Il sito del vate dei giornalisti italiani Franco Abruzzo riporta due documenti relativi alla fusione di Stampa e Secolo XIX. La fusione dovrebbe essere la salvezza delle due testate, ma è una operazione a rischio perchè si crea una unica editrice ma anche un maxi centro di costo costo con 306 giornalisti e 190 poligrafici e relativi costi industriali a cui occorre capire realisticamente quali ricavi si potranno realizzare a fronte anche di diversi e importanti costi di riorganizzazione del lavoro. Vale la pena di leggere i due documento per capire la situazione.
Il Comitato di Redazione de “La Stampa” ha incontrato questa mattina amministrazione e direzione per la consegna del documento che sancisce dal prossimo 1 gennaio 2015 la fusione La Stampa-Secolo XIX sotto l’unica e nuova Italiana Editrice Spa (Itedi). Copia della comunicazione è stata inviata – ai sensi dell’articolo 47, 1° comma, legge 428/90 – alla Fieg, alla Fnsi, all’Associazione Stampa Subalpina, all’Associazione Ligure Giornalisti, oltre che essere consegnata (in una riunione contemporanea alla nostra) al Cdr del Secolo XIX.
Queste le parti più significative del documento:
- La Stampa occupa attualmente 333 dipendenti, di cui 202 giornalisti e 131 poligrafici. Il Secolo XIX ha oggi 163 dipendenti, di cui 104 giornalisti e 59 poligrafici.
- Le due testate resteranno separate, come i rispettivi trattamenti economici, contrattuali e di accordi aziendali integrativi fin qui definiti.
- “Il nuovo assetto – si legge nel documento – consentirà un significativo recupero di efficienza attraverso la razionalizzazione di costi e la realizzazione di economie di scala”. In particolare, “saranno unificate le funzioni preposte agli acquisti di tipo editoriale e non, per ottenere benefici economici, mantenendo inalterato il livello dei servizi”.
- Entrambe le testate saranno oggetto di una revisione grafica: il Secolo XIX (con alcune pagine in più rispetto alle attuali) passerà inoltre al formato 31×45 che potrà essere prodotto nello stabilimento torinese di via Giordano Bruno, cosa che richiederà per loro diverse modalità di distribuzione.
- Per consentire l’integrazione è previsto l’utilizzo di un unico sistema editoriale integrato (Methode), il che consentirà fra l’altro “la condivisione di gran parte dei contenuti sia per la parte nazionale, sia per quella riguardante la Liguria di Ponente”, pur mantenendo la necessaria differenziazione fra i due giornali.
- Sempre nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse, oltre che di una più efficace gestione della nuova editrice, parte rilevante delle funzioni amministrative verrà accentrata a Torino.
- Non ci sarà riduzione del personale. Su base volontaria saranno possibili trasferimenti fra redazioni e settori delle tue testate.
- Il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, sarà il coordinatore editoriale della nuova editrice, ma il Secolo XIX avrà un proprio direttore responsabile, Alessandro Cassinis.
L’annuncio formale della fusione porta con sé una nostra riorganizzazione del lavoro, che richiederà fra l’altro una maggiore rigidità nei tempi di chiusura del giornale, e l’utilizzo più massiccio di pagine master. Il direttore ha incontrato i colleghi rappresentanti le redazioni Liguri, che nei giorni scorsi hanno inviato al Cdr un documento, manifestando preoccupazione sulla riorganizzazione del lavoro legata alla fusione. Anche il Cdr incontrerà i colleghi liguri dopo la loro riunione con il direttore. Il Comitato di Redazione incontrerà anche i colleghi del Cdr del Secolo XIX, riunione che era prevista ma è stata rinviata nei giorni scorsi, in attesa della formalizzazione del documento di fusione presentato questa mattina.
