E’ diventata un’abitudine, al vecchio Comunale, applaudire la squadra di casa dopo un risultato negativo. Quel che un tempo era un’eccezione legata a casi particolari, a momenti sportivi ammirevoli per l’applicazione ma sfortunati per l’esito, sta diventando una consuetudine che a molti inizia a venire a nausea; c’é chi ritiene sia la certificazione di un’ormai dominante mentalità perdente.
Certo però la partita giocata dal Toro contro il Genoa di Gasperini, quel Genoa rigenerato per il quale già si parla d’Europa, avrebbe potuto rappresentare a buon diritto – in epoche di maggior equilibrio – una di quelle eccezioni.
Nella cornice di tramontana gelata che solo Marassi sa offrire, tra pezzetti di gemellaggio ritrovato ed ampie sacche di risentimento o indifferenza, l’undici granata ha mostrato un atteggiamento completamente differente da quello di ogni singola partita disputata negli ultimi due anni e mezzo. “Eh sì, ci ha sorpresi, ci ha sorpresi di brutto”, ammetterà un giocatore di casa a fine gara.
Come? Guardando in avanti. Non metaforicamente, no: puntando la porta avversaria, sviluppando il proprio gioco in verticale anziché in orizzontale. Niente titic-titoc, la manovra non viene organizzata dalla linea difensiva con quella lentezza ormai famigliare in grado di esasperare forse gli avversari e sicuramente i propri tifosi, niente di tutto questo. Ed ecco anzi perfino l’intensità, la grande desaparecida dell’era venturiana, che per molti aveva contribuito a cancellare ogni residuo tratto tipico del Toro.
Dopo 18 minuti di gioco erano già state collezionate 6 occasioni da rete. E un gol, anche se nella meno nitida di queste 6. Anzi, é forse questo l’unico piccolo appunto negativo di serata, la mancata concretizzazione delle opportunità. Pure se, con uno sguardo forse semplice ma onesto, si nota come in realtà poca parte abbiano avuto gli “errori”, in tutto ciò, e ben di più la straordinaria serata del numero 1 rossoblu, look da bimbominkia e guizzi da Buffon che fu. E storicamente é errato chiamare “sfortuna” ciò che é bravura dei portieri: Ventura li preferisce bravi con i piedi, Cairo economicamente abbordabili, Petrachi annuisce, altri invece pensano sia un elemento importante e ci investono persino. Chissà a chi i fatti daranno ragione.
Il Toro torna a casa con un punto solo, nonostante un Immobile incontenibile, un Darmian impeccabile (solo uno sguardo molto superficiale può attribuire a lui la responsabilità sul pari di Biondini) ed una squadra che, come detto, in un colpo solo cambia il proprio modo di giocare. La domanda che, insieme ad un po’ di rinnovata speranza per il futuro prossimo, nasce spontanea, é: “Ma allora non si poteva giocare così anche prima?”. Ovviamente è un interrogativo destinato a perdersi nella tramontana di Genova, e nella testa del genovese.
Tramontana che un po’ ha perso, per una sera, anche Cerci, involuto in un egoismo stavolta – a differenza del finale contro il Catania – imperdonabile: da augurarsi una paterna sgridata. Mancava per altre ragioni (squalifica) Danilo D’Ambrosio. Ma a questo forse sarà bene fare l’abitudine fin da ora.
p.s.: a proposito di portieri: che gioia l’esordio di Lys Gomis, che aspettava questo momento da una vita e forse l’ha atteso troppo, forse avrebbero dovuto concederglielo prima e non per cause di forza maggiore, forse avrebbe dovuto andarselo a cercare altrove con la forza di tagliare il cordone ombelicale, chissà. Ma ora é arrivato.