Dopo la cessione di La Stampa e Secolo XIX al gruppo editoriale Repubblica – Espresso, raccontata in maniera metaforica come fusione del maggiore gruppo editoriale italiano e dopo la cessione delle quote di RCS da parte della famiglia Agnelli, iniziano ad arrivare i commenti degli addetti ai lavori al di fuori delle comunicazioni di rito in questi casi e delle prime reazioni positive del marcato borsistico all’operazione.
Il comunicato del CDR di Repubblica
Il Comitato di redazione di Repubblica prende atto dell’accordo con cui il Gruppo Editoriale Espresso e Itedi, la società editrice dei quotidiani La Stampa e Il Secolo XIX hanno sottoscritto un memorandum per la creazione di una nuova entità destinata a diventare uno dei principali gruppi del settore dell’informazione quotidiana e cartacea a livello europeo.
Il Comitato di redazione sottolinea l’impegno con cui l’Azienda ha ribadito che le testate coinvolte nell’operazione “manterranno piena indipendenza editoriale”.
Una dichiarazione che, a nostro avviso, è una prima risposta alle preoccupazioni legittime per eventuali ricadute sulle redazioni, considerate anche le sovrapposizioni geografiche di alcune realtà coinvolte.
Se è vero che siamo di fronte a una operazione per certi versi “storica” nel panorama editoriale italiano, è altrettanto vero che il Comitato di redazione seguirà con estrema attenzione tutti i passaggi che porteranno alla fusione delle due società editoriali.Con l’obiettivo di difendere tutte le specificità, le identità, il patrimonio di competenze giornalistiche, obbiettivo per il quale abbiamo già ottenuto risposte positive da parte dell’Azienda.
Il comunicato del CDR del Corriere della Sera
Non sono sempre i migliori quelli che se ne vanno. Il Comitato di redazione del Corriere della Sera esprime forte sconcerto e indignazione per la nota con la quale Fca ha annunciato il disimpegno da RcsMediagroup. E’ paradossale il riferimento “al senso di responsabilità” sbandierato da Fca che si vanta di aver “salvato in tre diverse occasioni” il gruppo Rcs assicurando “risorse finanziarie necessarie”. La verità è un’altra. E’ sotto gli occhi di tutti come in questi anni, in cui il gruppo torinese è stato al primo posto tra i nostri azionisti con un ruolo decisivo nella scelta del management, la società editrice del Corriere della Sera sia stata progressivamente e pesantemente impoverita con scelte industriali disastrose. Come gli investimenti in Spagna, che ancora pesano in maniera decisiva sui conti del gruppo, e con un supporto finanziario del tutto inadeguato.
La società, invece di essere ricapitalizzata è stata spolpata con la dismissione degli immobili, compresa la sede storica di Via Solferino, e svuotata delle partecipazioni più rilevanti, come Rcs Libri. Tutte operazioni condotte dall’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, uomo Fiat, accompagnate da una dolorosa e drastica riduzione del personale poligrafico, amministrativo e giornalistico, che sta tuttora sopportando i sacrifici dell’ennesimo piano di crisi aziendale. Finita la stagione dei dividendi, ora che lo sfascio finanziario è compiuto, e che il Corriere è lanciato in un progetto editoriale coraggioso e senza precedenti, basato unicamente sullo sforzo della redazione, la famiglia Agnelli saluta e se ne va a rafforzare il principale concorrente del Corriere della Sera. Bel modo di fare. Come se la squadra degli ingegneri di una scuderia di Formula1 alla vigilia della prima gara di campionato passasse con le idee e i progetti elaborati alla guida del team rivale. Guardiamo avanti. Indipendentemente dall’assetto azionario di Rcs, la redazione del Corriere della Sera resta pronta a raccogliere le sfide del futuro nella consapevolezza del proprio ruolo di leader nel mercato dell’informazione.
