Le convenzioni sociali hanno un valore superiore alla logica se una sapiente stretta di mano può essere sufficiente a farsi prestare dei soldi. Un sotterfugio noto agli ipnotizzatori che modulano sulla levitazione della mano le loro tecniche di induzione.
Ora uno studio pubblicato on-line e per il rilascio di stampa di dicembre del Journal of Cognitive Neuroscience sembra dover mettere in discussione che la stretta di mano sia esclusivamente un costume rituale, a meno di non voler includere tutti gli effetti dei gesti di circostanza fra gli eventi neurologici.
Florin Dolcos che, oltre ad essere membro del Beckman di Neuroscienze Cognitive di gruppo, è a capo del Laboratorio Dolcos per gli studi sull’affettività e la cognizione, spiega: «Abbiamo scoperto che la stretta di mano non solo aumenta l’effetto positivo verso una interazione favorevole, ma diminuisce anche l’impatto di una impressione negativa. Molte delle nostre interazioni sociali possono andare male per un motivo o un altro, e farle precedere da una semplice stretta di mano ci può dare una spinta in più e attenuare l’impatto negativo di eventuali malintesi».
I risultati della ricerca «hanno mostrato una maggiore sensibilità dell’amigdala e del solco temporale superiore nelle situazioni di avvicinamento che nelle condotte di evitamento legate ad una valutazione positiva del comportamento di approccio e un impatto positivo della stretta di mano». Hanno mostrato una maggiore attività del nucleo accumbens, che è una regione deputata all’elaborazione delle esperienze premianti, nelle situazioni accompagnate dalla stretta di mano che in quelle che ne sono prive.
Dolcos ha aggiunto che non basta un qualsiasi stretta di mano per condurre a sentimenti positivi, ma un modo particolare di una stretta di mano, come ad esempio la stretta di mano cordiale di una ditta, fiducioso, come è spesso pubblicizzato nelle buone consuetudini commerciali.
Nei primi anni ’70 in un indimenticabile spettacolo intitolato Anche per oggi non si vola, Giorgio Gaber aveva presentato un brano sulla stretta di mano intitolato, appunto, Le Mani che personalmente trovo più interessante delle pur importanti per i neuro-cognitivisti conferme fisiologiche.
So che avrei potuto intitolare questo pezzo “Larga è la foglia, stretta la via”, ma le metafore e le poesie non vanno più di moda. Se non sei esplicito, non ti capiscono. Se non usi parole che pesano, e più pesanti sono meglio è, non hai argomenti. Così, visto che il tema è quanto mai esplicito possiamo anche chiamarlo con il suo nome.
“Fare ha chi ce l’ha più lungo” è una frase che ha il soggetto implicito: ovviamente si tratta del pene, altresì detto fallo, membro, pisello, uccello, pesce, minchia, nerchia, ciddone, belino, banana, capitone, fravaglio, fava, anguilla, pitone, merlo, pirla, pistola, biscottino, manubrio, bigolo, piciu, bindolun, pingone, pinga, bischero, ciccio, batocchio, manico, fino a “sventrapapere”… solo per limitarsi ad alcuni dei più usati.
Sulle dimensioni del fallo si sono impalate intere generazioni di sportivi alla prova della doccia; altrettante si sono date uno scopo nella vita,ma non è stato sempre lo stesso per tutti.
Ci sono poi questioni etnologiche a spiegare che talune razze sono più dotate e altre meno. Le cose andavano bene fino a che non siamo diventati il mercato del villaggio globale di cui parla McLuhan anche sulla merceologia anatomica. E non sto parlando del fenomeno pornografico su Internet, che dalla sua ha almeno il fatto di essere esplicito e di rendere tutta la materia meno mistica di quanto raccontata nei vari bar sport dello stivale, ma soprattutto della televisione, dei cinema e dei media più popolari in genere.
Se vogliamo scoprire la vera volgarità (dalla radice “volgo”, popolàno) in materia anatomica dobbiamo rivolgerci a quelle trasmissioni, e c’è solo l’imbarazzo della scelta, che dietro la parvenza della leggerezza e del gioco instillano una vera e propria ideologia di costumi nella massa di tutti e tre i sessi. Dietro questa apparente leggerezza esiste una vera e propria discriminazione basata su stereotipi che un tempo venivano, forse minimizzando, messi moralmente in discussione, mentre oggi sono diventate leggi, misure sociali.
Pensiamo ai reality show, ma anche ai telefilm. Per fare alcuni esempi potremmo citare la fiera del bestiame di “Ciao Darwin”, o la latrina di stereotipi di “La Pupa e il Secchione”, o l’Università di maitressologia di “Sex and the City”, o la luogocomunologia di “Californication”.
