Riceviamo e pubblichiamo da Elena Accornero
Buongiorno vi scrivo per raccontare una delle tante storie di malati di Covid totalmente abbandonati a loro stessi. Mio papà in gestione all’ASL TO4 è in attesa di un tampone di controllo Covid da 5 settimane ed in quarantena da circa due mesi. Dopo qualche giorno di febbre persistente tosse dolore alle ossa decide di chiamare il numero verde regionale che lo informa che potrebbe essere affetto da Covid e lo invitano a continuare la terapia con la Tachipirina e di rivolgersi al medico curante.
Passa una settimana in cui nessuno l’ha richiamato per informarsi sulla sua salute (Unità di crisi o medico curante) e dato che la febbre si sta ulteriormente alzando dopo aver contattato il medico gli vengono prescritti gli antibiotici (facendo andare in studio la convivente anziché mandare la mail con i codici da comunicare alla farmacia, gestione da terzo mondo). Dopo i tre giorni di antibiotici nessun miglioramento ed inizia ad avere oppressione al petto e fatica a respirare, viene richiamato il numero verde regionale che lo invita a chiamare il medico che risponde di dover attendere sette giorni perché l’effetto degli antibiotici è a lungo termine e nessun tampone viene richiesto. La febbre continua ad alzarsi e l’oppressione al petto a farsi preoccupante, dopo alcuni giorni il medico disturbato via sms risponde “non so cosa dirvi”, quindi la sua compagna presa da sconforto decide di portarlo in ospedale e a me in quel momento crolla il mondo addosso perché il primo pensiero è quello di non rivederlo più.
Dopo una lunga trafila (erano i giorni più tragici in cui gli ospedali straripavano e si trasportavano i malati anche in altri comuni e regioni) ed interessamento ed autorizzazione di un medico del 112 mio padre viene finalmente ricoverato nel pronto soccorso del Giovanni Bosco in attesa di esami e tampone. Un’attesa scioccante in uno stanzone chiamato da mio padre “l’anticamera dell’inferno” dove i malati arrivavano uno dietro l’altro molti in condizioni disperate (una donna ed un ragazzo giovane gli sono morti accanto dopo una crisi respiratoria). Dopo alcune ore e una rx gli viene diagnosticata una polmonite interstiziale ed il giorno dopo il tampone risulta positivo al Covid. Viene trasferito all’ospedale Gradenigo in un reparto a bassa intensità dove viene ricoverato per 7 giorni in cui gli sono stati somministrati farmaci ogni volta diversi dal momento che spesso l’ospedale non ne era rifornito (hanno iniziato con idrossiclorochina per procedere con il Darunavir poi sostituito con il Lopinavir). Uno dei particolari che mi ha colpito di più nel racconto di mio padre è stata la descrizione dell’abbigliamento raffazzonato (con buste di plastica ed altro materiale di fortuna) di quei poveri medici e infermieri che non possedevano adeguate tute protettive.
Il 28 marzo mio padre viene dimesso e gli viene detto che sarebbe stato chiamato dopo due settimane per il tampone di controllo. Dopo due settimane ovviamente nessuna chiamata, per cui viene contattato l’ospedale che informa mio padre che la richiesta del tampone doveva essere effettuata dal medico curante che una volta interpellato risponde di non saperne e che proverà a chiamare il numero verde per effettuare la richiesta ma che sarà difficile perché quel numero è sempre occupato (?!!!). Dopo due giorni il medico curante scopre l’esistenza di un portale dove i medici possono effettuare la richiesta ed informa mio padre di averla inviata. Da allora sono trascorse ulteriori tre settimane (5 TOTALI dalla dimissione) in cui richiamando il Sisp di Settimo per sollecitare e dopo ore di attesa e di chiamate cadute abbiamo sempre ottenuto una risposta diversa, “la pratica c’è, la pratica non c’è, la pratica deve essere inserita”, chissà!!!
Si parla di riapertura, gli amministratori regionali nel frattempo perdono tempo a pubblicizzare risultati inesistenti e spot pubblicitari imbarazzanti mentre i nostri famigliari si ammalano, vengono abbandonati senza cure e informazioni, muoiono, tutto nell’indifferenza.
Ora noi rispetto ad altri ci consideriamo ancora fortunati perché come dice mio padre la pelle l’abbiamo portata a casa ma cosa devono fare queste persone in attesa di un tampone che magari non arriverà mai? Rimanere in quarantena per sempre? Non essere più in grado di camminare a forza di trascinarsi da un letto ad un divano per mesi? Ammalarsi di depressione non potendo sapere di aver sconfitto una malattia o meno? Uscire rischiando di contagiare altre persone? Mio padre ora inizia nuovamente ad avere oppressione al petto e vorrebbe poter effettuare una visita specialistica da un pneumologo, verificare se la polmonite è regredita, se possono esserci problemi cardiaci, se è solamente ansia o qualsiasi altra cosa, queste persone hanno diritto di poter conoscere le loro condizioni di salute e farsi curare! Non è possibile non avere risposte in merito e non sapere se questi tamponi di controllo verranno mai effettuati!!!Chiedo per cortesia di dare voce agli ammalati piemontesi cercando di dare rilevanza a questa situazione tragica e sconcertante e di indagare in merito in maniera che la situazione venga a galla ed i nostri famigliari ascoltati e assistiti.