Il comunicato del CDR della Gazzetta dello Sport
Signori si nasce, diceva il grande Totò. Ma nella vicenda che ha portato Fca ad annunciare il disimpegno da Rcs Mediagroup, c’è poco da ridere. Semmai c’è da piangere per come è stato smembrato e svilito un gruppo editoriale protagonista della storia italiana. Di comico c’è solo la nota diramata dagli eredi dell’avvocato Agnelli: rivendicano di aver salvato per tre volte Rcs dal fallimento. Noi ricordiamo altri “salvataggi”: come la polpetta avvelenata dell’acquisto della Fabbri gravata di debiti e ceduta dal gruppo torinese a Rcs per 300 miliardi di lire; oppure, per restare agli ultimi anni, la spericolata e insensata operazione Recoletos voluta da un a.d. (Antonello Perricone) diretta emanazione della Fiat, con l’acquisizione spagnola strapagata che ha provocato un buco di circa 600 milioni di euro, guarda caso la cifra da restituire alle banche. E ancora, con l’arrivo di Pietro Scott Jovane, altro a.d. fatto calare da Torino, l’azionista di maggioranza Fca ha dato il via libera alla cessione di Flammarion (case editrice francese), alla chiusura di numerose testate periodiche, alla svendita della sede storica di via Solferino, al sacrificio della Libri (che aveva salvato la Fabbri), ai continui tagli del personale.Tutto questo per non mettere mano al portafoglio, dopo aver intascato anni e anni di dividendi milionari, per chiudere il buco creato da Recoletos. In compenso le nuove iniziative intraprese per rilanciare il gruppo sono state a dir poco miopi, con acquisizioni nel migliore dei casi inutili (tipo YouReporter o la creazione del sito delle scommesse sportive GazzaBet), mentre si è toccato il fondo con il lancio di Gazzetta Tv, poi chiusa dopo solo 10 mesi con un danno d’immagine devastante. Questi sono i fatti, purtroppo a bilancio. Il resto è una scelta: il maggiore azionista di Rcs Mediagroup completa l’opera di smantellamento scappando con un tempismo perfetto, nell’anno in cui il Corriere della Sera spegne 140 candeline e la Gazzetta dello Sport 120. Non solo, decide di andare a rinforzare il polo editoriale concorrente. Eh sì, aveva ragione Totò: signori si nasce, non lo si diventa per diritto ereditario.Guardiamo avanti: il Comitato di redazione della Gazzetta dello Sport invita gli azionisti di Rcs a restituire orgoglio a un gruppo che non merita schiaffi simili. Auspica che l’ingegnere Cioli porti avanti con convinzione un piano di ristrutturazione serio e credibile, mettendo al centro del progetto chi ancora dà utili all’azienda. Il sistema Gazzetta anche in queste stagioni di crisi ha chiuso i suoi bilanci sempre in positivo a differenza di divisioni infarcite di dirigenti che sono zavorra pagata a caro prezzo. Per questa ragione vigileremo con tutte le armi a nostra disposizione perché la Gazzetta e la sua storia non siano svendute per fare cassa: tra l’altro sono già iniziate le grandi manovre che porteranno presto a una divisione tra Gazzetta e Corriere. Autonomia, credibilità e autorevolezza sono tre principi cardine di questa redazione e direzione. E non sono per noi oggetto di trattativa.
Fusione Gruppo Espresso-Itedi: preoccupazione della Commissione Freelance ” Ci auguriamo che a fare le spese di questa unione non siano i collaboratori”. Comunicato del coordinamento dei Cdr Finegil-Gruppo Espresso
In relazione alla fusione tra i quotidiani La Stampa e Repubblica, la Commissione Freelance dell’Associazione Stampa Subalpina esprime la propria preoccupazione e si augura che a fare le spese di questa unione non siano i collaboratori: come si sa freelance e precari sono ormai fondamentali per la produzione di entrambi i quotidiani, in particolare per quanto riguarda le pagine di cronaca locale. E non solo: i loro compensi sono inaccettabilmente bassi. Soprattutto non vorremmo che, non essendo protetti da un contratto, venissero lasciati a casa da un giorno all’altro, senza sussidi, senza welfare e senza stipendio.