MARCO ACCOSSATO (CdR). “La fusione partirà formalmente dal primo gennaio. Ci siamo posti diversi interrogativi, sia sul piano economico e dei bilanci, sia sul piano dell’organizzazione e dei contratti. Poi c’è il problema di come integrare lo stile Stampa e lo stile SecoloXIX, più gridato. Come sarà possibile integrarli? Il comitato di redazione ha già incontrato l’amministrazione e il direttore. Il direttore presenterà la fusione e le novità che porterà, a partire dalla grafica del giornale. La settimana prossima ci sarà un nuovo incontro più specifico”.
MARIO CALABRESI. “È veramente un passaggio abbastanza epocale per il giornale, che non era da fare solo con piani industriali e incontri col cdr. È la cosa più importante che è successa da quando sono qui, negli ultimi cinque anni e mezzo, e che segnerà il giornale. È necessaria una premessa. Abbiamo fatto un piano importante di ristrutturazione. Ringrazio i colleghi che sono usciti, con un atto di generosità. Il piano è stato fatto per portarci a chiudere in pareggio quest’anno e in situazione di stabilità per il prossimo anno. Ma il piano è stato fatto l’anno scorso, quando si pensava che fossimo alla fine della recessione. Le analisi davano una crescita dei consumi e una raccolta pubblicitaria sufficiente a compensare il calo di copie di cui tutti i giornali soffrono. Il calo di copie è drammatico, non esiste un’altra azienda, come l’editoria, nel mondo, che abbia perso tanto valore in meno di dieci anni. Negli Stati Uniti la pubblicità del 2013 è la stessa del 1951. Si pensava, quindi, che saremmo arrivati in equilibrio, invece siamo in recessione. Già a giugno le stime ci dicevano che avremmo chiuso la gestione ordinaria con 4-5-6 milioni di rosso. E le proiezioni sul 2015 parlavano di 10 milioni di rosso. Siamo arrivati a questo punto dopo due anni in cui Fiat ci ha rifinanziato in maniera straordinaria (ndr: successivamente ha parlato di 116 milioni di stanziamenti Fiat negli ultimi due anni per La Stampa).
Il Cda Fiat ha finanziato la ricapitalizzazione della Stampa in cambio del ritorno al pareggio, altrimenti non sarebbe stata prevista alcuna ricapitalizzazione. Le opzioni erano due e, se non fossimo riusciti nella fusione col Secolo, saremmo stati costretti a diventare un quotidiano regionale (ndr: successivamente ha detto che, in caso di fallimento del pareggio di bilancio, si sarebbe dovuto ridurre il numero dei giornalisti contrattualizzati da 200 a 120, con 80 esuberi). A luglio sono riprese le trattative, che andavano avanti da anni tra alti e bassi, tra Elkann e Perrone, che si trovava in una situazione pre-fallimentare. I detrattori di questo progetto sostengono che si stiano sommando due debiti. Il progetto di avere Corriere della Sera e Stampa insieme non ha senso. Significa che La Stampa diventa la cronaca piemontese del Corriere della Sera. Con la differenza che noi, a Torino, vendiamo 80 mila copie, mentre il Corriere della Sera 2400. In Piemonte, il Corriere non è radicato. Sarebbe un’operazione senza senso industriale. Questo invece è un matrimonio intelligente. Il Secolo cambierà formato, che sarà uguale al nostro, e avrà una grafica dialogante con la nostra. Le sinergie di stampa, di distribuzione e acquisti portano risparmi di diversi milioni di euro. È prevista la vendita della doppia pubblicità su entrambi i quotidiani e ci sono altre possibilità, dalle operazioni di marketing e agli Speciali comuni. Questa è la prima vera operazione di consolidamento nell’editoria italiana, un’operazione che consente di mettere in equilibrio due giornali.
