Cara C,
ieri guidando verso casa, ho perso per un attimo di vista la strada e mi sono ritrovata, di nuovo, davanti al nostro Liceo.
Sul marciapiedi di fronte alla scuola, i postumi di una manifestazione mi hanno riportato alla mente i ricordi delle nostre primavere resistenti, degli autunni caldi e delle estati che spazzano sull’arena gialla tutte le rivoluzioni possibili.
“Ne riparliamo poi a Settembre, ora vado al mare”. “Parto coi nonni per raggiungere Linda al lago”. “Vado in Romagna per il torneo di volley”. “Mi aspettano ad Alassio per il muretto”.
Scesa dall’auto mi sono avvicinata al vialetto davanti alla scuola, con qualche albero, le rastrelliere, e, tra cocci di bottiglie e cicche, intramontabili pezzi di outfit ribelle, ho scorto cimeli rivoluzionari senza tempo: i volantini.
Resistono ai tempi digitali anche loro, e sono sfolgoranti, pieni di slogan e cara C, vengono distribuiti ancora davanti alle scuole: la propaganda politica resiste dunque alla concorrenza spietata di ticktoker ed influencer.
Mentre pensavo alle varie forme di resistenza, l’occhio mi è caduto su un foglio sopravvissuto alla notte: un volantino che recitava a squarciagola “ORA E SEMPRE RESISTENZA”.
Mossa da un irrefrenabile, atavico e innato spirito di ribellione, cercando di sfuggire allo sguardo di qualche umarel nei dintorni, di alcuni veloci passanti ed alle mie paranoie, sono corsa velocemente a raccogliere i volantini, per salvarli dalla trasformazione in poltiglia, carta straccia, dal macero della raccolta indifferenziata.
Su tutti i volantini torna in qualche modo la parola resistenza.
Ora e sempre resistenza.
La resistenza è iniziata dalle parole, da parole segrete, sussurrate, nascoste, da discorsi, da confronti, da urli di dolore scomposti, da assemblee piene di parole. Poi la parola resistenza si è sdraiata sulle stamperie clandestine, si è intrufolata sui caratteri mobili ed è diventata potente parola di rivoluzione, poi necessaria si è incarnata in parole di carne e volti, è morta bruciata e poi è risorta tra i libri, come memoria di una storia raccontata dai superstiti.
La parola resistenza per me ha quei volti e mi porta a pensare che se ci fosse una nuova guerra o un’emergenza democratica, quegli uomini e quelle donne scenderanno di nuovo dalle colline e correrebbero qui giù, al Po, come gli spiriti protettori dei boschi.
Si materializzerebbero davanti ai nostri occhi, con mezzi di fortuna ci salverebbero, da tutto, da tutti. Scenderebbero dalle colline cantando e salverebbero la città, navigando sul fiume, ordinati e belli, atleti della resistenza, pronti alla vittoria, agonisti di una regata rivoluzionaria.
Scaccerebbero via i fantasmi della guerra a colpi di remo e spazzerebbero via le paurose invasioni nemiche con cannoni di fortuna, – cara C., io ne sono certa- ci penserebbero loro.
Il pensiero magico che da sempre mi accompagna spegne la vergogna di aver raccattato cartacce a terra e torno con il pensiero ai diversi significati della parola resistenza.
Resistenza elettrica che misura la tendenza di un corpo ad opporsi e ha come unità di misura, -pensa un po’- l’ohm.
Resistenza fisica che è la capacità fisica di sostenere uno sforzo il più lungo possibile.
Resistenza storica come lotta e movimento politico.
Resistenza come ri-esistenza ovvero come spinta alla rinascita.
Torno verso l’auto con in mano i volantini dei ragazzi, che ho raccolto a terra e prima di salire sulla vettura, improvviso un gesto di resistenza a casaccio, infilando una decina di volantini nei tergicristalli delle auto in sosta.
Cara C,
mi farai da palo anche stavolta!?
Cara E.,
a ben pensare, proprio tra quei mattoni rossi e quelle finestre che occhieggiavano sugli alberi del corso, tra nuvole di sigarette fumate di nascosto, sui banchi stipati di libri e incisi di messaggi segreti, proprio lì, nel sudore degli spogliatoi, nelle campanelle del cambio d’ora, tra gli scalini saltati a due a due per correre al piano dell’amico, dell’amore, del sogno, lì abbiamo dato vita alla prima forma di r-esistenza. Per esigenza, incoscienza, a volte invece per scelta precisa, per opposizione o per imitazione, lì, abbiamo dato forma a un modo di essere, di esistere, di resistere.
E oggi? Cosa è rimasto di quello che abbiamo costruito di noi laggiù? Dov’è la forza che ci ha fatto gridare alle prime manifestazioni? agli scioperi? alle assemblee studentesche e nelle autogestioni? Litigando con i compagni o con i genitori, per sostenere idee che si formavano e si schiaravano mentre le dicevi? Che cosa sono diventate la presunzione di aver ragione, sempre, e la paura per cui si rifiutava un’interrogazione? E l’insicurezza che ammutoliva allo sguardo di chi ci piaceva? E la timidezza, nascosta dietro le prime sbronze alle feste, per stare al passo e non perdere il treno “che poi magari non torna più”, diceva Jovanotti.
Oggi, se ci ripenso, vedo quell’esistere e r-esistere al tempo e allo spazio che è trascorso in molti passi e molte svolte della vita: abbiamo r-esistito in famiglia, costruendo pile di amore e unendo parole abbracci ricordi, abbiamo r-esistito al lavoro, a fianco al collega stronzo e alla collega amica, provando a intessere professionalità, comprensione e leggerezza, abbiamo r-esistito agli occhi malati di chi amiamo, portando un sorriso anche nel pianto. Intorno a noi, ognuno, ha fatto la sua parte, ha r-esistito con noi, come noi, più di noi, un esempio nel bene e nel male.
Oggi, da quei mattoni rossi adolescenti di Corso Dante dove i primi pensieri r-esistenti hanno preso forma nella mente, siamo passati alle piazze, alle strade, alle panchine, ai luoghi di comunità dove l’idea di esistenza ‘resistente’ prende vita in molti modi, semplici o articolati, ma sempre con dentro il motore del rispetto reciproco, della messa in comune del bene comune, della costruzione di un senso di insieme che osteggi con forza la disgregazione sociale, l’isolamento, il consumismo. Perché nessuno si salva da solo. Questo lo abbiamo imparato allora, e lo teniamo stretto oggi, con i nostri libri salvati grazie alla comunità che si attiva quando c’è un senso nelle cose e la nostra raccolta di parole da salvare, perché anche il linguaggio, che cambia, si adatta, si trasforma, deve r-esistere per non diventare muto e perdere la memoria.
Sabato 7, dalle 10, in occasione del Festival Immaginari di piazza Montanari faremo questo: salveremo parole, parole che esistono e r-esistono e ci ricordano chi siamo e chi possiamo essere.