COMUNICATO del coordinamento dei Cdr Finegil-Gruppo Espresso
Il coordinamento dei Cdr Finegil-Gruppo Espresso prende atto dell’annuncio dell’intesa che porterà alla formazione di un nuovo gruppo editoriale primo in Italia e leader in Europa. Riteniamo positivo che il gruppo persegua obiettivi di espansione e di conquista di nuovi mercati superando logiche di tagli e riduzioni. Seguiremo da vicino le fasi che porteranno a rendere concreta questa intesa, perfezionando l’accordo, come annunciato, nei primi mesi del 2017.
Crediamo che ci siano alcuni punti fermi da ribadire, primo fra tutti “l’autonomia e la piena indipendenza delle testate”, come annunciato dallo stesso editore . La fusione dovrà rilanciare i nostri prodotti ottimizzando le energìe, ma senza penalizzare l’aspetto occupazionale e la qualità dei nostri giornali. Che rappresentano ancora oggi la nostra principale fonte di reddito e godono nonostante lo scenario di crisi generale di buona salute e margini di espansione.
Chiediamo un incontro urgente con l’editore per poter capire lo scenario su cui si fonda questo accordo. Crediamo nella qualità dei nostri giornali locali, che rappresentano un grande patrimonio, fonte di ricchezza e di solidità per il gruppo, e nello sviluppo del web, che va supportato dalla valorizzazione delle professionalità e della nostra storia e dal legame con il territorio. Ci batteremo perché questi principi siano mantenuti anche in un futuro societario diverso.
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano
Come scrivono Repubblica, Stampa e Secolo XIX , la fusione fra Repubblica, Stampa e Secolo XIX decisa dai tre rispettivi padroni De Benedetti, Elkann e Perrone è una splendida notizia per il pluralismo dell’ informazione. Infatti prima c’ erano tre giornali con un solo padrone per ciascuno, mentre ora ciascuno dei tre giornali ha tre padroni.
La cosa non influenzerà minimamente la libertà dei giornalisti, come hanno assicurato i tre padroni ai giornalisti. Repubblica, Stampa e Secolo XIX hanno dedicato alle parole dei tre padroni tre articoli per ciascuno: non un articolo per padrone, ma tre articoli per tutti e tre i padroni. Che, moltiplicati per tre giornali, fa nove articoli per tre padroni. Il contenuto dei nove articoli è piuttosto simile, anche perché riportano tutti le parole dei tre padroni, un po’ tra virgolette e un po’ no.
Le più diffuse sono “svolta storica”, “nuovo polo editoriale”, anzi “super polo”, pardon “nuovo colosso”, ma pure “campione perlomeno nazionale”, “gruppo leader” in Italia ma anche un po’ in Europa, “nuova avventura”, “grandi prospettive”, “nuovo percorso di sviluppo”, “scommessa sul futuro”, “impegno più forte”, “necessario processo di aggregazione”, “multimedialità”, “integrazione”, “mercato complesso”, “coraggio imprenditoriale”, “segno di ottimismo”, “nuova generazione”, “Silicon Valley” (si porta su tutto) e naturalmente sacro “rispetto dei valori d’ integrità, indipendenza e autorevolezza” garantito dai padroni ai cari inferiori. Paraponziponzipò.
Non mancano i richiami alla “cultura liberale di sinistra che nasce dall’ azionismo” degli incolpevoli “Casalegno, Bobbio, Galante Garrone, Mila, Jemolo” (Galante Garrone raccontava di una cena a casa Agnelli: quando accennò ai suoi trascorsi azionisti con l’ Avvocato, la signora Marella lo interruppe: “Anche lei azionista? E di quale società?”). Poi un fuoco di fila di buone notizie. La migliore è che Fiat, anzi Fca “esce dalla stampa” (il fatto che ci resti la famiglia Agnelli che controlla Fca è un dettaglio), così potrà trovare finalmente quel “partner internazionale dell’ auto” che ancora non s’ è fatto avanti.