Le vie della “movida” di tutte le città sono doposcuola di questi corsi di formazione a distanza su come gira il mondo e sui “veri” valori della vita. Nei bagni di molte discoteche la privacy e il pudore sono obsolete e dibattiti e pesature merceologiche sono all’ordine del giorno e della notte.
Con questo articolo Quotidiano Piemontese apre una nuova rubrica-blog che occupa quel territorio fatto di luci e di ombre compreso fra il romanticismo e la sensualità, il desiderio e l’angoscia, le relazioni interpersonali e le dinamiche familiari, la crescita e i traumi. Lo cura Ennio Martignago, un professionista del counselling relazionale e uno psicoterapeuta che, oltre ai commenti pubblici accessibili nello spazio in fondo alla pagina, riceverà le vostre comunicazioni in merito all’indirizzo pellecuore«chiocciola»aiuti.com, quando potrà risponderà privatamente o attraverso la rubrica stessa in ogni caso rispettando l’anonimato di chi scrive.
Quello che non ci permettiamo di guardare, le parti di noi stessi che più allontaniamo dalla nostra vista, ritornano nella notte dell’anima distorte, spesso, nelle rabbie e nei tormenti a cui la società non manca mai di trovare spazi di etichettatura, anche se nei casi più diffusi trova loro uno spazio più istituzionale come legittimi incubi kaffkiani, carceri dell’istinto.
Chi è veramente innamorato di un’altra persona dovrebbe riuscire facilmente ad esprimere un’affermazione di questo tipo: «Quello che più amo di te non sono le parti che piacciono a tutti, ma quelle debolezze e quei difetti che spesso odii di te stessa, ma che ai miei occhi ti rendono speciale e unica».
L’amore e la morte sono così legati che il coito, nato proprio da una carica di desiderio che idealmente sfocia in un tentativo di generare la vita, si conclude di fatto in un senso di finitudine, di tristezza, di morte. “Post coitum omne animal triste est”, sentenziavano i nostri antenati latini.
Gli apparati della gestione delle pulsioni della sfera privata fanno da omeostati delle crudeltà sociali e i periodi in cui gli istinti intimi sono più repressi sono densi di orrori, sangue e crimini del potere. Ma in ultima le cose non sono così facili e la nostra infelicità spesso affonda nei compromessi a cui dobbiamo assoggettarci per riuscire ad andare d’accordo con il nostro prossimo, inibendo comunque i nostri spazi espressivi più profondi.
Roberto è un professionista stimato nel suo settore ed è una persona che a tutti gli effetti trasmette un senso di equilibrio, saggezza e anche di un discreto successo sociale.
Lungo la sua strada un giorno ha incontrato Francesca e, dopo numerose relazioni che crollavano sotto il peso delle forti emozioni che sentiva la necessità di esprimere nel suo spazio privato, credette di trovare in lei la persona che poteva comprendere al meglio la sua sensibilità. Al contrario, Francesca aveva un trascorso di diversi tentativi di assecondare le pulsioni personali e quelle dei suoi partner e riteneva di non spaventarsi più di fronte alle proposte più spinte e stravaganti, ma quello a cui puntava, avendo traguardato da alcuni anni l’età in cui tutto è concesso in merito alla giovane età, era una relazione matura in cui potere esprimere i valori sociali del suo essere donna, a partire dalla famiglia e dalla maternità e credette di avere incontrato in Roberto il partner ideale.
I loro rapporti esterni erano felici, con un discreto equilibrio fra momenti di coinvolgimento sociale e culturale e il disbrigo delle incombenze quotidiane, dal menage alle compere.
Nel privato, vivevano in maniera provvisoria, un po’ nell’appartamento dell’uno, un po’ in quello dell’altra e le loro notti, ma non solo notti, erano animate al punto da far trasalire i vicini di casa che si lamentavano di questo.
Francesca dava sfoggio del repertorio di disinibizione che meglio conosceva per soddisfare il desiderio di Roberto e questo era fatto di andare in giro senza biancheria intima, di concedersi ad atti in luoghi pubblici o di racconti di esperienze erotiche. Roberto riteneva queste esperienze banali, da “puttanella liceale” e questa rappresentazione di lei strideva con l’affetto per la semplice e trasparente persona che amava nella quotidianità, ma soprattutto si sentiva insoddisfatto perché riteneva che lei non sapesse recepire i suoi più intimi desideri passionali.