Il Secolo vende 60 mila copie e continua a fare pagine nazionali e internazionali, con costi e dispersione di sforzi non più sostenibili, che andrebbero concentrati sul locale. Inoltre continuava ad avere un amministratore delegato, un responsabile marketing, un capo del personale e altre figure che in uno spazio così piccolo non riuscivano più a stare in piedi. Il nostro obiettivo era salvare un modello giornalistico. Senza la fusione, con questo Natale saremmo usciti dalla partita con Repubblica e Corriere della Sera. Non saremmo più stati in grado di mandare inviati in Sierra Leone per Ebola o in Libia. C’è chi sostiene che la Stampa ha l’ottanta per cento delle copie nel Nord Ovest e che questa politica è insostenibile. Il nostro bacino di copie, se aggiungiamo quelle del Secolo, giustifica il fatto di avere un corrispondente da Gerusalemme o da New York. Noi daremo la possibilità al Secolo di usare i nostri pezzi di politica, nazionale ed esteri, e se ci sarà occasione cultura, sport, formula uno, atletica, nuoto. Avremo una platea più ampia. Non saranno due giornali fotocopia, perché sennò sarebbe stato devastante per i lettori. Ci saranno otto pagine in più per il Secolo, divise tra nazionale, internazionale, economia e shipping.L’idea è questa: le loro pagine nazionali saranno un po’ meno di metà delle nostre.Ci sarà un sistema, una ‘vasca’ in cui saranno raccolti i contenuti, titoli, fotografie e articoli. Continueremo a mantenere due identità di approccio e di linea. Si potranno usare degli editorialisti in comune, ma ci saranno caratteristiche peculiari.Restano le cronache regionali separate.
La nostra cultura ha un odore molto torinese, azionista, einaudi-centrica. Portata a Genova, per molti versi non è comprensibile.Lo sport, in entrambi i giornali, è un’emanazione del luogo dove vengono fatti i giornali. C’è un’evidente problema di sovrapposizione a Savona. Insieme vendiamo circa 15 mila copie. Noi 8500-9000, loro 5500-6000 a seconda dei mesi. È ridicolo farsi concorrenza quando sì è nella stessa azienda. A Savona i pubblici di lettori sono diversi, lontani tra loro, che spesso sono protagonisti di sfottò tra loro. Se a Novara, ad esempio, siamo considerati un giornale comunista, a Savona siamo considerati un giornale conservatore. Ieri ho fatto una lunga chiacchierata con Cassinis per capire come fare sinergia e risparmi senza buttare via tutto, mantenendo sia le copie sia le differenze tra i due quotidiani.
Resta il fatto che sono 15 mila copie su un progetto che vende insieme 280 mila copie. Non è che per salvare Savona si possono chiudere Roma, New York e Bruxelles. A Sanremo e Imperia ci sono numeri più piccoli e il Secolo vende circa 2400 copie.Inoltre è il momento di aprire il discorso sulla sostenibilità delle redazioni. La Papa (ndr: Raffaella, era nell’ufficio amministrativo, ora è passata a Rcs) aveva un cassetto con i costi delle singole redazioni, dalle spese di mantenimento a quelle per il lavoro, quanto entrava con la pubblicità locale e quante copie erano vendute. Ci sono redazioni in cui lo sbilancio tra costi ed entrate è fortemente negativo e Savona è tra queste. Siamo rimasti a tenere le province vecchio stile, ma bisognerà ragionare se questo modello funziona ancora. Vendiamo più copie ad Alba, dove non c’è la redazione, rispetto a posti dove ci sono redazioni con sei o sette persone. Abbiamo redazioni in posti con decadimento economico, dove la pubblicità sta crollando. Il modello è quello di avere due giornali con due identità separate, che condivideranno una serie di pezzi.
