So che avrei potuto intitolare questo pezzo “Larga è la foglia, stretta la via”, ma le metafore e le poesie non vanno più di moda. Se non sei esplicito, non ti capiscono. Se non usi parole che pesano, e più pesanti sono meglio è, non hai argomenti. Così, visto che il tema è quanto mai esplicito possiamo anche chiamarlo con il suo nome.
“Fare ha chi ce l’ha più lungo” è una frase che ha il soggetto implicito: ovviamente si tratta del pene, altresì detto fallo, membro, pisello, uccello, pesce, minchia, nerchia, ciddone, belino, banana, capitone, fravaglio, fava, anguilla, pitone, merlo, pirla, pistola, biscottino, manubrio, bigolo, piciu, bindolun, pingone, pinga, bischero, ciccio, batocchio, manico, fino a “sventrapapere”… solo per limitarsi ad alcuni dei più usati.
Sulle dimensioni del fallo si sono impalate intere generazioni di sportivi alla prova della doccia; altrettante si sono date uno scopo nella vita,ma non è stato sempre lo stesso per tutti.
Ci sono poi questioni etnologiche a spiegare che talune razze sono più dotate e altre meno. Le cose andavano bene fino a che non siamo diventati il mercato del villaggio globale di cui parla McLuhan anche sulla merceologia anatomica. E non sto parlando del fenomeno pornografico su Internet, che dalla sua ha almeno il fatto di essere esplicito e di rendere tutta la materia meno mistica di quanto raccontata nei vari bar sport dello stivale, ma soprattutto della televisione, dei cinema e dei media più popolari in genere.
Se vogliamo scoprire la vera volgarità (dalla radice “volgo”, popolàno) in materia anatomica dobbiamo rivolgerci a quelle trasmissioni, e c’è solo l’imbarazzo della scelta, che dietro la parvenza della leggerezza e del gioco instillano una vera e propria ideologia di costumi nella massa di tutti e tre i sessi. Dietro questa apparente leggerezza esiste una vera e propria discriminazione basata su stereotipi che un tempo venivano, forse minimizzando, messi moralmente in discussione, mentre oggi sono diventate leggi, misure sociali.
Pensiamo ai reality show, ma anche ai telefilm. Per fare alcuni esempi potremmo citare la fiera del bestiame di “Ciao Darwin”, o la latrina di stereotipi di “La Pupa e il Secchione”, o l’Università di maitressologia di “Sex and the City”, o la luogocomunologia di “Californication”.
Le vie della “movida” di tutte le città sono doposcuola di questi corsi di formazione a distanza su come gira il mondo e sui “veri” valori della vita. Nei bagni di molte discoteche la privacy e il pudore sono obsolete e dibattiti e pesature merceologiche sono all’ordine del giorno e della notte.
So di non dire nulla di nuovo e non è dell’aspetto mediatico o sociologico della questione che vorrei occuparmi, ma di quello psicologico e di genere.
Il fatto è che le cose non stanno nello stesso modo per i maschi e per le femmine. Sicuramente la bellezza è un fattore discriminante che pesa su entrambi i sessi: racchie e sfigati. C’è poco da fare a questo proposito, ma la dismorfofobia, ovvero una certa ossessione ad analizzarsi allo specchio con la convinzione di essere più brutti degli altri è un fenomeno che riguarda soprattutto il periodo adolescenziale.
Diversa è l’ossessione per le dimensioni. Ed è diversa nelle femmine da come si presenta nei maschi. Molte ragazze e donne e anche “signore” sognano di avere dei “respingenti” di tutto rispetto e investono tutta la paghetta a farsi imbottire gli air bag fino ad avere bisogno di un periscopio per vestirsi.
E il caso ad esempio di quella tale partecipante a un qualche “Grande Fratello” che ha fatto da modello per molte spettatrici. Torneremo prossimamente sul tema del modeling di genere. Fermiamoci al fatto che funziona ed è una vera circonvenzione per i deboli di identità.
Il modeling sessuale si fonda essenzialmente su quello che è manifesto e che è esterno. Questo è il caso soprattutto del seno e del pene, che sono caratteristiche della protervia di genere in generale.
