A mio avviso The transfiguration è un film sulla solitudine. Nemmeno tanto sulle zone degradate e sulla piccola delinquenza, proprio sulla solitudine. Michael O’Shea gioca sulle gang, moltissimo sui vampiri, ci infila una piccola storia d’amore, ma è lì che vuole arrivare: alla solitudine.
Milo è un adolescente nero che vive con il fratello in un palazzone del Queen. Non ha amici, deve ogni giorno evitare la gang dei ragazzi del quartiere, non parla con nessuno, poco anche col fratello. Ah… e poi è convinto di essere un vampiro!
Ma ne è convinto a tal punto che uccide la gente per berne il sangue (che poi regolarmente vomita). Poi nel suo palazzo arriva una ragazzina bianca, sola come lui, più sola di lui. Entrambi hanno storie tremende alle spalle ma nessuno dei due sembra aver voglia di uscirne, di lottare, di sopravvivere, forse non sanno nemmeno che è possibile farlo. Forse proprio non è possibile.
I loro incontri si limitano a qualche carezza e a tanto, tanto cinema di vampiri. Milo ha una passione smodata e prova a trasmetterla alla ragazza, che però di vampiri conosce solo quelli di Twilight.
Ed infatti è inevitabile lo scontro Twilight – Let me in (di cui all’epoca aveva parlato anche il sottoscritto).
E io ovviamente ho apprezzato anche tutto il cinema horror che si nasconde dietro e dentro il film.
Però ripeto, mi sembra proprio una scusa (ottima) per raccontare una terribile storia di solitudine, una storia senza uscita e senza speranza.
Molto bravi i due giovani protagonisti Eric Ruffin e Chloe Levine