Tamara Drakulic ci regala il suo primo film di finzione ma in realtà non si discosta molto da un documentario. Vetar vuol dire vento e il vento è senza dubbio al centro della vicenda.
Una ragazza di 16 anni è in vacanza con il padre. Siamo sulla foce del fiume che separa Albania e Montenegro. Un posto splendido, una riserva naturale piena zeppa di uccelli di ogni tipo. Un vento costante, continuo, inalterbaile.
Nel luogo non capita nulla (perfino un cadavere è nulla). Ci si riposa, si legge, si fa kite surf. Ma Mina ha 16 anni e il riposo per lei è noia totale, assoluta, devastante, mortale. Fortunatamente conosce un surfer belloccio, molto più grande di lei e se ne innamora perdutamente. Lui passa del tempo con lei ma ha una testa diversa.
Il film è lento, lentissimo, difficile da sostenere. Ma immagino che la Drakulic abbia ceracto volutamente questa assoluta mancanza di ritmo. Poi capita poco, pochissimo, quasi nulla. E anche questo è ovvio nella situazione, sebbene anomalo per quello che sotto certi aspetti può essere visto come un film di formazione.
La giovanissima Tamara Stajić è molto brava a reggere lo schermo. Si trova perfettamente nel ruolo. Le musiche seguono i suoi stati d’animo in maniera precisa.
Poi… e poi però c’è il luogo. Un luogo straordinario che è evidentemente il vero protagonista della vicenda. La Drakulic ci regala riprese davvero notevoli, silenzi, canne al vento, il fiume che scorre, la spiaggia. Quella fantastica amaca sul fiume.
E naturalmente c’è il vento. Persistente, continuo, immutabile, incontrollabile. Un vento che assume significati diversi nel corso del film. C’è il vento del surf e (soprattutto) quello preso in faccia dai due protagonisti durante il viaggio in motocicletta che sono vento di libertà. Ma c’è anche il vento insistente, che è fastidio, noia, catene.