Tuttavia il rapporto sessuale ha soprattutto una dimensione interna, anche se sempre più pubblica come una erotoscopia di branco. Ed è di questo “interno” che è fatta la funzionalità del sesso. Questa un tempo, per l’occidente, ma ancora oggi per altre culture, rispondeva ai requisiti riproduttivi. Nel passato neppure eccessivamente remoto, statue e totem fallici erano propiziatori della fertilità del terreno. Curiosamente si è sempre scelto l’elemento visibile invece di quello causale, il fallo invece dei testicoli, e sempre stranamente o fallocentricamente il potere generativo è sempre stato identificato fra le proprietà maschili invece di quelle femminili. Questo anche se non mancano rappresentazioni di questo tipo anche per il “sesso debole”, come il fatto di avere il bacino ampio o i lombi robusti sia identificativo di essere una puerpera affidabile. Si sono scelti questi aspetti per la semplice ragione che per lungo tempo l’interno delle persone è stato un mistero. Si è sempre fatto un po’ come in quella barzelletta dove l’ubriaco cerca le chiavi di casa sotto il lampione anche se le ha perse davanti a portone solo per il fatto che un posto è illuminato e l’altro no.
Con il passare del tempo e il superamento della dipendenza proletaria, quella per cui i figli erano le risorse per la coppia e per la comunità in genere, le dimensioni funzionali sono state applicate all’economia del desiderio. Per evitare che si sviasse da quella della procreazione a quella del desiderio è noto a tutti come si siano castrate le persone in molte culture. E non si tratta solo della nota tortura dell’infibulazione femminile, ma anche della castrazione degli eunuchi o delle voci bianche medievali, o della rinuncia volontaria di tipo monastico. Si tratta di fenomeni molto diversi, certamente, ma che segnavano una linea di demarcazione fra l’elemento dominante e quello sottoposto: chi può desiderare, chi non può, chi è fatto oggetto di rinuncia e chi rifiuta la schiavitù del desiderio (una sorta di rilettura di Schopenhauer e del taoismo). La cosiddetta comunità scientifica non è estranea a questa legge: la sindrome isterica ha per radice la rappresentazione che l’istere, l’utero femminile, sia generatore di “inquinamenti psichici”, vapori con il potere di arrivare fino al cervello e fare impazzire le donne che ne erano afflitte. Oggi si potrebbe dire che il modello si è ribaltato, almeno dal Rapporto Kinsey in poi. Non saprei se ha fatto più danni una certa liberalizzazione sessuale o il puritanesimo dei benpensanti.
Non pensiamo di esserci così affrancati da questi modelli eroto-economici: ci sono Stati della apparentemente più moderna democrazia occidentale come la Georgia dove, non solo la sodomia, ma anche il rapporto orale consenziente è considerato un reato. Nelle carceri americane si trovano anche minorenni condannati ad un decennio di reclusione per avere avuto un rapporto orale condiviso. Ad essere punti, tuttavia, sono essenzialmente i maschi.
Che di stupro siano fatte oggetto essenzialmente le donne è risaputo, ma è possibile, secondo voi, che non esistano violenze sessuali o incesti nei confronti dei maschi? Potrei garantirvi che esistono: non solo esiste il branco femminile, ma soprattutto esistono forme di ricatto seduttivo esercitato da donne verso uomini. Non mi occupo di aspetti giudiziari, ma ancora una volta di trappole psicologiche. Come molte donne preferiscono non denunciare la violenza subita per evitare di far parlare di sé, provate a pensare a quello che si direbbe di un uomo che denunciasse una violenza sessuale da parte di una donna: la cosa apparirà inverosimile, nessuno ci crederebbe, potrebbe facilmente essere ribaltata in violenza verso le donne. Ma quello che è peggio è che nella rappresentazione maschile vi è lo stampo della “sex machine” e proprio come una macchina dev’essere visto.
Il caso dei latin lover è esemplare: la loro scuola risponde alle leggi che tempo fa mi espose Nando, un giovane di successo con l’altro sesso: “Non solo devi cercare di stare con tutte le donne che conosci, ma non devi negarti a nessuna di esse, perché anche la più brutta ha diritto di esigere il sesso da te”. Chiaramente lui si riteneva l’unico benefattore del quartiere e poteva sorridere al pensiero che qualcun altro potesse essere desiderato nella stessa maniera. Arrivati ai 40 anni molte di queste macchine del sesso che non hanno chiuso la loro carriera in una conversione con relativa cancellazione del passato diventano clienti dei terapeuti perché non riescono a liberarsi da questa schiavitù meccanicistica.
