Beppe Berta su Lastampa
Torino qui domani” – il forum di discussione promosso da Torino Internazionale col sostegno della Fondazione Crt che si svolgerà da martedì a giovedì presso Unimanagement – si differenzia dalle numerose iniziative dedicate alla trasformazione della città e del suo sistema urbano. E non solo per il pubblico che coinvolgerà: oltre cento operatori e professionisti di età compresa fra i 25 e i 40 anni, chiamati a esprimersi sul cambiamento in atto a Torino e sulle scelte che la città dovrà compiere nei prossimi anni.
Il mutamento generazionale è un aspetto, importante ma non esclusivo, di un percorso di trasformazione che forse può essere colto meglio da chi rappresenta interessi economici e sociali emergenti e nuove culture professionali, insomma da quanto si è affacciato in maniera più netta sulla scena urbana dal 2000 a oggi.
Si tratta probabilmente di uno strato della popolazione di Torino che non ha ancora avuto la possibilità di riflettere sul cammino che è stato percorso nell’arco di vent’anni e sul ventaglio delle opzioni che si aprono. Oggi è fin troppo facile contrapporre l’immagine della Torino Duemila, post-olimpica, allo stereotipo della città fondamentalmente monocromatica e a una dimensione del decennio Ottanta.
Ma se è vero che la Torino odierna appare a tutti più vivace, gradevole e vivibile, rispetto a quella di un tempo, si dimentica che a quell’epoca essa aveva toccato uno degli apici della sua forza economica. La Torino anni Ottanta, quanto a rilevanza economica, non aveva proprio nulla da invidiare alla «Milano da bere». Tanto per ricordare alcuni dati essenziali, la Fiat si giocava allora il primato sul mercato europeo dell’auto testa a testa con la Volkswagen, grazie al successo strepitoso della Uno. Gli abiti di Armani e di Valentino, prodotti dal torinesissimo Gruppo Finanziario Tessile dei Rivetti, dominavano nelle vetrine della Quinta Strada a New York. A poche decine di chilometri da Torino, poi, la Olivetti produceva il personal computer più venduto al mondo, l’M24. Eppure, quella Torino al vertice del successo economico e industriale, appariva una città laboriosa ma terribilmente grigia,
un po’ ripiegata, segnata da aree di degrado urbanistico e sociale, ben poco attraente. Pesavano le incertezze della politica e un’amministrazione locale che sembrava in crisi perenne. E poi era l’amalgama sociale della città a essere insoddisfacente, a causa di una rete di relazioni deficitaria, all’interno come verso l’esterno.
Da questo punto di vista, il periodo di crisi che Torino ha attraversato in seguito ha costituito uno shock salutare. L’ha obbligata a tirar fuori da sé nuove energie e a ottimizzarle; soprattutto le ha insegnato i vantaggi del lavoro di squadra. Per questo, Torino ha saputo reagire e anche sorprendere, rivelando un volto diverso all’Italia e al mondo. Ma ora deve dare prova di saper costruire il futuro. E per far questo deve dimostrare di riuscire a elaborare nuove capacità e saperi, da mettere in campo attraverso lo sviluppo di una cooperazione efficace. È quel che si cercherà di fare a “Torino qui domani”, una sorta di modello di simulazione per delineare scenari e proposte di intervento per la città del prossimo futuro