Nei giorni scorsi ho partecipato a Novara ad un convegno su Europa e Green economy dal titolo “Capitale naturale: strategie e fondi europei per la green economy” insieme ad Alberto Reda, la senatrice Elena Ferrara, il senatore Stefano Vaccari e Fabrizio Barini.
Normalmente in Europa si lavora su un tempo di sette anni, ma ad oggi i programmi in campo economico ambientale vanno al 2050, perchè sono tematiche per cui occorre guardare lontano, dandosi però delle tappe nel medio-breve periodo.
L’obiettivo generale dell’Europa è quello, entro il 2050, di riuscire ad avere un economia che sia ambientalmente sostenibile e che quindi non abbia un impatto sull’ambiente insopportabile rispetto alle risorse concretamente disponibili, quindi ricondurre la nostra economia dentro gli schemi della sostenibilità ambientale, che sono ancora in corso di definizione. Il quadro di definizione è quello dell’impronta ecologica, ovvero un indicatore sintetico del peso di una società sulle proprie risorse: una società non dovrebbe mai consumare più delle risorse che l’ambiente le mette a disposizione nell’anno e ogni anno noi vediamo che l’impronta ecologica complessiva dell’Europa è più pesante di quello che dovrebbe essere perché il consumo avviene sempre prima di dicembre. Entro il 2050 dobbiamo rientrare nei parametri, per fare questo occorre cambiare radicalmente la nostra economia e per questo bisogna parlare di green economy.
Molti pensano che la green economy porti a un sistema di vincoli che rende meno competitiva la nostra economia, ma non è così perchè i dati sulla Relazione sullo stato dell’ambiente ci dicono che fra il 2000 e il 2011 le industrie “verdi” sono cresciute di più del 50% e questo è stato l’unico settore in continua crescita anche nel periodo della crisi. Questo dato ci dice che il potenziale di trasformazione dell’economia europea è in marcia e la green economy rappresenta ad oggi il settore dove l’Europa è più avanzata ed ogni Paese ha le sue specialità: l’Italia ad esempio è tra i leader per le bioplastiche e i biocarburanti.
La Commissione europea punta su una serie di settori e il primo è sicuramente quello energetico, ovvero la de-carbonizzazione dell’economia, senza dimenticare l’economia circolare, cioè l’efficienza e il risparmio delle risorse e il pacchetto per applicare concretamente l’economia di circolare dovrebbe essere presentato proprio nel 2015.
Non tutto però brilla di alta qualità, infatti uno dei temi che va ricordato è che nonostante il lungo lavoro fatto sulla biodiversità (in particolare quella marina), la situazione è ancora molto a rischio: il numero di specie che si perdono continua. A livello internazionale una della azioni dell’Unione europea è quella della gestione della governance internazionale sostenibile degli oceani, che è uno dei problemi più complessi, in quanto gli oceani sono un grande patrimonio comune e su questo c’è un lavoro di squadra insieme alle Nazioni Unite per definire regole di tutela degli oceani.
La decarbonizzazione dell’economia è ormai in atto e l’obiettivo molto ambizioso che l’Europa si è dato è quello di ridurre fra l’80 e il 90 % entro il 2050 le emissioni di anidride carbonica. Malgrado i buoni risultati l’aria che respiriamo è di scarsa qualità ed è la prima causa ambientale di decessi prematuri. L’Europa ha messo in moto tutta una serie di strategie e di politiche grazie anche ai fondi europei, ai fondi strutturali e ai cofinanziamenti, ora tocca alle amministrazioni locali, alle imprese e anche ai singoli fare la propria parte. Si tratta di un grosso potenziale per le imprese che vogliono lavorare nel settore e per la creazione di nuovi posti di lavoro. Alla base ci deve essere un grande lavoro di ricerca e innovazione: ed è quindi chiaro che non bisogna distruggere i nostri centri pensanti, ma incentivarli, bisogna inoltre sburocratizzare le pratiche per fare interventi che contribuiscano ad abbattere l’inquinamento. Io credo inoltre che sarebbe utile introdurre tasse sull’importazione per quei prodotti che sono beneficiati dal dumping sociale ed ambientale.