L’altra faccia della schiavitù meccanicistica per molti maschi è fatta di pesi e di metri. Diversamente da quelle del seno, le plastiche del pene sono molto più delicate, eppure trovano un discreto mercato nelle nostre cliniche e soprattutto all’estero. Come sempre, nessuna scelta è sempre giusta o sempre sbagliata: ci sono casi di limiti anatomici invalidanti ed in questi soggetti l’alternativa migliore sarebbe comunque rinunciataria. Il fatto è che queste operazione molto costose vengono fatte nella maggior parte dei casi da individui “troppo normali” al fine di mostrare più potere, più virilità… per essere maschio dominante.
Tutti gli esseri umani sono afflitti da insicurezze varie, alcune delle quali molto radicali e profonde. Alla base di molte delle insicurezze maschili ci sono le prestazioni sessuali e queste hanno come rappresentazione l’immagine del loro pene. Viagra, Cialis e altri farmaci agiscono sulla risposta al desiderio, ma non c’è farmaco che modifichi le dimensioni. Le proposte su Internet e anche su alcuni media si sprecano: da quelle ginniche, a quelle meccaniche, alle pomate…
Per la maggior parte dei maschi la plastica resta un sogno nel cassetto che non realizzeranno mai, rassegnandosi all’insicurezza di genere. Qualcuno cerca di barare e poi si pasce nella presunzione, come quella battuta per cui non è colpa delle mogli se in retromarcia vanno sempre a sbattere, ma è del marito che spiega loro che un pollice è lungo 30 centimetri. Il fatto è che tutto pare cospirare contro di loro.
Persino il Kamasutra viene travisato. Il fatto è che di donne che hanno paura del coito e che quindi temono la violenza legata anche alle dimensioni non ce ne sono poche. Molte ritengono – a ragione – che il loro prezioso guanto non debba essere infilato in tutti i modi da organi ed oggetti di tutte le risme e di tutte le forme, ma i maschi hanno davanti agli occhi un solo modello femminile ed è quello insaziabile che poi spesso le partner stesse finiscono per reazione di scimmiottare. Al di là della tipologia dei genitali da cavallo, toro, elefante, coniglio, criceto, moscerino… il libro indiano dell’erotismo cercava di dire che ognuno ha le sue dimensioni genitali, diverse come il resto del tutto il corpo e che l’accoppiamento ideale non è fra un organo che pesca a vuoto in una stanza silenziosa, ma nemmeno quello di un aratro che piomba su un vasetto di orchidee. Nonostante questo, quando c’è il desiderio dell’altro si trovano soluzioni che rispettino entrambi, perché il piacere vero è sempre prima mentale e comunicativo, è essere sulla stessa lunghezza d’onda dell’immaginazione e donarsi incondizionatamente all’altro.
La donna questo, non di rado con ritardi invalidanti, in genere arriva a comprenderlo e lo farebbe ancora meglio condividendolo con un uomo sicuro di sé e soprattutto della propria relazione. Questo l’uomo non è che non lo capisca mai, ma così frequentemente casca nella trappola del simbolo, nella spasmodica ricerca della vetta.
Ebbene, come diceva Groddeck alle partorienti quando le consigliava di non affrontare l’evento con paura ma con desiderio orgiastico preparandosi all’orgasmo estremo, anche se questo facilmente si accompagna al dolore, di essere attraversate dal fallo più grosso che potessero mai sperare di incontrare, nessun uomo potrà mai competere con le dimensioni di un bambino. È tutta questione di rappresentazioni. Eppure nessun argomento convincerà mai troppi maschi ad abbandonare quelle insicurezze.
Ricordo una scena di un vecchio film sperimentale, dove una danzatrice del ventre riusciva a stappare una bottiglia di champagne infilata nella vagina, con abili movimenti e soprattutto con i muscoli interni e il controllo che di essi aveva. Pare che questi spettacoli esistano davvero, un po’ come quelli di vecchi che fanno il sollevamento pesi con la loro erezione. La meccanica del coito dipende sempre molto meno dalle prestazioni maschili di quanto possa essere esercitata da quelle femminili. Queste a loro volta sono evocate dalle aspettative nei confronti dell’altro e dalla capacità di questo di coinvolgerle, inducendole nella transe amorosa.
