città medio grandi cioè oltre i centomila abitanti hanno un ruolo non secondario con circa un terzo dei brevetti totali. Dunque il numero dei brevetti non è modesto e per giunta la loro dinamica è in crescita costante nel tempo: dal 2000 al 2004 le domande sono state di un quarto superiori a quelle dei primi cinque anni.
Oltre metà delle richieste di brevetto (il 50,4%)si concentra nei settori a medioalta tecnologia dove la meccanica fa la parte del leone (31% del totale), seguono ben distanti, l’automobile e la chimica (con il 7,5%) del totale. Ma anche l’alta tecnologia fa la sua parte: la farmaceutica, capitanata da Milano seguita da Roma e da Siena (8%), gli apparecchi medicali (il 4,8) con Milano e Bologna in testa, le telecomunicazioni. La geografia delle imprese che brevettano è, per l’alta tecnologia, fortemente concentrata nelle città metropolitane, nelle aree di grande impresa, dove è presente un terziario avanzato e c’è una forte quota di Università e di laureati. Per la media tecnologia, dominata dalla meccanica segue più la geografia dell’ Italia tipicamente distrettuali, e dalle zone della cosiddetta terza Italia, dove c’è anche una fortissima quota di imprese che decidono di collaborare e di prendere la strada di brevetti multiproprietari.
In entrambi i casi l’Italia presenta un risultato che, a seconda di dove lo si guarda è esaltante o sconfortante. Da esso traspare infatti un modello di innovazione che ha percorso tutto il centro nord e ha un elemento di continuità con settori ad alta tecnologia come farmaceutica e apparecchi medicali che interagiscono con la meccanica. Questa nel suo complesso, si intreccia con molte produzioni manifatturiere a più basso valore aggiunto ai quali fornisce gli strumenti produttivi per restare sul mercato. Ma è, appunto, un risultato che, ancora una volta, allontana il Centro Nord dal resto del Paese: se non ci fosse il Sud la posizione dell’Italia sarebbe infatti ben diversa in Europa. Per numero di brevetti per abitante l’Italia salirebbe al nono posto tra i paesi europei e al settimo per la tecnologia medio alta. Se poi si guarda il numero assoluto degli addetti in questi settori, misurato dalle indagine europee, alcune zone d’Italia finiscono ai primi posti in Europa: la Lombardia, che è prima per brevetti seguita dall’Emilia Romagna che ha la metà delle domande presentate, è prima tra le dodici Regioni europee più importanti da questo punto di vista, battendo zone come Stoccarda e la Catalogna. Il Nordovest come macroregione è terza, non a grande distanza di zone fortemente avanzate come l’Ile de France e la Baviera. Al Sud c’è meno industria, è vero, meno infrastrutture.
Ma la scarsa propensione all’innovazione del Sud va al di là dell’assenza di infrastrutture sociali ed economiche, che costituisce un brodo di coltura favorevole all’innovazione per il resto del Paese: a fronte del 14% degli addetti all’industria manifatturiera, il Mezzogiorno detiene infatti solo il 4,5% dei brevetti totali.
Ma chi sono queste aziende? «Dal sondaggio che abbiamo condotto su un campione di 100 imprese dice Trigilia che hanno presentato tre o più domande di brevetto risulta che si tratta di aziende solide, non necessariamente grandi, anzi nei tre quarti dei casi sono di piccola dimensione». E lo stesso sondaggio dice che l’innovazione premia chi la fa: quasi il 40% del fatturato realizzato nei dieci anni deriva da prodotti coperti da brevetto e il valore di mercato dei brevetti di maggior successo supera di dieci volte i costi iniziali.