Poi c’ è la somma dei lettori della carta (“quasi sei milioni”: ma sì, facciamo buon peso) e sul web (“oltre due milioni e mezzo”: che faccio, signo’, lascio?), pari al 22-23% del mercato, persino oltre i nostri pur laschi tetti antitrust. In un altro paese si allarmerebbero le authority, la politica, le associazioni della stampa. Da noi si fa il carnevale di Rio. Perepèèèèè.
Ed è proprio la sobrietà delle cronache dei tre giornali coinvolti, mai scevre da spunti critici e dall’ esercizio del dubbio, che fa ben sperare nella loro rinnovata, anzi rafforzata indipendenza. Vien quasi da rammaricarsi che la fusione si fermi a soli tre gruppi. Perché, già che ci siamo, escludere gli altri a priori? In tempi di Partito Unico della Nazione, perché non pensare a un Editore Unico della Nazione?
Un tempo, e nemmeno troppo lontano, la cessione della Stampa a Repubblica ci avrebbe fatto incazzare di brutto. Dico, noi giornalisti. Perché in fondo i lettori (quei pochi rimasti) sanno adattarsi. Un giornale si compra per abitudine, per piacere o per curiosità. E’ vero, si acquista sempre meno, ma è un periodo di trasformazione epocale, le notizie sono sempre lì dov’erano duecento anni fa. Si tratta di capire come diffonderle e allo stesso tempo ricavarne degli utili. Prima o poi ci arriveremo.
Ci saremmo incazzati di brutto invece per le menzogne. La Stampa non farà parte di un “polo editoriale nazionale” (come il giornale oggi stesso scrive). Il quotidiano di Torino è stato ceduto o venduto o regalato, a seconda dei punti di vista, al suo principale concorrente che si chiama La Repubblica. Questo è quello che è accaduto ieri, non altro. Quella quintalata di melassa, ovvero la lettera ai dipendenti, con cui John Elkann ha spennellato l’accordo di cessione della testata è pietosa, è come se per leggere una sentenza di condanna a morte si dicesse che il poveretto andrà a stare meglio da qualche altra parte.
La realtà è un altra. Il giornale che noi torinesi abbiamo amato e odiato per 150 anni se ne va da questa città. Certo, non fisicamente, non la redazione (per ora, neh), non il luogo materiale dove viene confezionato, ma la testa e il cuore, e il centro decisionale, escono e vanno a Roma. Se è nato un polo editoriale non sarà a Torino.
Poi c’è quella faccenduola della concentrazione editoriale. Ci siamo scagliati come Furie bibliche contro Berlusconi quando arraffava a destra e a manca per raggruppare sotto il suo impero il più alto numero possibile di televisioni e giornali. L’ho fatto io stesso durante la guerra di Segrate, come rappresentate dei 500 giornalisti del gruppo Mondadori. La concentrazione editoriale era il Male, la negazione della libertà e dell’indipendenza di chi fa questo mestiere. Elkann si premura di dire che resta “salva l’autonomia delle testate”. Eh, sì. Vuoi vedere che la Stampa soffierà qualche scoop a Repubblica? Con Berlusconi siamo stati durissimi in varie epoche di questo Paese. Voglio ricordare che i giornalisti della Mondadori scioperarono per protesta diversi giorni e impedirono l’uscita dei suoi settimanali. Con Berlusconi (che sottrasse illegalmente la casa editrice a De Benedetti, come sentenziarono i giudici molti anni dopo) avrebbero avuto il posto sicuro e migliori stipendi. Ma protestarono seriamente e con coraggio perché c’era in gioco una posta assai più grande di una semplice busta paga.
Il comunicato del CDR di La Stampa: non pervenuto (per ora)
Il comunicato del CDR di Secolo XIX: non pervenuto (per ora)