Cara C.,
è autunno a scuola e dai finestroni si vede corso Dante (nomen omen), con i suoi alberi spogli e con poche foglie gialle appese sui rami anelanti gli ultimi raggi di luce.
Prima di entrare a scuola buttavo sempre un’ultima occhiata alla collina torinese lì di fronte a noi, come un miraggio. Da corso D. emerge dal Po come se fosse la fine di un tunnel.
Alla prima ora, in quel calendario scolastico della I liceo che è una terza classe, c’era Lui: Babbo Natale o Virgilio, il Prof di Latino e Italiano che ci aspettava in piedi, alla cattedra, imbracciando la Divina come un kalashnikov. Neanche il tempo di prendere posto e respirare il mattino con le quattromila chiacchere coi compagni, che Lui entrava e si presentava impettito con un saluto militar collegiale, tutti in piedi e con il Lei o il Voi, e iniziava un viaggio all’Inferno, al Purgatorio o al Paradiso. Ci incatenava alle terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina.
Poteva essere scoppiata la III guerra mondiale che lui non avrebbe battuto ciglio. Me lo immaginavo in qualche rifugio antiaereo durante la guerra -che non aveva fatto per il suo nascere a cavallo della fine della guerra- con la Bibbia Dantesca in mano che declamava mentre fuori c’erano le sirene e le bombe che radevano il suolo italico. Oppure, lo immaginavo galleggiante sul Titanic con il Libro aperto davanti alla punta di ghiaccio dell’iceberg che stava forando le assi della sala musica del transatlantico.
Mi domandavo allora e ti chiedo ora, cara C.: ma noi eravamo in un altro mondo e lui non ne faceva cenno perché era un meccanismo di difesa freudiano o per un evitamento junghiano del suo rapporto anaffettivo con la madre e con scappellamento a sinistra con antani a destra?
Le sue accademiche conferenze brillavano di competenti concetti che per noi che stavamo nascosti in una selva, come selvaggi, l’esegesi del testo non era abbastanza per entrare ed uscire da quel mondo che cominciava ad avere appena un significato: boh!!!??
Ero afflitta, spesso, e con panico ed ansia durante alcune cavalcate dantesche chiedevo di uscire dalla classe a respirare una boccata di senso di realtà. Ero però sempre rapita dal suo mondo antico, credo C., che all’Università l’avrei amato, ma al Liceo, non so, ne avevo timore, tu lo amavi o lo temevi?
Ecco un tema dantesco: imparar per paura o paurar imparando?
Le competenze didattiche eccellenti sono sufficienti per te, per noi, per quelli che eravamo ma per le generazioni successive cosa significano?
Hanno regalato Dante ad un comico nazional popolare, ma non avrebbero dovuto farlo entrare nel Kuore (piccolo ma cattivo) della cultura.
Ed io che speravo in una rivoluzione: “Più pane e Dante per tutti!” Si sono tenuti l’Accademia e ci hanno lasciati soli nella selva oscura della tragicommedia italiana che in quegli anni si stava compiendo.
Ma i nostri figli di tutto questo?!
Cara E.,
mi hai riportato alla mente uno dei docenti che ti confesso, ho amato di più. Nonostante tutto. Nonostante la noia indescrivibile del ricopiare pedestremente ciò che scriveva alla lavagna, di scrivere pagine e pagine di spiegazioni dettate su tutto lo scibile letterario, nonostante la sua scarsa dimestichezza con l’acqua e il cambio d’abito – ti ricordi quelle improbabili giacche a quadri sotto cui teneva un gilet che esplodeva, avvolgendo il suo addome prominente?-, nonostante pretendesse e richiedesse e avesse un senso della giustizia opinabile, per lo meno ai nostri occhi adolescenti che vedevano soprusi ad ogni angolo del mondo.
Soprattutto, nonostante abbia lasciato che la compagna B. mi rubasse Bassani, autore del mio romanzo del cuore, che volevo portare alla maturità, costringendomi così a scegliere Umberto Eco e il suo Il nome della rosa (e regalandomi, forse ben sapendo cosa faceva, uno dei libri che più ho amato in quegli anni ragazzini).
Era fuori dal tempo, lui, che recitava Dante come Gassman e sghignazzava alle nostre inadempienze e ingenuità, fuori dal senso noi, che non potevamo capire quel suo amore viscerale per il sommo poeta e quella sua ritrosia per l’acqua, fuori dal mondo quel mondo in cui vivevamo metà giornata, tra poesie liriche in greco antico, terzine dantesche studiate a memoria, metriche latine appuntate in modo invisibile per reggere l’interrogazione.
Ci salvavano le “siga” fumate in bagno di nascosto, le fughe nelle ore buche, le scritte sui muri degli sgabuzzini, le pizzette bisunte nel cambio d’ora, le prese in giro lucidamente cattive perpetrate ai danni dei malcapitati di turno. Bullismo? Sì, diciamocelo, ci siamo passati tutti. E non c’era tribunale a salvarci, nè genitore, nè docente. Ingoiavi e buttavi dietro la schiena e ti facevi forte, piccolo, presuntuoso, depresso, menefreghista, frustrato, chissà. Ingiusto? Forse, eppure.
“Eppure, eppure, eppure milioni di serrature non riescono a tenermi chiuso il cuore” dice il menestrello Jova e a me viene in mente che proprio quelle serrature forzate, tra obblighi e doveri incomprensibili agli occhi di un sedicenne, intollerabili alle orecchie di un diciassettenne, semplicemente da forzare tra le mani di un diciottenne, tutte quelle serrature ci hanno “aperto il cuore” e ci hanno fatto le “spalle larghe”. Buona parte di noi si è fatto lotta, battaglia per vedere di più, di meglio, di diverso, quando ancora non si poteva ordinare tutto su piattaforme digitali.
E allora mi chiedo, oggi, come diventeranno le spalle strette dei nostri figli?
Questi figli immersi in un mondo digitale che tutto dà e tutto compra e una scuola che c’è e non c’è, e spesso propone professori senza cattedra che cambiano ogni tre mesi, docenti di sostegno che si fanno insegnanti improvvisati per necessità, un mix di buona volontà con poca competenza, insegnanti che insegnano i Promessi Sposi guardando video sulla Lim (e dov’è lo studio della lingua italiana? dello snodo narrativo? della costruzione dei personaggi?) e altri che dopo venti minuti di lezione, schiacciano pisolini o guardano il loro pc.
Qualcuno non proprio degli ultimi ha detto: “La scuola la fanno le persone, gli insegnanti di buona volontà che combattono contro le carenze delle istituzioni”. Vero, ci sono docenti che cercano strade alternative, di formazione e di costruzione del pensiero, per “tenere” e forse salvare questi figli con le spalle strette, le scarpe grosse e le ciglia lunghe, che si rintanano con la mente e con il corpo in quel povero mondo della realtà virtuale, tutto finto e a portata di click con pochi euro.
E’ la vecchiaia che parla? Anche, il salto generazionale c’è tutto.
L’altra sera, figlia mi ha detto: “Eh ma nell’antichità, ai tuoi tempi, era diverso”. Già, nell’antichità, ai miei tempi, ai nostri tempi, cara E, c’era uno che Dante lo spiegava recitando e ci costringeva a studiarlo a memoria, e forse, nel mezzo del cammin di nostra vita, oggi, sappiamo che ha fatto bene.