Il caso ha voluto che il giorno in cui doveva nascere la mia prima figlia, lei fosse lì.
Era il 2003 e alla clinica universitaria dell’ospedale ginecologico Sant’Anna di Torino, la professoressa Chiara Benedetto, mentre mi visitava, rispondeva indaffarata alle mie domande. “Scusi, ma come fa a farmi tutte queste domande proprio ora?” mi chiese. “Sono una giornalista, e il tema è interessante”.
Le avevo chiesto, infatti, se era normale che una donna che aveva appena abortito o che sapeva di aver perso il bambino che ancora teneva dentro di sé dovesse condividere la stanza con chi si trovava a partorire o aveva tra le braccia il proprio neonato. Mi sembrava una sofferenza assurda, inflitta a chi era già immerso nel proprio dolore. “E’ una delle tante disattenzioni della sanità italiana”, mi disse, “su cui sto cercando da tempo di lavorare. Ma anche le cose più ovvie negli ospedali sembrano a volte irraggiungibili”.
Gli anni sono passati, ma proprio in questi giorni Chiara Benedetto, con un nutrito gruppo di colleghe, ha presentato “Medicina a misura di donna” (www.medicinamisuradidonna.it), fondazione di cui è presidente e che fa della cura e dell’attenzione all’ambiente, in ogni suo aspetto, il punto centrale non solo nel percorso di accoglienza ma anche della cura dei pazienti. “L’ambiente di cura può ridurre il peso della malattia e accelerare i tempi di guarigione. I nostri ospedali devono essere luoghi di accoglienza, che rispondano ai desideri e
alle aspettative delle donne e che garantiscano la massima sicurezza alle pazienti” è il pensiero alla base di questo progetto d’avanguardia, che per il miglioramento della sanità pubblica ritiene necessaria la cooperazione dei privati con le istituzioni.
Ha spiegato infatti la dottoressa Benedetto: “La salute delle donne non è un problema esclusivamente femminile, ma una questione centrale per la società nel suo insieme, un bene comune. In un momento in cui la spesa pubblica, anche quella per la sanità, subisce ridimensionamenti, crediamo importante e doveroso dare un contributo: lavorare al fianco delle istituzioni per far sì che i luoghi di cura siano sempre più rispondenti ai desideri e alle aspettative delle donne e sempre più sicuri per le pazienti.
Abbiamo già sensibilizzato e coinvolto professionisti e imprese che ci hanno aiutato a ideare interventi finalizzati a rendere le strutture sanitarie dei luoghi a misura di donna. Idee e progetti che abbiamo realizzato e stiamo realizzando grazie al contribuito economico di tanti privati che, come noi, credono nell’importanza di questo cammino”.
Insomma, rimbocchiamoci le maniche, perché i cambiamenti partono anche da noi. E sono possibili.