Luigi Meroni, detto Gigi (Como, 24 febbraio 1943 – Torino, 15 ottobre 1967)
Don Robella su Gigi Meroni
Siamo di nuovo qui al ceppo di Meroni come ogni anno. Potrebbe diventare un’abitudine, perché sono cose buone. Vuol dire mettersi addosso un vestito, ciò che ci definisce. A volte racconta qualcosa di noi. E allora diventa un vestito quello del 15 ottobre che noi del Torino indossiamo e questo vestito si chiama Gigi Meroni. Un vestito che ci racconta e che ci definisce. Racconta che noi abbiamo sempre a che fare con la vita, con il Paradiso e che i nostri grandi giocatori non muoiono mai nei nostri cuori. Non muoiono perché noi manteniamo vivo il nostro ricordo. Sono in Paradiso e questa è la cosa più importante. Infine ci raccontano ciò che siamo e Gigi Meroni racconta chi siamo. L’enorme paradosso di essere del Torino, saper gioire tra le lacrime e saper anche piangere lacrime di sofferenza. Ci permette di non dimenticare mai. Questo non dimenticare mai non deve essere un guardare indietro nostalgico, ma vuol dire guardare sempre avanti. Per un Gigi Meroni che ci ha preceduto potrebbe esserci un piccolo Gigi Meroni che sta calcando i campi da calcio. Non solo perché è un campione, ma anche perché è un campione. Perché è una persona gentile. Chi ha avuto a che fare con Gigi Meroni lo ha descritto come una persona garbata, una cosa che forse dobbiamo riprendere. L’essere gentile oggi è diventato quasi un difetto, dove tutti siamo arrabbiati e tutti abbiamo qualcosa da protestare o da scrivere senza spendere una parola di gentilezza ed estrosità in un mondo che conforma tutto. Riprendiamo da Meroni la gentilezza e l’estro, quella capacità di essere sé stesso