I cinesi hanno un manuale scritto per i principi che in quel paese potevano contare su esseri umani quasi più che su bestiame ed ortaggi e questo libro è noto da noi come “Il Tao dell’Amore”. Qui viene spiegato che il coito con la donna dona all’uomo delle energie preziose per la lunga vita tramite le proprie stesse effusioni. Viene anche però detto che questo è vero solo fino a che la donna è vergine e che comunque nel corso degli anni e dei rapporti queste proprietà vengono a cessare. Naturalmente nessuno di noi prenderebbe per buono questo discorso, ci mancherebbe. Rimane il fatto che anche la vagina ha le sue caratteristiche e che è soggetta a trasformazioni con il tempo che possono pregiudicarne le prestazioni. Ricordo una ostetrica che mi spiegava come al momento del parto non tutte le donne hanno le stesse capacità e gli stessi tessuti.
A questo punto non vorrei essere frainteso e che, invece di contrastare un tabù maschile andassi a sollecitarne anche uno femminile. Quello che voglio dire è che non ho mai sentito una donna mettere in discussione le proprie dimensioni anatomiche o la forza e il controllo dei muscoli vaginali, come invece troppi uomini si preoccupano delle dimensioni del fallo e della sua risposta erettile.
E qui arriviamo alla conclusione: il maschio è un imbecille!
E questo idiota trova in molte delle donne che incontra un complice perfetto. Prendete le confidenze che si fanno i membri dei due sessi con i loro amici dello stesso genere. I maschi vantano la bellezza della loro “conquista”, la carica erotica e soprattutto sulle loro prestazioni, su quello che le hanno fatto, quante volte, per quanto tempo e quello che poi lei ha detto loro, ma sarebbe disdicevole e da checche riferire del piacere provato. Le femmine invece si soffermano soprattutto su quello che hanno vissuto, su come si sono sentite più o meno coinvolte e sul modo in cui hanno attraversato il rapporto tramite i genitali, sulla pelle e nel cuore.
I maschi sono anestetizzati. Hanno bisogno di scoprire le loro sensazioni, quello che viene da dentro, l’immaginario. Invece al massimo giocano, scimmiottano di fare al dottore e all’infermiera o alla schiava e il padrone, o ancora al cagnolino con l’ammaestratrice. Pensano di essere creativi a finire nei postriboli per scambisti. Il maschio non conosce il mondo affettivo e libidico interno. Non è un caso che il primo Freud concepisse la carica libidica come un’energia che nasce in un punto qualsiasi della superficie corporea per scaricarsi poco più in là.
In definitiva, questo maschio primitivo che non si conosce è ha il terrore di sentire le proprie sensazioni si aggrappa all’unica cosa che è in grado di comprendere: la misura del pene, quella delle tette e qualcos’altro su cui sorvoliamo. In questo modo affonda in una triste insicurezza che si riversa anche nel suo nucleo biologico. Le statistiche mediche ci raccontano che la percentuale di sterilità del maschio occidentale è in costante aumento dagli anni ’70 con dei picchi preoccupanti negli ultimi anni. Un pene più grosso, lungo o col nasino all’insù non cambierebbe affatto la situazione. Inoltre un fenomeno analogo di sta verificando nella diffusione dell’omosessualità di ambo i generi, ma prevalentemente maschile.
Un cambiamento potrebbe provenire dalla donna, se fosse lei a guidare la coppia insegnando a lui le sensazioni che prova e come fare ad ascoltarsi. Si tratta di un compito arduo e difficilmente si può arrivare a fondo. Purtroppo la storia ci ha insegnato qualcos’altro: potere, denaro, immagine, carne invece di trasformare l’uomo a misura di donna, hanno agito nella direzione opposta. In cerca di un modello da seguire troppe donne hanno adottato quello vetero-maschile perdendo proprio quella sensibilità e quella semplicità che le caratterizzava. Forse l’uomo ha creato nella donna il maschio perfetto che non riusciva più a realizzare su se stesso e nell’immaginario femminile: donne pragmatiche, strumentali, insensibili e per questo alienate al loro essere femminile arrivano alle porte del climaterio senza avere mai risolto le loro contraddizioni sulla maternità.
I cambiamenti richiedono generazioni, ma partono sempre dall’accettazione di una consapevolezza e dal coraggio di trasformarsi accogliendo la diversità.