Il digitale. Loro hanno una parte di video che prenderanno da noi e si concentreranno sulle tematiche locali. A gennaio presenteremo il piano nei dettagli. Siamo il giornale che ha innovato di più, ma non è sufficiente. Sono stato invitato da Google a una specie di convegno con 150 partecipanti, tre giorni di incontri su ‘dove va’ e ‘che futuro ha’ l’informazione. Ero stato selezionato per fare una cosina di cinque minuti. Alla fine della tre giorni, il responsabile di Google News si è avvicinato a me, dicendomi: ‘sei stato l’unico che ha pronunciato la parola carta’. È un modello di distribuzione che esiste ancora, ma sul quale nessuno mette più energia e risorse. È come una nonna anziana, arteriosclerotica, che si va a trovare, ma le energie le riservi ai tuoi figli, non alla nonna che è a casa con la coperta sulle gambe. L’obiezione classica che viene fatta in Italia è che sulla carta abbiamo un modello di business, che sul digitale manca. È verissimo, nessuno ha creato questo modello di business. Ma la carta è come una barca che sta andando a fondo. Abbiamo perso svariate copie, ma siamo il giornale italiano che ha perso meno copie. Tutti hanno perso più di noi: Corriere della Sera, Repubblica, Secolo, Messaggero. La carta stampata continua a essere usata dalla popolazione anziana e dalla gente romantica.
Su cento di noi, novantacinque non possono stare su quella barca che affonda. Piano piano dobbiamo spostarci su un’altra barca. Fino alla settimana scorsa, ho sempre avuto una convinzione: che, con giornali e televisioni, fossimo noi gli unici attori del giornalismo nel mondo. La percentuale di persone che ho incontrato che fa giornalismo fuori dalle organizzazioni tradizionali, sta crescendo in maniera esponenziale. Questo mi ha fatto venire un discreto mix di illuminazione e angoscia.
Bisogna cambiare il modo di produzione. L’idea è di semplificare la lettura ai lettori, semplificare il nostro lavoro, gli spostamenti durante la giornata. Andremo a pagine singole, in modo che i cambiamenti riguardino le singole pagine. Non è possibile che spettacoli, cultura e società chiudano alle 20-21-22 a seconda delle pagine. Si ragionerà a compartimenti stagni. Se arriverà una cosa di politica, andrà a sostituire una cosa di politica.
Servono tempi di chiusura più ordinati. Se non avvengono cataclismi, non si capisce perché una pagina di cultura e società non debba chiudere prima delle 18, 19, massimo 20. Terremo aperto per aspettare la fine delle partite, i consigli dei ministri. Ma solo per aspettare quello. Abbiamo speso mezzo milione l’anno di emergenze. Significa che le chiusure costano un milione l’anno. Dobbiamo abituarci a ragionare con grafica e tempi diversi. La grafica prevede pezzi più brevi e intendiamo usare per il settanta per cento delle pagine master. Non è uno status simbolo disegnare le pagine, è una cazzata. Ci sono pagine master per tutti i gusti. Ci si concentrerà sul disegno di altre pagine, la due e la tre, le pagine di destra dei primi piani, il paginone di sport e dello spettacolo.
Ho letto uno studio spettacolare sulla lettura. Il 75 per cento dei lettori legge la prima colonna, 50% la seconda, il 25% la terza, il 4 per cento arriva in fondo all’articolo. In un giornale bisogna fare pezzi sintetici. Il Buongiorno di Gramellini è la cosa più letta del giornalismo in Italia ed è 23 righe. Le interviste da una pagina devono essere rarissime” Poi il direttore ha attivato una serie di slide in cui ha mostrato la nuova grafica. Non le ho fotografate, quindi mi astengo da esprimere valutazioni
È partita la discussione con le redazioni locali. La più attiva negli interventi telefonici è stata (ovviamente, visto che la linea del Piave passa da qui) la redazione di Savona. Dopo qualche reticenza iniziale e le sollecitazioni dei nostri colleghi redattori, il direttore ha risposto sul destino dei collaboratori.
CALABRESI: “I collaboratori dovranno dimostrare di essere essenziali. Personalmente avevo proposto qualche anno fa ai redattori di rinunciare ad alcuni benefit, tra cui la macchina aziendale, e a dimezzare il contributo per l’aggiornamento professionale, per distribuirlo ai collaboratori. Se tutti fossero stati d’accordo, sarei andato dal Cda e avrei chiesto di migliorare le retribuzioni dei collaboratori. Non ho ottenuto risposta”. Il direttore ha inoltre annunciato che la settimana prossima sarà a Savona un’intera giornata per confrontarsi coi colleghi per affrontare i problemi della fusione.