Tra i discorsi istituzionali rivolti, tra i vari temi, anche a quello della causa ambientale e alla sua difesa ricordiamo sicuramente quello fatto da Pepe Mujica, allora presidente dell’Uruguay, alla conferenza delle Nazioni Unite, a Rio de Janeiro, il 21 giugno del 2012.
Il discorso, unico nel suo genere, si collega alle tematiche affrontate dagli altri oratori per fare immediatamente vibrare gli animi di chi è in platea e in ascolto per la passione con cui viene enunciato, per la chiarezza con cui vengono snocciolate questioni tanto care al presidente quanto poco comuni su un palco simile, per la semplice rivoluzione insita nell’affermare di vivere in un mondo assurdo e insostenibile.
Mujica, vero governante fuori dal coro, “una pecora nera al potere” come è più volte stato definito, è un uomo che ha votato la propria vita alle battaglie in difesa della sua nazione e della liberazione sociale e umana dei suoi cittadini, distinguendosi per ognuna delle scelte e azioni tanto politiche quanto personali, come un autentico guerrigliero a sostegno dei diritti dell’ambiente e prima ancora di quelli elementari che governano o dovrebbero governare la vita dell’essere umano: l’essenzialità, la condivisione, la felicità, le relazioni, il rispetto di sè stessi, del proprio tempo, di madre natura.
Nel celebre discorso alle Nazioni Unite il presidente si interroga su come il mondo oggi possa avere gli elementi materiali per permettere a sette, ottomila milioni di persone di mantenere un altissimo livello di consumo e di sperpero, come possano le società occidentali più opulente sostenere un’organizzazione di mercato figlia di un’economia di mercato costruita su competizione e progresso continui, spietati ed esplosivi. Siamo noi a governare e dirigere la tanto osannata globalizzazione o è lei ad essersi infine impossessata di noi e delle nostre scelte?
Naturalmente Mujica indica la causa di tutto in una crisi politica molto prima che economica che vede a sua volta la matrice in una chiave di carattere culturale: il modello di civiltà che abbiamo costruito.
Da un estratto del discorso si legge
Siamo venuti al mondo per essere felici. Perché la vita è corta e ci sfugge. E nessun bene vale come la vita; questo è elementare. Ma se la vita scorre lavorando e lavorando per consumare un “plus” allora il motore diventa la società di consumo. – Perché alla fine, se si paralizza il consumo, si blocca l’economia, e se si blocca l’economia, appare il fantasma della stasi per ognuno di noi – ma è questo iper consumo che sta aggredendo il nostro pianeta. Dobbiamo generare iper consumo, fabbricando cose che durano poco perché bisogna vendere molto. Una lampadina elettrica, allora, non può durare più di 1000 ore. Ma esistono lampadine che possono restare centomila ore accese! E non si possono fabbricare perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere una civilizzazione dell’usa e getta. Siamo in un circolo vizioso.
Questi sono problemi di carattere politico che ci stanno indicando che è ora di cominciare a combattere per un altro tipo di cultura.
Non si tratta di ritornare all’epoca della pietra, né di erigere un monumento all’arretratezza. Ma non possiamo continuare all’infinito ad essere governati dal mercato, bensì dobbiamo trovare noi il modo di governare il mercato.
Il discorso per intero si trova qui
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