La mozione anti referendum sulla caccia della Giunta Regionale del Piemonte non è piaciuta a Fabio Balocco (e non solo) che parla di attentato alla Costituzione
In Piemonte è in queste ore in atto un vero e proprio attentato alla Costituzione, ed in particolare al suo articolo 48, relativo al diritto/dovere di voto. Come i lettori del mio blog sapranno, la Giunta regionale, retta dal governatore Cota, dopo 25 anni di battaglie legali, è stata costretta dal Tar Piemonte ad indire il referendum per limitare sensibilmente la caccia in Piemonte. In pratica, tra l’altro, si chiede di limitare la caccia a sole quattro specie, di non andare la caccia alla domenica, e di non poter cacciare su terreni innevati.
Da quando il governatore è stato costretto ad indire il referendum, è iniziata un’indegna campagna(non la si può definire diversamente) volta ad evitare in extremis la celebrazione, con la scusa che il referendum costerebbe ai cittadini piemontesi 22 milioni di euro (la Tav costa circa 20 miliardi di euro, ma nessuno è contrario). Artefici della campagna, la stessa giunta (Lega e Pdl), sorretta, manco a dirlo, dal Pd. Ovviamente nessuno nella maggioranza e nel maggior partito di opposizione che accenni a parlare di una legge che recepisca i quesiti referendari, posto anche che i nostri politici sanno benissimo come la stragrande maggioranza della popolazione ne abbia le scatole piene di un di un’esigua minoranza di persone sempre più anziane che spara a destra e a manca, per puro e semplice divertimento. E allora qual è lo stratagemma studiato proprio in queste ore dalla maggioranza?Abrogare la legge attualmente in vigore in Piemonte, e sulla quale i cittadini sarebbero chiamati a votare. E così il referendum non si dovrebbe celebrare.
Come si può ben capire, la situazione, oltre che grottesca, è drammatica, nel senso che qui, come dicevo, è palese l’attentato al diritto/dovere di voto dei cittadini. E probabilmente ci sono anche gli estremi di cui all’art. 294 Codice Penale – Attentati contro i diritti politici del cittadino.
Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.