E’ stata necessario arrivare all’ennesima morte di un ciclista, quella forse più tragica, quella di Gianmatteo Gerlando investito da un automobilista omicida e codardo. perchè finalmente qualcuno si occupi della sicurezza in Torino di chi ogni giorno va al lavoro, a scuola, a farsi gli affari suoi cavalcando invece della canonica e inquinante automobile o dei sempre meno pubblici mezzi pubblici , una semplice bicicletta spinta dal motore più ecologico che ci sia: le gambe di un uomo.
Torino ha per troppo tempo considerato i ciclisti cittadini figli di un dio minore. Ora a viaggiare in bici siamo talmente tanti da oramai essere una minoranza che potrebbe ragionare da maggioranza. Se i politici ci ascoltassero e la piantassero di essere servi del dio automobile.
Ma più delle mie parole valgono quelle degli altri in rete.
Cosa spinge un uomo ad andare al lavoro in bicicletta? In alcuni casi il puro piacere di farlo. In altri una ragione economica. In altri ancora un senso di impegno civile. Io non so perché Gianmatteo Gerlando lo facesse. Quello che so è che stasera piangeremo un morto. Poco balle. Non è sufficiente potenziare il bike sharing e aderire formalmente a #salvaiciclisti. Ciò che mi aspetto da Torino è che pedonalizzi la ZTL, costruisca strade ciclabili dal centro alla periferia, realizzi le zone 30 in tutti i quartieri e imponga ovunque il limite di 50 km/h. Il resto è retorica.
Oggi è morto Gianmatteo Gerlando, aveva 28 anni e stava andando al lavoro in bicicletta.
Stava correttamente attraversando sulla ciclabile quando un’auto l’ha travolto e scagliato a diversi metri. L’automobilista è scappato e poi si è costituito.
L’assassino è un signore di 44 anni, probabilmente una persona normale, che come tutte le persone normali in auto ignora completamente il codice e non sa che gli attraversamenti ciclabili, come quelli pedonali, hanno sempre la precedenza su tutti i mezzi. E’ abituato da sempre a non rispettarlo, a non staccare il piede dall’acceleratore neanche un secondo, lo fanno tutti, anche i vigili.
Non ce l’abbiamo con lui, che oltre al reato si porterà dietro il rimorso.
La rabbia, e ne proviamo tanta, è per la normalità di questi fatti.
Perdiamo ore al giorno a segnalare agli amministratori i pericoli e i rischi per chi non si muove in auto, proponendo soluzioni economiche per evitarli, ma l’urgenza di intervenire non viene colta.
I media e i politici continuano a considerare le morti incidenti, qualcosa che non si può controllare né prevenire, qualcosa al quale si sono rassegnati per l’incapacità di immaginare una città diversa, una mobilità più sicura e civile.
Noi non ci rassegniamo.