#piccolegioie n.3 (unite a #grandientusiasmi): ANDARE A TROVARE UNO DEI TUOI MITI
Nil difficile volenti, così sta scritto su molti edifici romani: ‘nulla è arduo per colui che vuole’.
Andando verso Sud, fortemente volli.
La prima volta che vidi ‘La ragazza di Via Millelire’ avevo circa quindici anni, vestivo da fricchettona, mi mettevo corone di margheritine nei capelli (che mi facevano sembrare più Cicciolina che Yoko Ono) e tentavo di suonare la chitarra con esiti disastrosi. Dentro di me vivevano fortissimi entusiasmi e alterne passioni, tra le quali uno sperticato amore per gli anni Settanta e, in particolar modo, per le periferie super degradate tipiche di quegli anni Settanta. Abitavo con i miei genitori in una casetta a Mirafiori Sud e per me non esisteva luogo più avventuroso e appassionante per vivere l’adolescenza. Forse soltanto il Bronx poteva starci dietro… Ma il Bronx era a milioni di chilometri, ovvero era una roba che esisteva principalmente mixata nella mia fantasia: spezzoni di film con Paul Newman che faceva il poliziotto in 41° distretto Bronx, infermiere di colore tossicomani (le case rosse al fondo di via Plava e l’ospedale Farinelli abbandonato); il ponte di Brooklyn in un tramonto sfacciatamente arancio (poster di mia zia nel salotto al mare); gente vestita con camicie dalle fantasie improponibili che ballava tra le cisterne dei tetti (Saranno Famosi); The Warriors con le giacchine di pelle e jeans tagliate alle spalle e la mitica attrice senzatette – evviva quegli anni!- Deborah Van Valkenburgh che compariva nelle afose notti newyorkesi con il trucco sbavato tra case fatiscenti e strade deserte (i tamarri sul 63/ con la sigaretta dietro l’orecchio e i capelli ‘ a carrè’, le tamarre fasciate in fuseaux leopardati e rossetto tatuato).
Quando ho scoperto La ragazza di via Millelire ero nel pieno di questo mio trip e leggere che proprio nel quartiere dove vivevo era stato girato un film di denuncia sociale così coraggiosamente privo di happy end, fuori dagli schemi buonisti e dolciastri tanto amati dal cinema italiano di quegli anni, sgradevolmente vero, con persone reali, che abitavano in via Artom e via Garrone negli anni Settanta-Ottanta e che semplicemente mettevano in scena quella che era la loro vita quotidiana e reale – i loro vuoti e i loro pieni, la loro rabbia e la loro inquietudine – mi aveva sconvolta. Il film era stato proiettato all’inaugurazione della prima biblioteca del quartiere, la Cesare Pavese, e stavamo tutti seduti pigiati al buio in un sala che era un’ex aula scolastica. Io non avevo la patente e mi ero fatta portare da mia mamma – che tanto dimentica tutti i film che ha visto eccezion fatta per Il Portiere di Notte – insieme ai vari ‘amici di Zona’ che, poi, stranamente, in un modo o in un altro, finirono poi per riparlare di quest’opera nei loro libri, nei loro film o, comunque, negli anni successivi della loro vita.
Ebbrezza. A Roma ho conosciuto il regista Gianni Serra grazie proprio a colei che fu ‘La ragazza di via Millelire’, la bravissima Oria Conforti. Entrando a casa Serra- Benelli ho respirato l’atmosfera dei suoi sogni, delle sue lotte, dei valori in cui credeva e per cui si è battuto, un professionista troppo in anticipo sui tempi, che ha sempre lavorato con sincerità ed entusiasmo, senza piegarsi a compromessi, accettando anche di vedere il suo capolavoro, creato con cura, studio e amore, ‘insabbiato’ al Festival di Venezia e ‘abbandonato’ da quegli stessi che inizialmente lo avevano spronato a girarlo. Oggi Gianni Serra, mio mito di quegli anni (e di cui ho anche parlato nel mio libro che uscirà a ottobre) , è sempre un uomo entusiasta, curioso della vita, pieno di storie e passioni da condividere. Gianni mi ha fatto un grande grande regalo questo venerdì pomeriggio a casa sua, tra fotografie, gatti, terrazzi fioriti, una vecchia Olivetti e il sole che splende sul verde di Ponte della Musica.
Andate a leggere il blog di Gianni e leggete il Pane e le rose, i puntini sugli i, il saggio di Aurelio Grimaldi dedicato al film, le foto…tutto.
Intanto io sono arrivata a Napoli.
A plus…