Tra i talenti più celebri del panorama culinario figura Giovanni Ciresa. Classe 1967, chef straordinario, firma pietanze ricche di alto simbolismo culinario.
Ha iniziato la propria carriera creativa a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, una realtà di riferimento che rimane alla base della sue opere culinarie, dal 1991 al 1995, applica doti e impegno.
Il talento, la volontà di dimostrare le sue idee, lo spingono verso mete lontane: Tokyo, Singapore, una resa culinaria al ristorante Bologna, di cui la Marina Mandarin detiene la paternità.
La ricercata Saint Tropez a La Pinéde, le Cote d’Or di Saulieu, un registro che non lascia dubbi, il suo impegno è passato attraverso luoghi prestigiosi dal punto di vista culiario, come la Terrazza dell’Hotel Eden, a Roma. Un percorso, il suo, nel quale si intrecciano esperienze e abilità che immortalano attitudini, patrimoni che recitano un suo vissuto ineguagliabile.
Il De Pisis, nella sfavillante Venezia, sul Canal Grande, rappresenta gli anni trascorsi nel pieno della sua comunicazione: un linguaggio culinario che lo vede protagonista in un tempo sospeso tra il 2002 e il al 2012, ma inebriante per la sua eccezionale completezza formale. Scelte precise gli suggeriscono di non fermarsi agli schemi tradizionali tipici dello chef. Veste una figura che lo rende eclettico. Le sue consulenze lo rendono un docente di rara influenza: teorie, produzioni, dottrine. Nel suo bagaglio trionfano le più autorevoli esperienze in materia food. Numerose le attività, come intraprendere nel mese di giugno 2014, il timone di coordinatore didattico Alma (la celebre scuola Internazionale della cucina Italiana), a Colorno, Parma.
Nel suo criterio di cucina, tutto parte dall’incontro con la sperimentazione, sofisticato, perfezionista, la sua tecnica esterna l’integralismo, ossia non compromette il valore genuino della materia prima. Il cibo è come la sensualità, a volte è difficile trovare una sinergia perfetta, soprattutto se gli elementi e le culture d’origine miscelati, sono diverse. In sintesi lei ha creato un ponte con due culture, nel suo caso: l’Asia e l’Italia. È forse questa la filosofia culinaria del futuro?
Se guardiamo al giorno d’oggi l’influenza orientale incontra tanti abbinamenti e condivisioni, del ruolo del cibo in cucina. L’Italia è un paese con una memoria della storia gastronomica immensa. In rapporto con le altre culture, in questo caso si parla dell’Asia, è riuscita a creare una combinazione calibrata, dunque la capacità di riconoscerla familiare. E al tal proposito una caratteristica in più per aggiudicarsi il titolo di cucina del futuro.
Lei ha saputo costruirsi una carriera di tutto rispetto e oggi è stato chiamato a ricoprire la carica di Coordinatore Didattico Alma. Il titolo e gli obbiettivi esprimono una condivisione diversa nel trasmettere la sua identità in cucina. Sarò più chiara: deve convincere, o meglio educare i possibili potenziali chef del futuro. Una bella responsabilità?
Durante il primo approccio che ho avuto con i miei allievi ho affrontato l’argomento che diventa storia nella vita di uno chef: la carriera, la sua costruzione nel tempo, l’esperienza si accumulano, si espandono. Questo ci permette di avere nuove fonti d’ispirazione, segnali creativi. C’è sempre un futuro da conquistare. Trasmettere, comunicare questo messaggio, riflette il mio spirito: nulla è infinito, non esiste il posto perfetto. La differenza sta nell’occasione di scoprirsi migliore, migliore di ieri.
Sono molto curiosa di sentire in che maniera metterebbe d’accordo tre palati dai gusti differenti. Chiamiamo in causa tre etnie lontane: russi, arabi e francesi. La sfida è un piatto unico che arriva al cuore dei loro sapori. Non voglio metterla in difficoltà, ma lei è considerato “l’apertura mentale in cucina”.
Questa domanda mi ha colpito. L’ispirazione di una pietanza che abbia un mezzo unico di creare unione è sempre difficile da mettere in atto. A maggior ragione se questi sono i presupposti. I popoli chiamati in causa evocano una memoria che si chiama cartoccio di bigoli fatti al torchio, con essenza di curry caffè e crostacei: una sorta d’ingredienti che testimoniano apertura mentale, pronta ad entrare nei gusti di diverse tradizioni. Un piatto che è stato un cavallo di battaglia incisivo.
Lei ha dichiarato che l’esperienza più formate l’ha vissuta a Firenze, all’Enoteca Pinchiorri. Tuttavia sviluppa le sue abilità nei più considerevoli ristoranti stranieri. In che misura influisce oggi il significato della tradizione del Bel Paese nei suoi piatti, considerando che la sue tecniche spezzano alcuni princìpi, sopprimono l’utilizzo di alcune cotture e sintetizzano al minimo la presenza dei grassi? La domanda è: privilegia proporzioni dei sapori nella creazione di nuovi accostamenti?
Il rispetto del prodotto, la scarsa elaborazione degli elementi, la corretta prassi della pulizia delle verdure, tale da non disperdere poi il loro valore, fa riferimento a quello che riassume i concetti fondamentali in cucina. In Italia, così come in qualsiasi cucina che si rispetti al mondo. Sulla creazione e il rispetto dei sapori, nutro una tendenza che assicura il rispetto di entrambe le tecniche.
Come è iniziato il rapporto con Alma? Una posizione lungimirante la sua. Le scelte professionali sono la sostanza di ogni grande successo. Ce ne parli.
È incominciato tutto in modo molto naturale.. Ho collaborato con Alma dal 2003, in veste di docente esterno: un impegno ed una responsabilità portati avanti negli anni. A partire dal 2013 ho lavorato poi in tutti i corsi internazionali, che andavano dall’Asia, India, Cina e Malesia. Sorprendente, inaspettato, ora è molto importante il presente, il domani e il suo futuro. Questo lo affermo da nuovo coordinatore didattico Alma.
La disinvoltura riscontrata nel corso di una lunga chiaccherata con Giovanni Ciresa non l’avvertivo da tempo. Concetti forti, che hanno il simbolo di chi sa concludere in bellezza. E allora mi verrebbe da dire: “il nostro passato è il miglior modo per presentarci al futuro”.
Detto questo a voi le conclusioni.
Isabella Scuderi