Come molti, anch’io sapevo, nell’istante stesso in cui l’ecumenico Rizzoli ha assegnato un calcio di rigore al minuto 93, che lo avrebbe tirato Cerci e che lo avrebbe certamente sbagliato. Per due motivi: 1) il nostro eroe è un fenomeno ma non li sa calciare, i rigori 2) perchè “siamo il Toro”, e quindi “siamo sfigati”, e perdere un’Europa conquistata con sangue e sudore sbagliando un penalty all’ultimo minuto era troooppo “da Toro” per non accadere.
Lo sapevo, eppure ho iniziato a cristonare interiormente perchè al tempo stesso lo rifiutavo, lo rifiutavo con tutte le mie forze; ma non si può respingere qualcosa che è già successo, e dentro di me tutto era accaduto ben prima che Rosati (Rosati…) effettivamente parasse. E altre cose hanno iniziato ad affastellarsi sopra il mio cuore spento e annerito come un riflettore dell’Euganeo: le parole che sarebbero arrivate da colleghi giornalisti, fratelli tifosi, ignoti osservatori. Quelle di consolazione, che infatti hanno iniziato subito a far vibrare il cellulare sulla scrivania, quelle di circostanza, ma soprattutto quelle due: “da Toro”.
Immancabili. Puntuali come la morte o come gli svizzeri che non so chi preferire tra i due, “un finale da Toro”, “un epilogo da Toro”, con i sottintesi “non poteva finire che così”, i più elaborati “destino fatale che sempre attende i granata” e i più diretti “questo è il Toro, amici”. Ma il più diretto di tutti, nella mia replica normalmente mite, credo di essere stato io: “Vaffanculo. E vaffanculo alle cose da Toro”.
Dovrebbe essere consolatorio, pensare che è stata una cosa “da Toro”. Non lo è. Non lo è manco per niente. Dove sta scritto? Nel “destino”? Fatemelo vedere, e poi ditemi anche chi l’ha scritto, non solo dove, così andiamo a parlargli e lo invitiamo a guardare le partite di qualcun altro. Dovrebbe accrescere l’aura mitologica intorno a noi, o la simpatia che ci circonda? Sai che me ne faccio. Il morto di fame che gira fra i cassonetti e sente sussurrare gli indici puntati “Ssst, sapete?, dicono che quello un tempo fosse un principe bello e potente” non ha meno fame, non è meno povero, non puzza di meno.
Confido in Ventura, che di calcio ne sa come pochi ma di Toro non ha mai capito nulla; vado ad ascoltare le sue dichiarazioni: “Fa parte del dna del tifoso granata, soffrire”. Non posso sperare nemmeno più in lui, per una volta che mi aggrappavo speranzoso alle sue parole. Se tutte le divinità celebrate e dimenticate ci odiano – chissà perchè – così tanto che in confronto Ulisse lo hanno coccolato, se c’è da scegliere fra il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto perchè c’è sempre qualcuno che comunque se n’è bevuto metà e non siamo stati noi, se tutto questo ci accade sempre, io non mi consolo.
Essere “da Toro” ricordo volesse dire guardare i propri limiti che ti intimano lo stop, accelerare e proseguire fregandosene se ti sparano. E in questo, il Toro è stato da Toro; ma per questo, non perchè ha perso o per come lo ha fatto. Vaffanculo alle cose “da Toro” e a chi oggi pensa davvero che sia stato meno brutto e meno doloroso se ci aggiungiamo queste due parole. Per caso segnare anziché sbagliare ci avrebbe forse reso come la Juve? Non credo. No, io volevo vincere. Per una volta, diosanto. Non volevo una cosa “da Toro”.
Oppi
p.s.: piccola consolazione, ieri Cerci è diventato del Toro. Per metà – visto che non siamo fatti solo di dolore – lo era diventato con il gol al Genoa, impazzendo di una gioia che non aveva mai conosciuto, come lui stesso ha detto, e che lo stava facendo riflettere sul suo futuro. Per l’altra metà, con il dolore inaudito di ieri. Ci farà il callo. Al dolore? Sì, ma pensavo pure alla gioia.
p.p.s.: lo ammetto, forse un giorno mi farò vanto di quel che è successo ieri, e lo esibirò agli infedeli come ennesima cicatrice quando spiegherò loro quel che non possono capire. Un giorno, forse. Ma un giorno lontano.