Lei riuscì a cogliere che poteva esserci una differenza nell’elaborazione delle passioni e gli propose di offrirsi a lui come più lui avesse desiderato. All’inizio lui non amava dovere chiedere: avrebbe desiderato che lei avesse cercato di scoprirlo, di avvicinarsi gradualmente al quel suo mondo che neppure lui riteneva di conoscere così a fondo. Poi si rassegnò a guidarla al suo sentire. Prima le fece provare l’amplesso avendo ostruito tutte le vie d’accesso sensoriale diverse dal cenestesico – essenzialmente vista e udito – e la cosa a lei piacque parecchio. Poi cominciarono a fare giochi di soffocamento reciproco e lei cominciò a vacillare più per le sue stesse sensazioni di stare perdendo il controllo che per una vera e propria paura fisica. Infine, quando lui le chiese di graffiarlo e morderlo fino a farlo sanguinare durante il coito perché in quel modo sentiva più forte la sensazione della vita fatta di piacere e dolore lei cominciò a spaventarsi e ad indietreggiare. Fino a che lui non le chiese di essere da lei penetrato invertendo i ruoli. Questo fece esplodere i conflitti in Francesca che disse di essere disposta ad assecondarlo ma solo per quella volta. Lui colse questo strappo e si sentì tradito.
A questo punto le cose non stavano più come prima. Lei si ritagliò il ruolo di donna perbene che era nei suoi obiettivi e cominciò a pensare che anche lui era come gli altri e che presto l’avrebbe lasciata per una più giovane, mentre lui pensò che lei era una puttanella vestita da santa come le altre e si adattò al ruolo sociale.
Smisero di parlare di quello che non fosse la quotidianità. Non riuscivano più a confidarsi, non si sentivano più complici e forse proprio per questo si sposarono quando lei rimase incinta. Dopo di che lei stabilì un rapporto ai confini dell’incestuoso con la figlia e alle rimostranze di lui sul fatto che non avevano più una vita privata, lei gli spiegava che l’amore che destinava alla figlia lui doveva sentirlo come rivolto alla sua persona, cosa che Roberto non riuscì mai ad accettare.
Di fatto pensarono più volte nel corso degli anni di separarsi, ma mentre per lei si sarebbe trattato di far fallire quel progetto di equilibrio che aveva perseguito, lui perse del tutto stima in se stesso e si convinse che la vita non gli avrebbe mai dato quello che cercava, così si buttò sul lavoro riuscendo a stare il più possibile lontano da casa. Ebbe anche alcune relazioni extra-coniugali, più accettate che ricercate, ma poi ebbe a disgusto questo genere di esperienze che, seppure non influirono in alcun modo nella vita di coppia, diedero il colpo di grazia per la sua considerazione dei rapporti con il sesso femminile (e tra l’altro anche con quello maschile, visto che attraversò da molto vicino anche un avvicinamento omosessuale).
Si presentò da noi lamentando una coazione all’onanismo particolarmente accentuata, con svariati atti nel corso della giornata e nei luoghi più disparati a cui non riusciva più a resistere, dovendo scaricare la tensione il più possibile nell’immediato. L’atto però non gli dà piacere, è come una forma di violenza simbolica che rivolge al suo essere dipendente dalla natura e dagli altri esseri umani. L’eiaculazione alla fine gli dà sia pace che senso di sconfitta e di morte. Lui li chiama “i miei piccoli suicidi quotidiani”. Rifiuta di mettere in discussione il rapporto con la famiglia e in realtà in casa sono escluse tutte le forme di comunicazione dei vissuti personali che non siano rivolte alla vita della figlia che già non ne può più di loro. L’unica lagnanza della moglie è che trova eccessiva la sua conversione alla vita religiosa che dai quarant’anni in poi si è fatta sempre più forte, assorbendo quasi tutto il suo tempo libero, ma che non porta mai in famiglia e che lei vive come il suo grande tradimento. Questo tuttavia fa parte dei ruoli socialmente accettabili, mentre lei nel suo tempo libero si dedica alla cura del corpo, andando in palestre, a consumare massaggi e trattamenti estetici.
Qui si interrompe la storia e credo che chi la letto con più attenzione abbia attraversato vissuti diversi nei confronti di questa coppia. Mi riesce difficile non immaginare che bene o male si siano mentalmente espressi giudizi, anche molto differenti nei vari passaggi, e ricerca di colpe e patologie. Forse siete entrati e usciti più volte nel dominio della normalità, ricercata o rifiutata.
Non spetta certo a me dire che cosa sia giusto e che cosa sbagliato. Sta di fatto che, una volta che si è compiuta la maggior parte della vita dentro un copione, tutti i cambiamenti che puoi fare non possono non risentire degli investimenti affrontati.
Fortunatamente, se accetti di chiudere il capitolo principale della tua storia, puoi cambiare copione per quello che ti resta da vivere e non di rado capita che la fase finale della vita abbia degli esiti più soddisfacenti della tanto mitizzata libera gioventù o della sensata mezza età, ma con tutto quello che puoi fare sarebbe stupido che sperassi di ricominciare da capo.
Di fatto il più delle volte è proprio questa invece l’idea che alberga nel nostro istinto e che rifiuta di lasciarlo, assieme al senso di non-finitudine e di ideale immortalità.