Due giornalisti torinesi, Stefano Rogliatti e Stefano Tallia, nello scorso mese di giugno, sono andati a raccogliere le testimonianze dei rifugiati nel campo profughi di Domiz e nei territori che si trovano a nord di Dohuk dove si sono accampati i meno fortunati, quelli che non sono riusciti a trovare spazi nei campi. Un viaggio che apre uno squarcio sulla vita di chi fugge e che si conclude a Erbil, la capitale del Kurdistan, dove hanno trovato riparo i profughi cristiani.
Con le parole dei rifugiati, nel reportage Dust della durata di 30 minuti, sono raccolte anche le testimonianze degli operatori di Medici Senza Frontiere e delle altre Ong che si occupano della salute dei rifugiati.
Nel Kurdistan iracheno vive oggi un milione di profughi. Donne e uomini in fuga dall’avanzata dell’Isis in Siria e Iraq, persone che hanno perso in un attimo tutto ciò che avevano: casa, lavoro, affetti e che in molti casi hanno anche assistito all’uccisione di parenti e amici. Un popolo composto da etnie e religioni diverse, perché la guerra in corso in Medio Oriente non fa alcuna distinzione.
Un’attenzione particolare è dedicata ai traumi psicologici provocati dalla guerra alla preziosa attività che gli psicologi svolgono sia con gli adulti che con i bambini. Il documentario vuole contribuire alla riflessione sul tema dei profughi, oggi di drammatica attualità anche all’interno dei confini dell’Europa. Quello proposto da Dust è infatti il racconto di come un paese povero come il Kurdistan abbia saputo aprire le proprie porte con generosità ai rifugiati. Tra le altre testimonianze, particolarmente toccante è l’appello che Azad Haleem, vice direttore dell’ospedale infantile di Dohuk, rivolge agli ospedali di tutto il mondo affinché lo aiutino. Con l’arrivo dei rifugiati la struttura ha visto crescere del 40 per cento il numero dei ricoveri e oggi si trova al limite del collasso.