In tempi di crisi globale del capitalismo, mentre l’innovazione è sempre più chiave della competizione mondiale, il ritorno in teatro di spettacoli che rievocano due imprenditori italiani atipici e innovativi, Camillo e Adriano Olivetti, è motivo di riflessione particolare sui valori della loro avventura.
E’ quanto dice un’attrice tornata in questi giorni in scena con due spettacoli dedicati agli Olivetti, proprio mentre si celebrano i cento anni della prima fabbrica di macchine da scrivere (29 ottobre 1908), oggi con due convegni a Torino e Milano, dalla settimana prossima con una grande mostra a Ivrea.
“Avevo iniziato a lavorarci quasi per smontare due biografie un po’ agiografiche, per scoprire cosa ci fosse dietro la facciata. Dopo un lungo lavoro, ci ho trovato un progetto solidissimo, che veniva da forti radici culturali”, dice a Reuters Laura Curino, protagonista a Milano, Teatro Studio, di “Camillo Olivetti. Alle radici di un sogno” e “Adriano Olivetti”, spettacoli di cui è stata autrice dieci anni fa assieme a Gabriele Vacis, che ha curato anche la regia.
Quelle radici sono “fiumi culturali” che provengono da un intreccio di minoranze, nell’Italia dell’epoca: la matrice valdese di Luisa Revel, moglie di Camillo e madre di Adriano, la propensione socialista di Camillo, ateo ma di famiglia ebrea, che vive in un ex convento cattolico.
“Alla fine mi sono liberata dai pregiudizi. Ed ho dovuto ammettere che ogni tanto nasce un genio”, dice l’attrice. Che nella forte consapevolezza e identificazione con l’azienda di operai e quadri dirigenti, riconosce quella “diversità” degli uomini Olivetti” che lei torinese figlia di un dipendente Fiat aveva incontrato sin da bambina.
“C’era la consapevolezza che al centro, quell’azienda avesse il pensiero e la persona, come sua ricchezza inestimabile. La percezione del significato innovativo e sociale che aveva, passava attraverso tutti gli strati…Ognuno era la Olivetti, con un senso di aristocrazia operaia… fiero di partecipare a quel progetto”, afferma.
Diversità che alla Olivetti (dal 2003 società del gruppo Telecom Italia), ricorda l’attrice, passava anche attraverso condizioni lavoro d’avanguardia: spostamenti periodici dalle mansioni più ripetitive, medicina del lavoro, assistenza e servizi di prim’ordine, compresa una mensa aperta ai familiari, forte promozione culturale dei dipendenti. “Chi voleva studiare aveva giorni liberi, danaro e prestiti d’onore che avrebbe restituito un po’ alla volta la nuova posizione ottenuta”, ricorda.
Un sogno, che Camillo Olivetti osteggiato da un ambiente scettico si ostinò a inseguire, dopo aver visto oltreoceano le potenzialità innovative di quel nuovo strumento. Al punto, ricorda la Curino, da prenotare un padiglione dell’Expo di Torino, 1911, quando ancora la Olivetti di macchine da scrivere non ne aveva ultimate. Rimediando con un’intuizione da progenitore della “body art”, dice: esponendo gli operai al lavoro, sulla prima macchina da scrivere, che riusciranno a ultimare con grande successo davanti al pubblico.
Sulla stessa scia, ricorda l’attrice, si muove Adriano, nel combinare ricerca, bellezza estetica, design e qualità della vita circondato dal meglio dell’intellighentia mondiale, dai designer agli architetti. In un progetto che ha sempre al centro l’uomo ma che è troppo avanzato per i suoi tempi, “osteggiato dalla destra che lo considerava comunista e dalla sinistra che lo riteneva paternalista… allora si finanziavano siderurgia e petrolchimico… era un altro il modello vincente e abbiamo visto cosa è successo”, osserva.
Malgrado le pagine amare, anni dopo la morte di Adriano, nell’ambizioso passaggio all’informatica che pure raccolse alcuni successi straordinari, con un drappello di ricercatori di livello mondiale (nucleo della presenza di talenti italiani a Silicon Valley, dove ancora a metà anni Novanta Olivetti, aveva quasi 300 ricercatori), “quell’idea (di capitalismo e di innovazione) ha ancora valore e sopravvive, anche se i fondatori non ci sono più”, dice l’attrice.
“Innovazione vuol dire trasformazione e (in Italia) si sono abbandonati i laboratori di ricerca. Ma se si smette di finanziare la ricerca si taglia la produzione… e ci vuole anche un Paese che capisca l’importanza della scienza e della tecnologia. Innovazione vuol dire investire nei cervelli di quelli che inventano, altrimenti ti ritrovi indietro. Come ci accade in questo momento”, aggiunge.
Ricordando, in giorni di terremoti finanziari globali, di speculazioni che hanno propiziato immense ricchezze e la rovina di molti, che “dopo la morte di Adriano Olivetti, il suo curatore testamentario scoprì che non possedeva nulla. Tutto era stato investito nell’azienda”.